Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.
(Peter Høeg)
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.
(Peter Høeg)
venerdì 21 dicembre 2018
martedì 11 dicembre 2018
Libri & Cultura: Concorso letterario "Racconti di Natale": "Canto d...
Libri & Cultura: Concorso letterario "Racconti di Natale": "Canto d...: "CANTO DI NATALE", di Francesco Randazzo Faceva un tempo da schifo, un freddo che spaccava le ossa, vento tagliente, pioggia a goc...
domenica 9 dicembre 2018
"Mani sporche" di Mercedes de Acosta
Mani sporche
di Mercedes de Acosta (da Archways of Life, 1921)
Dopo che tutti erano andati via,
era sempre meraviglioso sedermi con te nel teatro buio.
C'era un mistero in
esso,
come se l'eco di
tante rappresentazioni
perdurasse ancora
tra le pieghe del sipario,
mentre figure
fantasma s'accucciavano
sulle sedie e con
mani vaporose
facevano risuonare
soffocati applausi.
Ricordi come ci
sedevamo sempre silenziosamente?
Allora, come un
rito, io lentamente
prendevo la tua mano
e tu ridevi un poco
e mi dicevi:
“Ho le mani
terribilmente appiccicose”, o
“Non riesco a
tenere le mani pulite in questo teatro”,
come se questo
importasse... come se questo importasse...
(Traduzione di
Francesco Randazzo)
Mercedes de Acosta, “aquella furiosa lesbiana” (articolo su EL Pais)
giovedì 15 novembre 2018
"Sei giorni" di Stefano Valente
“Sei giorni” è una vertigine, un romanzo maelstrom che ingoia il
lettore nel gorgo ineluttabile della narrazione, una trappola della
mente che sgorga parole in flussi di coscienza incrociati, dentro una
lingua frantumata in cento, mille pezzi, che infine si ricompongono
nel finale inatteso e sconcertante.
Senza entrare nel dettaglio e, come si dice oggi, spoilerare, in
sintesi estrema la storia ci racconta, attraverso il suo
protagonista, del ritorno a casa di due “amici” o forse soltanto
sodali, commilitoni, reduci da una distopica guerra etnica che
richiama quella dell’ex Jugoslavia, ma è ben altro, viene dal
passato dell'olocausto ebraico, o forse è da venire, forse sta già
avvenendo, forse è il disastro bellico della Siria che l’autore ci
sposta fino alla soglia di casa, non ha importanza eppure ne ha
molta. Sei giorni di cammino verso casa, con i piedi e le anime
straziate e sanguinanti, tra morti, tradimenti, coinvolgimenti in
azioni estreme, attraverso una finta pace che ha lasciato governi
autoritari, frange etniche in lotta perenne, rovine e nessuna
speranza di redenzione o vera pace. Tutto si rompe continuamente,
nelle visioni e nel racconto del protagonista, l’ingenuo, innocente
– ma quanto davvero?
È un libro potente, arduo, pregnante, per lettori forti d’animo,
disposti alla battaglia con le parole e ad essere guerriglieri della
coscienza. L’autore ci vuole con sé, vuole che ci si perda con i
personaggi del romanzo, fino ad assumerne le paure, le speranze, la
disperata volontà di essere, e di essere giusti, pur sbagliando, in
un mondo colmo di errori ed orrori, nel quale sarebbe più facile,
cedere, compromettersi, con la piccola accidia che diviene complicità
con il male.
Infine, si arriva, e quasi nel silenzio, con un finale straordinario,
tutto si scioglie e quando l’ultima pagina, quella alla fine di
tutte le parole, quella bianca dopo la fine, arriva, è come un colpo
di luce, un liberarsi del respiro sospeso, con la commozione e la
gratitudine per un’esistenza, la nostra, salva. Ma fino a quando?
Francesco Randazzo
Sei giorni
romanzo di Stefano Valente
giovedì 1 novembre 2018
"Pelle di tamburo", un romanzo inedito di Gualberto Alvino
di Mariella Giammarini
e
non è solo il nome della protagonista, ma potrebbe essere il titolo stesso del
romanzo: ne condensa l’essenza. La congiunzione e è quella che imbastisce cose e pensieri in un mondo che non ha più
ordito e può essere narrato solo come elenco paratattico; con un montaggio
analogico dove nessi logici e coordinate spazio-temporali si avvolgono in un
ininterrotto flusso di coscienza. Come il suo nome la lucida follia di e è paratattica; come il mondo ha
smarrito ogni ipotassi, ogni gerarchia di senso e di valori. Così e e il suo dire sono una cosa, l’una non
esisterebbe senza l’altro.
All’inizio ho avuto
paura di trovarmi nell’imbarazzo di fronte a un testo narrativo gravato da un
eccesso di consapevolezza. Capita, quando a scrivere è un filologo, un
linguista, un semiologo, un critico. Quel timore mi ha accompagnata lungo le
prime pagine, il tempo necessario per essere trascinata, e non solo dal ritmo
del racconto. Una jam session per
strumento solista. Come poi ci conferma il cap. X, la lingua, la sintassi del
testo sono il testo.
Si sarebbe tentati di
indulgere all’inutile gioco dei rimandi, delle citazioni (Gadda, Céline, Sterne,
Joyce? soprattutto Rabelais…), ma basta sapere che chi legge fa sempre suoi gli
autori che ama per non assecondare questa tentazione. Ci vorrebbe un Bachtin
per esplorare il labirinto semantico, straripante di fisicità, permeato di
umori corporei, dove tra lotta e amplesso non c’è soluzione di continuità e
l’insaziabile bulimia pantagruelica non placa la fame esistenziale. Un
Carnevale che è già Quaresima, una festa dei folli senza catarsi.
Nell’iperrealismo sessuale non c’è traccia di eros, ma non è mai pornografia,
solo triste anatomia. In un mondo che cancella i sogni, dove gli uomini sono bui
rintanati nelle viscere della città, nel sesso si manifesta l’ultima delusa
speranza di ritrovarsi umani. Un’umanità ridotta a corpi che non conoscono
abbraccio, solo cavità, tumescenze, secrezioni.
Pelle di tamburo è la pelle di e; il contrario di una bambola di gomma, su di lei i colpi della
vita rimbalzano in suoni, si fanno parole di rivolta, sfida nichilista e
tuttavia preghiera. e è un angelo
ribelle, la sua bestemmia è una preghiera inascoltata. Come Giobbe si chiede
ragione, ma trova solo la sorda disattenzione di Dio. È stata maestra e, ha appreso la lezione ingiusta della
vita. Nel degrado dei tuguri, nel carcere, nel manicomio e conserva una pudica nostalgia della bellezza, mentre la sfregia e
si vergogna di provare pietà.
Pelle di tamburo non cerca di compiacere il lettore, ma
lo incalza, riesce a farlo uscire dall’ipocrisia almeno per fargli capire che
quel mondo è anche il suo, gli appartiene.
Assassina seriale,
pazza, e è una cassandra che riesce a
farsi ascoltare. E la sua requisitoria cosmica culmina in un maledizione
biblica, inghiottita dall’alluvione del Biondo Tevere che la riconsegna al
silenzio primordiale, dal quale tutto può ricominciare?
giovedì 25 ottobre 2018
"Tre lune in attesa" di Alfonso Lentini
TRE
LUNE IN ATTESA
di
Alfonso Lentini è l’opera vincitrice della seconda edizione del
Premio Letterario Formebrevi (sezione Le Forme del Dire).
Una
raccolta di acquerelli in prosa poetica, visionari, ironici,
calvinianamente leggeri, ma anche surreali e onirici come un racconto
di Raymond Roussel o Cortazar.
Lentini,
che è anche un artista figurativo di grande visionarietà attraverso
la concretezza degli oggetti, in questo libro dissemina lampi verbali
di grande suggestione che sollevano il lettore oltre la narrazione in
sé, verso un immaginario verbale che si apre a ventaglio e disegna
nella mente percorsi inabituali, lievi e sconcertanti, quasi
psicotropi; ma privi di controindicazioni, se non quella, a voler
rileggere, di vedervi nascosta, attraverso la levigatissima
scrittura, la nostra non meravigliosa realtà.
Francesco
Randazzo
Dal
libro:
TRE
LUNE IN ATTESA
Al
posto del monte Pelmo, portato via in fretta e furia stanotte da
ignoti, si è formata una vastissima conca che sembra una bocca
spalancata per lo stu- pore, una valle ancora senza nome.
Sulla
valle risplendono tre lune in fila. In attesa. Però, a dar retta a
certi visionari, la montagna è ancora là. Il profilo di quel
massiccio che Dio avrebbe scelto come poltrona su cui riposare le sue
membra smisurate, ancora risplende invisibile, inzuppato di raggi
lunari. Trasparente, come tutte le cose vere.
mercoledì 24 ottobre 2018
"Infidelis peregrinatio" di Francesco Randazzo
“Nemo contra Deum nisi Deus ipse.”
(Goethe)
L’interrogazione sul cammino dell’esistenza, in questa plaquette poetica, taglia versi acuminati, a volte ironici, a volte disperati, come se attraversassero in orizzontale il tempo minimo del quotidiano e in verticale il tempo ampio della Storia, sulle orme di Aasvero, Cartaphilus, l’eterno errante.
Coreuta sopravvissuto a morte tragedie
hai voluto sentire l'unisono tirato
estensione mirabile dell'urlo dorico
sospensione del tempo in cui pur visse
Tutto è perduto ora Muti i protagonisti
eliminato il mito resti cantore solo
ruminando archetipi insabbiati
Fischi e danzi su franti capitelli
inneggiando imprecazioni merlate di viole
estinte Fioriscono intorno a te pietre
lave fredde che adesso sono larve
Domani
Dormi coreuta o uomo dormi
e sogna il tuo perduto ditirambo
Pallido sogno di reviviscenti
semidei ammalati di hybris
da Infidelis peregrinatio di Francesco Randazzo
libro disponibile su Amazon
ascolta due audiofile su Le Reti di Dedalus
martedì 23 ottobre 2018
Esilio di Rafael Cadenas
Esilio
Io che non ho mai
avuto un mestiere
che dinanzi a
qualunque avversario mi sono sentito debole
che ho perso i
migliori titoli per la vita
che appena arrivo in
un posto già voglio andarmene (credendo che spostarmi sia una
soluzione)
che sono stato
negato anticipatamente e deriso dai più capaci
che mi schiaccio
alle pareti per non cadere del tutto
che sono oggetto di
risate per me stesso che ho creduto
che mio padre era
eterno
che sono stato
umiliato da professori di letteratura
che un giorno chiesi
come potevo essere d'aiuto e la risposta fu una risataccia
che mai ho saputo
crearmi una casa, né essere brillante, né aver successo nella vita
che sono sato
abbandonato da molte persone perché quasi non parlo
che ho vergogna per
azioni che non ho commesso
che mi è mancato
poco per buttarmi a vivere in strada
che ho perso un
centro che non ho mai avuto
che sono diventato
lo zimbello di molte persone perché vivo nel limbo
che non incontrerò
mai chi mi sopporti
che sono stato
dimenticato a favore di gente più miserabile di me
che continuerò così
per tutta la vita e l'anno prossimo sarò deriso molte volte di più
per la mia ridicola ambizione
che sono stanco di
ricevere consigli da altri più fiacchi di me («Lei è molto
tranquillo, si scuota, si svegli»)
che mai potrò
viaggiare verso l'India
che ho ricevuto
favori senza dare niente in cambio
che vado da un lato
all'altro della città come una piuma
che mi lascio
trasportare dagli altri
che non ho
personalità né voglio averla
che tutti i giorni
trattengo la mia ribellione
che non sono andato
a fare la guerriglia
che non ho fatto
nulla per il mio popolo
che non sono della
FALN1
e mi dispero per tutte queste cose e per altre di cui l'elenco
sarebbe interminabile
che non posso uscire
dalla mia prigione
che sono stato messo
da parte ovunque come inutile
che in realtà non
ho potuto sposarmi né andare a Parigi né avere un giorno sereno
che mi nego a
riconoscere i fatti
che sempre mi sbavo
sulla mia storia
che sono imbecille e
più che imbecille dalla nascita
che ho perso il filo
del discorso che si svolgeva in me e non ho potuto ritrovarlo
che non piango
quando sento il desiderio di farlo
che arrivo tardi per
tutto
che sono stato
rovinato da tante marce e contromarce
che anelo
l'immobilità perfetta e la fretta impeccabile
che nonostante abbia
un orgoglio demoniaco in certe ore mi umilio fino a uguagliarmi alle
pietre
che ho vissuto
quindici anni nello stesso circolo
che mi credevo
predestinato per qualcosa fuori dal comune e mai l'ho raggiunto
che mai userò una
cravatta
che non trovo il mio
corpo
che ho percepito a
lampi la mia falsità e non ho potuto smontarmi, spazzare tutto e
creare dalla mia indolenza il mio fluttuare, dal mio smarrimento una
freschezza nuova, e ostinatamente tengo il suicidio a portata di mano
e mi solleverò dal suolo ancora più ridicolo per continuare a
burlarmi degli altri e di me e persino del giudizio finale.
(traduzione di
Francesco Randazzo)
1
Fuerzas Armadas de Liberación Nacional
giovedì 18 ottobre 2018
“Sette coccodrilli” di Armando Adolgiso
Armando
Adolgiso
“Sette
coccodrilli”
2018
Recensione di Alfonso Lentini
"Le
lacrime sono meno impegnative della risata, si muore dal ridere, mai
dal piangere", scrive Armando Adolgiso; e con questa
consapevolezza pubblica "Sette coccodrilli", un breve ma
assai pungente volumetto (in ebook liberamente scaricabile online)
dove l'ironia e il sarcasmo sono i principali ingredienti di
un’intelligentissima operazione comico/concettuale che ricorda
molto da vicino quella, altrettanto concettuale, di Emilio Isgrò,
quando in varie mostre e pubblicazioni gioca con il problema
dell'identità dichiarando di "non essere Emilio Isgrò" (e
aggiungendo testimonianze in tal senso di altri fantomatici
personaggi). Quella di Isgrò è a suo modo una forma di
autobiografia, ma al negativo, ottenuta attraverso cancellazioni
idealmente simili a quelle dei suoi celebri libri oggetto. Anche
quella di Adolgiso potrebbe rientrare, sia pure paradossalmente, nel
genere delle “autobiografie mendaci”. Infatti Adolgiso, stando
alla lettera, non fa che parlare di sé. Ma se di autobiografia
possiamo parlare, dobbiamo intenderla in senso antifrastico, in
quanto qui il gioco, davvero geniale, consiste nella messa in scena
di sette improbabili (eppure, paradossalmente, probabilissimi)
"coccodrilli" (cioè articoli commemorativi pubblicati dopo
la morte di un noto personaggio) che l'Autore immagina possano essere
stati scritti dopo la sua dipartita e dunque, per così dire,
“apocrifi”. Solo che ogni "coccodrillo" mostra un punto
di vista straniante o stranito, attraverso cui Adolgiso svela
l'ipocrisia, la retorica, la rozzezza intellettuale, la vacuità di
certe tipologie umane (e di conseguenza anche di scrittura). I
presunti autori dei "coccodrilli" sono: L'astioso,
L'egotista, Il filosofo, L'irregolare, La modaiola, La poetessa, La
scalognatrice. E sono questi esponenti di un sottobosco
culturale duro a morire che prendono la parola stravolgendo dati e
verità, proponendo un’immagine grottesca e caricaturale del
personaggio di cui fingono di voler tessere le lodi, ma
sostanzialmente mettendo in ridicolo solo se stessi.
Dunque,
mentre l'Autore si camuffa fingendo che a scrivere siano altri, il
mascheramento si fonde con lo smascheramento. E il volumetto assume
il valore di un vero e proprio pamphlet
che, se ha un difetto, è di essere troppo breve, limitando soltanto
a sette “coccodrilli” il complice divertimento del lettore che
avrebbe potuto prolungarsi ben oltre. Ma perché solo sette? “Perché
tante sono le lettere che compongono il mio nome:
armando”, risponde prontamente l’Autore.
Sorpresa
finale: quella di Adolgiso si rivela un’operazione quasi
“balestriniaina”, se è vero che Nanni Balestrini è l’unico
scrittore del pianeta a non aver mai scritto una sola parola di suo
pugno, essendo tutta la sua opera (romanzi compresi) composta di
collage, cioè frasi prelevate da scritti altrui. Così infatti, con
furbastro candore, dichiara l’Autore nella prefazione al suo libro:
“La
maggior parte delle parole che seguiranno nelle prossime pagine,
com’è nel mio stile, non le ho scritte io, molte sono frutto del
montaggio operato fra luttuosi brani, da me collezionati nel tempo,
apparsi su quotidiani e periodici; articoli di firme famose, meno
famose, e pure pezzi redazionali anonimi”. Nulla di inventato,
dunque. Così va il mondo, miei signori!
mercoledì 17 ottobre 2018
La pelle dell'orso
La vicenda raccontata ne “La pelle dell'orso” di Matteo Righetto è coeva all'invenzione del linguaggio“Basic” per la programmazione dei computer. È una vicenda basica che si sviluppa con una logica binaria, una cascata di zero e uno che simulano un passo dietro l'altro al ritmo perfetto di un metronomo poggiato sul pianoforte, il ritmo fermo e implacabile delle lunghe camminate in montagna.
E' un effetto straniante, leggere un testo in Basic in epoca di HTML fa rallentare il tempo e lo riporta al suo scorrere naturale, non implementato dalla velocità della connessione. Anche la realtà torna alla propria versione non-aumentata, una versione in cui prima di andare a cacciarlo non è possibile guardare un tutorial su come si abbatte un orso gigantesco. Ci vogliono diverse pagine per rientrare nei ranghi ed entrare in armonia con la narrazione di Righetto, ma poi tutto scorre come un ruscello montano felice di scendere a valle attraversando paesaggi meravigliosi, di tanto attraversando anche boschi oscuri e misteriosi popolati di creature magiche immaginarie ed altra tanto spaventosamente reale da diventare quasi mitologica, inafferrabile: El Diàol.
Se c'è una vena narrativa che scende felice a valle, ce n'è una seconda che invece risale faticosamente la china, inciampando in lutti, esperienze emotive fortissime, riti di passaggio all'età adulta e un'impresa epica al limite del credibile. È la parabola di Domenico, che nel giro di qualche giorno cresce quanto non avrebbe potuto fare in una vita intera tra banchi di scuola e professione.
È così tanta la voglia di partecipare fisicamente alla sua vicenda che come lettori ci si trova rammaricati del fatto non avesse avuto una GoPro sulla fronte per mandare in diretta Facebook tutto quanto. Invece non si può, il linguaggio Basic non supporta questo tipo di funzioni perciò bisogna affrontare la cosa per quella che è: un romanzo, non un video virale da pochi secondi. In questa differenza si configura monolitica l'autenticità della storia, che ti costringe a spogliarti di tutto per tornare Basic e potertici finalmente immergere appieno, diventando goccia di quel ruscello montano che scende a valle, verso l'epilogo.
Attenzione però.
Sulla mappa, circa a metà strada, sono segnalate delle rapide insidiose con scogli emergenti e orso affamato di carne umana. Le acque saranno vorticose e la storia si dividerà prendendo ogni pezzo un mulinello diverso, finendo sott'acqua e riemergendo, cozzando con altri vicini in una apparente confusione di schiuma, schizzi come proiettili e riflessi cristallini. Subito dopo, quando siamo ancora storditi dalla furiosa danza, le vorticose diventano placidissime come il Sile silente che scorre in pianura, tutto si placa in momenti di sospensione: troppo è accaduto in frazioni di secondo perché un essere vivente emotivo complesso e razionale possa elaborarle ed avere una reazione. Lo stallo. Si è raggiunto il punto di culmine del climax -uno pensa- di qui in avanti sarà una facile discesa fino all'ultima pagina.
Sbagliato.
Lo stallo è nel punto culmine del climax, ma nella situazione in cui il vagone delle montagne russe ha raggiunto il punto più alto della salita e non ha davanti una morbida discesa, bensì una discesa quasi verticale ad alta velocità.
Quindi via verso la fine, inseguendo la gravità o facendosene trainare, schivando i dolori disseminati sul percorso, siano quelli delle vesciche ai piedi o quelli dell'anima. La velocità è fredda in montagna e il freddo si infiltra fino dove vuole, fino a congelare i sentimenti in uno stato di indifferente coma. E per fortuna. Nessuno nel pieno possesso delle proprie capacità mentali avrebbe mai potuto affrontare un'odissea subito dopo averne conclusa un'altra, il tempo di mandare giù un boccone e riposare un paio d'ore. Roba da miti greci.
Ma l'energia che muoverà il carretto e Domenico non viene dalla manzetta al traino; il sentimento è la forza traente.
Di qui la storia procede quasi bucolica e te lo immagini questo ragazzino molto Basic che sotto una gelida luna montana compie un viaggio improbabile passando di scenografia mozzafiato in scenografia mozzafiato, il Pelmo, la Val Fiorentina, i boschi del Crot, lo Staulanza e la Val Zoldana, il Civetta, immagini anche a cosa possa aver pensato durante quelle lunghe ore, immagini quanto martirio si sarebbe risparmiato se avesse potuto scattarsi un selfie con l'orso morto e avesse potuto inviarlo su Whatsapp a Mario Crepaz, e accumuli una quantità enorme di senso di pietà che aspetti di sfogare nelle pagine che seguono.
Invece no. Un'altra volta.
Perché dietro l'angolo si presenta inaspettata una tragedia ancora più immane di quella che hai seguito fino a quel punto: il Vajont. E si presenta anche a Domenico. È ovvio un comune sentimento di pietà generale, una condivisione di questo sentimento con il protagonista che invece rimane freddo. Freni il rilascio della tua pietà perché non capisci verso chi rivolgerla: alle migliaia di morti sotto il fango o a quel ragazzino che ha vissuto una storia tragica ed è rimasto solo al mondo, tanto sconvolto da non provare pietà per chi è stato colpito dal disastro? C'è un blocco nello stomaco, una mancata digestione emotiva che si risolve con il rigetto di Domenico, che evidentemente non è solo suo ma è anche nostro. Il vomito espelle l'accumulo di sensazioni compresse e se hai l'abitudine di leggere prima di dormire, la notte in cui finisci il romanzo la passi dormendo coccolato da un senso di sollievo, molto Basic pure quello.
Si familiarizza presto con questo romanzo, l'architettura a capitoli brevissimi lo rende colloquiale, una storia raccontata davanti al caminetto mentre fuori nevica, una sorta di filò in cui di tanto in tanto il narratore fa una pausa, viene distratto da qualcosa che gli succede attorno o si interrompe per mettere un altro ciocco al fuoco, per sorseggiare un po' di brulé fumante lasciando a chi ascolta il tempo di pensare a quanto potesse essere grande El Diàol.
E' un effetto straniante, leggere un testo in Basic in epoca di HTML fa rallentare il tempo e lo riporta al suo scorrere naturale, non implementato dalla velocità della connessione. Anche la realtà torna alla propria versione non-aumentata, una versione in cui prima di andare a cacciarlo non è possibile guardare un tutorial su come si abbatte un orso gigantesco. Ci vogliono diverse pagine per rientrare nei ranghi ed entrare in armonia con la narrazione di Righetto, ma poi tutto scorre come un ruscello montano felice di scendere a valle attraversando paesaggi meravigliosi, di tanto attraversando anche boschi oscuri e misteriosi popolati di creature magiche immaginarie ed altra tanto spaventosamente reale da diventare quasi mitologica, inafferrabile: El Diàol.
Se c'è una vena narrativa che scende felice a valle, ce n'è una seconda che invece risale faticosamente la china, inciampando in lutti, esperienze emotive fortissime, riti di passaggio all'età adulta e un'impresa epica al limite del credibile. È la parabola di Domenico, che nel giro di qualche giorno cresce quanto non avrebbe potuto fare in una vita intera tra banchi di scuola e professione.
È così tanta la voglia di partecipare fisicamente alla sua vicenda che come lettori ci si trova rammaricati del fatto non avesse avuto una GoPro sulla fronte per mandare in diretta Facebook tutto quanto. Invece non si può, il linguaggio Basic non supporta questo tipo di funzioni perciò bisogna affrontare la cosa per quella che è: un romanzo, non un video virale da pochi secondi. In questa differenza si configura monolitica l'autenticità della storia, che ti costringe a spogliarti di tutto per tornare Basic e potertici finalmente immergere appieno, diventando goccia di quel ruscello montano che scende a valle, verso l'epilogo.
Attenzione però.
Sulla mappa, circa a metà strada, sono segnalate delle rapide insidiose con scogli emergenti e orso affamato di carne umana. Le acque saranno vorticose e la storia si dividerà prendendo ogni pezzo un mulinello diverso, finendo sott'acqua e riemergendo, cozzando con altri vicini in una apparente confusione di schiuma, schizzi come proiettili e riflessi cristallini. Subito dopo, quando siamo ancora storditi dalla furiosa danza, le vorticose diventano placidissime come il Sile silente che scorre in pianura, tutto si placa in momenti di sospensione: troppo è accaduto in frazioni di secondo perché un essere vivente emotivo complesso e razionale possa elaborarle ed avere una reazione. Lo stallo. Si è raggiunto il punto di culmine del climax -uno pensa- di qui in avanti sarà una facile discesa fino all'ultima pagina.
Sbagliato.
Lo stallo è nel punto culmine del climax, ma nella situazione in cui il vagone delle montagne russe ha raggiunto il punto più alto della salita e non ha davanti una morbida discesa, bensì una discesa quasi verticale ad alta velocità.
Quindi via verso la fine, inseguendo la gravità o facendosene trainare, schivando i dolori disseminati sul percorso, siano quelli delle vesciche ai piedi o quelli dell'anima. La velocità è fredda in montagna e il freddo si infiltra fino dove vuole, fino a congelare i sentimenti in uno stato di indifferente coma. E per fortuna. Nessuno nel pieno possesso delle proprie capacità mentali avrebbe mai potuto affrontare un'odissea subito dopo averne conclusa un'altra, il tempo di mandare giù un boccone e riposare un paio d'ore. Roba da miti greci.
Ma l'energia che muoverà il carretto e Domenico non viene dalla manzetta al traino; il sentimento è la forza traente.
Di qui la storia procede quasi bucolica e te lo immagini questo ragazzino molto Basic che sotto una gelida luna montana compie un viaggio improbabile passando di scenografia mozzafiato in scenografia mozzafiato, il Pelmo, la Val Fiorentina, i boschi del Crot, lo Staulanza e la Val Zoldana, il Civetta, immagini anche a cosa possa aver pensato durante quelle lunghe ore, immagini quanto martirio si sarebbe risparmiato se avesse potuto scattarsi un selfie con l'orso morto e avesse potuto inviarlo su Whatsapp a Mario Crepaz, e accumuli una quantità enorme di senso di pietà che aspetti di sfogare nelle pagine che seguono.
Invece no. Un'altra volta.
Perché dietro l'angolo si presenta inaspettata una tragedia ancora più immane di quella che hai seguito fino a quel punto: il Vajont. E si presenta anche a Domenico. È ovvio un comune sentimento di pietà generale, una condivisione di questo sentimento con il protagonista che invece rimane freddo. Freni il rilascio della tua pietà perché non capisci verso chi rivolgerla: alle migliaia di morti sotto il fango o a quel ragazzino che ha vissuto una storia tragica ed è rimasto solo al mondo, tanto sconvolto da non provare pietà per chi è stato colpito dal disastro? C'è un blocco nello stomaco, una mancata digestione emotiva che si risolve con il rigetto di Domenico, che evidentemente non è solo suo ma è anche nostro. Il vomito espelle l'accumulo di sensazioni compresse e se hai l'abitudine di leggere prima di dormire, la notte in cui finisci il romanzo la passi dormendo coccolato da un senso di sollievo, molto Basic pure quello.
Si familiarizza presto con questo romanzo, l'architettura a capitoli brevissimi lo rende colloquiale, una storia raccontata davanti al caminetto mentre fuori nevica, una sorta di filò in cui di tanto in tanto il narratore fa una pausa, viene distratto da qualcosa che gli succede attorno o si interrompe per mettere un altro ciocco al fuoco, per sorseggiare un po' di brulé fumante lasciando a chi ascolta il tempo di pensare a quanto potesse essere grande El Diàol.
Lorenzo Pezzato
martedì 24 luglio 2018
NON ESSERCI PIÙ, di Carlo Cenciarelli
Furono
quelli i suoi giorni più quieti e più belli.
L’angoscia
che lo opprimeva all’idea di non aver concluso nulla a quarant’anni compiuti e
che gli aveva tenuto gli occhi spalancati e doloranti per tante notti, s’era d’un
tratto dissolta. La vita aveva preso un gusto nuovo, un incanto più intenso.
Abbandonata
ogni attività, vagabondava allegramente per i tanti giardini e le infinite strade
e piazze della sua Roma. Si fermava a pranzare e cenare nei posti migliori e ne
usciva sempre leggermente ebbro.
Quando,
in quella bella serata di giugno, rientrò nel suo appartamento accaldato,
stanco, stranamente soddisfatto di sé, quasi non ricordava più la sua
nerolucida cintura che penzolava annodata da quella canna d’acciaio in cantina;
né avrebbe mai immaginato fosse così facile e naturale infilare la gola nel
cappio.
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