Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

giovedì 20 dicembre 2012

Su chiamata


sciabatta h24 panbiscotto latte u.h.t.
ha sballato d’intenzione frequenze digitali
furioso sul remoto funzioni incomprensibili
Ok pigiati random in attesa d’intervento
coccola il decoder Pater noster st’altr’anno
fanno ottanta

giovedì 13 dicembre 2012

Silvio, rimembri ancora



Silvio, rimembri ancora
quel tempo della tua vita immorale,
quando la topa splendea
agli occhi tuoi lubrichi e porcellini,
e tu, lieto e sudato, illimitato
la gioventù assalivi?

Trombavi nelle inquiete
stanze, e le troie d'intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'orge femminili intento
ti davi, assai contento
di quel vago venir che in mente avevi.
Era il pelo odoroso: e tu solevi
così menare il ciurlo.

E i corrotti leggiadri
talor lasciando le truccate carte,
ove il tempo lor infimo
e di mazzette si spendea la miglior parte,
d'in su i veroni del papito ostello
porgean i voti al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa sega.
Mirava il ciel sereno,
le fighe dorate e gli orchi,
e quinci il viagra da lungi, e quindi la monta.
Lingua mortal suppliva
quel che s'alzava poco.

Che passere soavi,
che speranze, che culi, o Silvio mio!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanto sperme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di tua sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? Perché di tanto
inganni i silvi tuoi?

Tu dopo ben venti inariditi verni,
da chiuso Monti combattuto e vinto,
rincoglionivi, o tenerello. E già vedevi
disfatti gli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce topa or dalle rubizze clito,
or degli sguardi allupati e schifi;
né teco le olgettine ai dì festivi
trastullavan d'amore.

Anche perì e non poco
la speranza tua dolce: agli anni tuoi
anche negaro i fati
la eternitezza. Ahi come,
come passato sei,
caro anfitrione dell'età minore,
lor strapagata speme!
Questo è quel mondo? Questi
i diletti, l'amor, l'orge, le pompe
onde cotanto trombeggiaste insieme?
Questa la sorte d'infoiate genti?
All'apparir del Vero
tu, misero, cadesti: e con la mano
la fredda minchia ed un poter perduto
rimpiangevi di lontano.


(da "Zabaione e Canti" di Giacomo Leopippiè)




mercoledì 5 dicembre 2012

12



rintrona la campana
battuta da chimico batacchio
dodici l’acqua già salata
bolle postevento tutto un dritto
ultracircadiano mixa il viaggio coso lì
meriggio ganja chill

domenica 2 dicembre 2012

Rinascere vorrei e se fosse



Rinascere vorrei e se fosse
essere scontrollato impenitente
fanculista e privo di morale
puttaniere sadico arrivista
Mi voglio divertire senza colpa
e della colpa farne una virtù
E non studiare che m'ingolferei
Lasciar la mente brada belluina
Fottermi il mondo alla pecorina
Straziare tutto e cantarci su
Così perfetto non mi soffrirei
le pene e l'emozioni ch'ora c'ho
Esser bastardo è esser felice
privo d'umanità ricco di tutto
Assatanato avido succhioso
puro vampiro libidassassino
Se rinasco ci provo me lo giuro
e se m'incontro manco mi saluto



 ©francescorandazzo_2012



Comunicare Pizzuto

Antonio Pizzuto è uno degli scrittori più originali del Novecento italiano, sperimentatore apprezzato da Gianfranco Contini in Italia e all'estero da intellettuali e scrittori come Michel Butor. “Comunicare Pizzuto” è un saggio di Salvo Butera che prova ad analizzare il "sistema comunicazione" dello scrittore, evidenziando come egli abbia operato una rivoluzione nei vari aspetti della forma particolare di comunicazione che è il testo letterario. Una scrittura, quella pizzutiana, fortemente multimediale che in certi casi (sebbene lo scrittore sia scomparso nel 1976) sembra presagire l'avvento del web e dei social network: lo si evince dal modo in cui Pizzuto coinvolge il lettore definendolo “coautore” del testo, ma anche dalla forma ipertestuale che hanno i suoi scritti, capaci sia di richiamare altri testi letterari che altre forme d’arte. Il tutto permeato da una musica intrinseca alla scrittura tanto che Butera prova a effettuare un parallelismo (neanche troppo azzardato) tra Pizzuto e compositori come Stravinskij e Schönberg. Una chiave di lettura originale per avvicinarsi a questo scrittore diverso da tutti gli altri. Il saggio si può leggere in formato ebook su Amazon.it.

venerdì 30 novembre 2012

Il cane di Pavlov



Ha la cuccia nel desiderio nostro
sta acquattato silenziosamente
nel nostro tubo molto diligente
gli piacciono assai le suonerie
e chatta spesso dentro a feisbuc

Sbava talmente tanto che gli manca
il tempo di pensare a cosa mangia
e se non mangia aspetta lo drindrin
per sbavare aspettare sbavare
senza abbaiare né protestare
Basta un pezzetto di qualcosa
anche fango anche merda
che suoni prima a reclame
per stare allegro come un imbecille

Il cane di Pavlov è morto ma
a ben guardare dentro ognun ce l'ha

Questa è una filastrocca sciocca
Questa è una strocciocca scifila
Chi la snocciola il senso infila

Dottore Dottore ho male al kuore
eppure non mi muore non mi muore

Ha letto Thomas Mann e quel del cane
Non si torturi l'uomo è un gran bastardo

Squillano i campanelli imperiosi
e il dottor Pavlov rulla su un bel samba
il cane mio si zompa e mi divora

Ah quant'è brutta di notte la contr'ora

M'ubriaco come corpo morto amaca



©francescorandazzo_2012


 

mercoledì 28 novembre 2012

Sentirsi come Walter Benjamin a Port-Bou



Sentirsi come Walter Benjamin a Port-Bou
ma obbligarsi alla pazienza e sperare così
che la valigia non si perda né la vita
e il fitto di cinque anni al cimitero
non si sprechi Piuttosto che domani
si potrà salpare verso un nuovo mondo
anche se adesso non s'immagina vero
Aspettando eppure c'è bisogno
di morfina in giuste dosi per reggere
il peso insostenibile del mondo in pezzi
rallentando il respiro ma non troppo
e il corpo risentirlo nella mente
e il pensiero rinvigorire le membra
sforzare il cuore esausto a credere
e tacersi tacersi tacersi il peggio
che lievita e alita e inumida la pelle

Sentirsi come Walter Benjamin a Port-Bou
evitandosi l'errore della ragione estrema

L'angelo nuovo non dovrà voltarsi



©francescorandazzo_2012











giovedì 22 novembre 2012

Quel che non è sogno




Quel che non è sogno

Lascia che in quest'ora io ti parli
di dolore, con allegre
parole. Già si sa
che lo scorpione, la sanguisuga, il pidocchio,
a volte curano. Ma tu ascolta, lasciami
dirti che, nonostante
tanta deplorabile vita, sì,
nonostante e ancora adesso
che siamo nella sconfitta, mai domati,
il dolore è la nube,
l'allegria lo spazio;
il dolore è l'ospite,
l'allegria la casa.
Che il dolore è il miele,
simbolo della morte, e l'allegria
è agre, secca, nuova,
l'unica cosa che possiede
vero senso.
Lascia che, con vecchia
saggezza, dica:
nonostante, nonostante
tutti i nonostante
e pur se sia molto dolorosa
e pur se sia a volte impura,
sempre, sempre
la più profonda verità è l'allegria.
Quella di un fiume torbido
fa pulite le acque,
quella che fa io ti dica ora
queste parole così indegne,
quella che ci arriva come
arriva la notte e arriva il mattino,
come arriva sulla battigia
l'onda
irrimediabilmente.


Traduzione di Francesco Randazzo



 Il testo originale in spagnolo nel blog di Pedro Pablo Novillo Cicuéndez, QUEPENSAR, il quale ringrazio per avermi fatto conoscere questo poeta spagnolo contemporaneo imprescindible.

Il sito di Claudio Rodrigues, qui.




lunedì 19 novembre 2012

Primitivi al futuro


parleremo senza tregua della ruota due
raggio per pi greco ruzzolare non è ahimè
rotolare il pendio mantendosi uguale muta
punto di vista se potrai l’overcraft sovviene
esempio non pavoneggiarsi ciclomunito
usata violenza eppure all’attrito salirà
semmai di rincorsa

lunedì 12 novembre 2012

«SENZA» cortometraggio in 10 secondi




SENZA
cortometraggio finalista al YES WE TEN, Ozu Film Festival 2012

sceneggiatura e regia di Francesco Randazzo
con Rossana Veracierta
musica di Calogero Giallanza







sabato 10 novembre 2012

Scrivere lettere nel buio



Scrivere lettere nel buio
Sentirsi sotto una coperta
con le spalle protette
e rischiare l'azzardo
con parole salate

Qualcuno bussa tra le costole
Sospiri freddi sopra i tetti
Tutti i cani randagi sono morti
L'igiene del mondo è una tortura
A Woodstock non c'erano le docce
negli antri di Wall Street anche troppe

Comprerò un frigorifero grande
e là congelerò un respiro profondo
nel tempo di oggi per altri domani





©francescorandazzo2012







martedì 6 novembre 2012

ombelico mobile


dall’abitacolo particolato
(senti la ventola, muove al filtro hepatico)
in punta di lancetta limitatamente centodieci
nei finti elisi sotto l’arco led Infotraffico
settembre ventinove ’miladodici condividi su

venerdì 2 novembre 2012

2 novembre





I cani della morte abbaiano
ogni giorno intorno a me
Stanotte tacciono ed io
li guardo fisso negli occhi
Vorrei addormentarli
ma loro tengono sveglio me

È il due novembre
ballo coi miei morti
come fosse niente
quello ch'è accaduto

Canto nel silenzio
le affollate assenze
nella mia cattedrale
di porosa memoria

E parlo parlo parlo
senza aprir bocca
lingue sconosciute
che non ricordo
d'aver dimenticato

I cani della morte abbaiano
ogni giorno intorno a me
Stanotte tacciono ed io
li guardo fisso negli occhi
Vorrei addormentarli
ma loro tengono sveglio me






©francescorandazzo2012








giovedì 1 novembre 2012

Recensione di Fabrizio Centofanti a "Shechinàh"


Shechinàh, di Francesco Randazzo, é un poemetto straordinario, che trascina in un vortice di santi e puttane, carabinieri e migranti, situazioni quotidiane trasfigurate da un’ironia sottile, che a volte si trasforma in sarcasmo, a volte si scioglie in commozione che non puoi controllare. Una denuncia garbata e spietata, nello stesso tempo, delle contraddizioni che infarciscono la vita, sempre esposta al pericolo della rovina e al bagliore inaspettato della grazia. Un racconto allucinato e lucido che si snoda tra due abissi: quello di un male che degenera spesso nella farsa della mediocrità e quello di una dignità miracolosamente ritrovata. Si ha l’impressione di toccare con mano la gigantesca domanda d’amore di un’umanità derelitta e, contemporaneamente, di sfracellarsi contro il muro di una perpetua estraneità. Il tutto racchiuso in un linguaggio poetico frammentato e musicale, che ricorda certe opere novecentesche tra Sibelius e Bartók. Numerose le ascendenze che si potrebbero evocare: da Bob Dylan a Bertolt Brecht, da Ginsberg a Dostoevskij; ma l’esito finale é un’originalità compatta e fluida. L’amore di un poetico Gesù si comunica a un mondo variegato, fuori di ogni schema, dove l’unica certezza é la disperazione di innocenti che finiscono con l’inciampare casualmente in una inedita speranza. Tra filosofia e letteratura, teologia e hilarotragoedia, il poemetto fila via con aria impertinente e imperturbabile, come se l’unico modo per conoscere il mondo fosse quello di un sorriso leggero, sospeso tra Calvino e Milan Kundera, che si tira dentro la tradizione epica e lirica italiana, da Ariosto a Dario Fo. I miracoli di un Gesù un po’ dandy e un po’ comunista s’intrecciano con una scrittura che mescola clamorosamente Dio e il gorgonzola, il mistero della vita e il cavolfiore grande come un cocchio; un cortocircuito di cui diviene simbolo magistrale il trittico morte subita – risurrezione – morte accettata come approdo sereno di una vita retta, nella scena dell’incidente stradale; o in quella strappalacrime di Dio che vorrebbe dare al mondo corrotto una lezione esemplare, spaventosa e apocalittica, e invece é fermato dalla supplica di una semplice bambina. Il riso finale della coppia di giovani in amore é un sigillo che tiene viva, nella memoria del lettore, la densitá e la leggerezza di una storia senza tempo e, direi, felicemente riuscita.



Francesco Randazzo, Shechinàh, Amazon, euro 2,68.

domenica 28 ottobre 2012

Scorre scorre la notte scura (da Shechinàh)


Scorre scorre la notte scura
lungo le strade dentro ai portoni
Lunga come lingua avvolge
le automobili e le scarpe dei barboni
Racchiude dentro la sua lenta saliva
il sonno dei dormienti
la veglia degli insonni
Scorre scorre la notte scura
sui corpi delle cose
trasforma il colore degli uomini
e fa del loro respiro
nostalgia della luce
Scorre scorre la notte scura
certezza del riposo
speranza del risveglio
occhio che si chiude
taglio che si apre
rasoio che accarezza
bacio che colpisce
oblio e memoria
Fino al caffé nero che bevuto
caccia dentro la notte
e ci precipita nel giorno
Sogno di mani e piedi
Sogno di animali parlanti
Sogno d’altri mondi
Sogno di cera e fumo
Sogno di corpi giovani
Sogno di frutta e ferro
Sogno del tempo assente
Sogno di cifre e lettere
Sogno d’algoritmi e latte
Sogno d’incubo
Sogno di sogno
Anche chi veglia sogna
La notte stessa è un sogno
L’uomo cammina nel buio
e la notte lo prende per mano
mentre le stelle cantano l’eterno
I bambini sognano angeli
I vecchi sognano bambini
Le donne sognano i vecchi
Gli uomini sognano la notte
mentre le stelle cantano l’eterno
Fasci di luce giganteschi
abbagliano l’arena risvegliata
Scalpita il pubblico dentro al Colosseo
Ognuno spara in aria urla e ferocia
S’attendono gli attori del supplizio
L’immane agone dello scannatoio
Ecco la madre ebrea che porta il figlio
al gladiatore nazi accanto al rogo
Ecco i giovani di Palestina
si lanciano ed esplodono chiamando
Ecco il bambino che annusa la colla
inchiodato alla tavola del ricco
Ecco il folle che canta e poi s’impicca
Ecco la nonna che non fu mai madre
Ecco il bambino con gli organi rubati
Ecco la gamba trancia il petto aperto
Ecco la bimba prostituta per la fame
Ecco le piaghe ecco la sventura
Ecco il deforme ecco il disprezzato
Ecco l’orrore ed ecco il pianto
Ecco la telecamera spietata
L’arena è colma
Il pubblico singhiozza
Ama lo strazio
e grida e si dispera
Mangiando patatine ben salate
Si gode lo spettacolo
finché
cambia canale
e guarda un varietà
o meglio ancora la pubblicità
L’imperatore è assente ma controlla
ogni perturbamento dello share
Scorre scorre la notte scura
inutilmente prova ad occultare
ma non può oscurare
Scorre scorre la notte scura
e le mura della città stanche
di luci di lampioni e di televisioni
pregano Dio che mandi un bel black out
 



da "Shechinàh" di Francesco Randazzo ©all rights reserved
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«Shechinàh» di Francesco Randazzo - EBook


Francesco Randazzo
Shechinàh
(La presenza di Dio fra gli uomini)
Viaggio per Coro - Rap
 
Il concetto ebraico della Shechinàh (La presenza di Dio fra gli uomini) percorre tutte le religioni, con forme e apparizioni differenti.

Un viaggio poetico di qualcuno che appare o torna al mondo attraverso la parola e incontra uomini e donne e con loro compie un percorso duro di verità e critica del quotidiano, ma anche d'amore per la vita e per il mondo offeso.

Shechinàh è una drammaturgia poetica orale, discorso unico ma sempre in divenire, come le strade, come gli incroci dove si incontrano o si dividono le vite e i fatti della quotidiana realtà.

É una sacra rappresentazione contemporanea, poetica e drammatica, che ha il suo fondamento nell’oralità e che vive attraverso un codice antico espresso nella contemporaneità forte e vitale della parola che colpisce, per questo ed in questo senso, rap.


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sabato 27 ottobre 2012

La parola verticale di Gualberto Alvino


Recentemente per Loffredo Editore, nella collana Studi di Italianistica, è uscito “La parola verticale – Pizzuto, Consolo, Bufalino” di Gualberto Alvino.
Il volume è una ricognizione sull’opera dei tre autori virtuosi della forma che si fa sostanza, completa di glossari, indici morfologici, segnalazione di dialettismi, hapax e coniazioni originali fondamentali per entrare in profondità nella comprensione disvelatrice dei loro testi. Potremmo definirlo una sorta di istruzioni per l’uso.
Quello che però colpisce di più –almeno ha colpito il sottoscritto- è certamente l’impagabile dialogo su Pizzuto tra lo Scettico ed il Fautore.
Si tratta di una conversazione tolta dallo spazio e dal tempo, quasi gli interlocutori fossero a bordo di un’astronave, poggiati ad un ipotetico bancone di bar sorbendo un caffè ed approfittassero dell’occasione per scambiare opinioni. Il livello è alto, ma riesce a rimanere sempre colloquiale e a mantenere quindi una trasparenza, una intelligibilità che lo studio critico-filologico non può (e non deve) permettersi, liberandosi oltretutto dell’aura di impenetrabilità accademica che rende quegli studi normalmente riservati ad un pubblico di specialisti o specializzandi.

martedì 23 ottobre 2012

Choosy cha cha cha



Quand'ero ragazzo ero molto choosy
mi piaceva soltanto una di nome Giusy
che era più choosy di me con un altro
Passati son trent'anni ed ho scoperto
che sto disoccupato e senza sbocco
per colpa di di choosy Giusy cha cha cha

Quand'ero bambino abitavo sopra Cusi
Ultimoda abbigliamento very cool choosy
Ma la mamma là non ci comprava niente
che gli faceva choosy comprar da Cusi
Passati son quarant'anni ed ho scoperto
che sto disoccupato e senza sbocco
per colpa di choosy Cusi cha cha cha

Sono un grande choosy incancrenito
perché c'avevo un lavoro preferito
ma il lavoro è più choosy di me
ed è sparito per me e per te
Il lavoro choosy non è perché non c'è
perché non c'è perché non c'è

Non ci resta che cantar
Choosy choosy cha cha cha

Non ci resta che ballar
Choosy choosy cha cha cha





© francesco randazzo2012

domenica 21 ottobre 2012

Judi Dench legge Elizabeth Barrett Browning, Sonetto XLIII



How do I love thee? Let me count the ways.
I love thee to the depth and breadth and height
My soul can reach, when feeling out of sight
For the ends of Being and ideal Grace.
I love thee to the level of everyday’s
Most quiet need, by sun and candle-light.
I love thee freely, as men strive for Right;
I love thee purely, as they turn from Praise.
I love thee with the passion put to use
In my old griefs, and with my childhood’s faith.
I love thee with a love I seemed to lose
With my lost saints,—I love thee with the breath,
Smiles, tears, of all my life!—and, if God choose,
I shall but love thee better after death.

(Elizabeth Barrett Browning, Sonnet XLIII,  Sonnets from the Portuguese)


Come ti amo? Lasciami contare i modi. 
Ti amo con l’altezza, ampiezza e profondità 
che può raggiungere la mia anima, quando tendo 
verso i confini invisibili dell’Essere e della Grazia celestiale. 
Ti amo come la più semplice necessità quotidiana, 
alla luce del sole e al lume di candela. 
Ti amo liberamente, come gli uomini lottano per il Giusto; 
ti amo con purezza, così come essi fuggono le Lodi. 
Ti amo con tutta la passione che ho messo
nei dolori del passato, e con la fede della fanciullezza. 
Ti amo di un amore che mi sembrava di perdere 
insieme  ai miei santi perduti ti amo con il respiro, 
i sorrisi e le lacrime di tutta una vita! e, se Dio vorrà, 
non potro che amarti ancor meglio dopo la morte. 


venerdì 19 ottobre 2012

Dopo quasi mezzo secolo




Dopo quasi mezzo secolo continuo ad essere
il teatro occupato di me stesso  Abusivamente
Fumo come Simenon Mi rinserro come Craig
Cazzeggio alla Groucho e scattìo all'Artaud
Un giorno di questi mi sgombero senza violenza
Senza fretta però chè c'ho molto da fare









©francescorandazzo2012












In compagnia d'Antonin Artaud

giovedì 18 ottobre 2012

Se qualcuno...





Se qualcuno vi domandasse come sono le huri,
mostrate il vostro volto e dite: così!

Se qualcuno vi chiede della luna,
arrampicatevi sul tetto e dite: così!

Se qualcuno cerca una fata,
lasciatelo che vedano la vostra espressione,

Se qualcuno vi chiede l'odore del muschio,
sciogliete i vostri capelli e dite: è così!

Se qualcuno vi chiede: "Come fanno le nuvole a coprire la luna?"
slegate i lacci del vostro abito, nodo per nodo e dite: così!

Se qualcuno vi chiede: "Come Gesù resuscitò il morto?"
baciatemi sulle labbra e dite: così!

Se qualcuno vi chiede: "Come sono coloro uccisi per amore?"
mandateli a me e dite: così!

Se qualcuno vi chiede quanto sono alto,
mostrategli le vostre sopracciglia e dite: così!


Mevlana Jalaluddin Rumi (dal sito www.sufi.it)








mercoledì 17 ottobre 2012

Meru




Tenuta insieme nel cerchio, la civiltà è condotta
sotto una regola, sotto una parvenza di pace
dalla molteplice illusione; ma la vita dell'uomo
è il pensiero, ed egli, malgrado il suo terrore,
non può smettere di predare secolo dopo secolo,
di predare, furioso, e sradicare cosicchè giunga
alla desolazione della realtà:
addio, Egitto e Grecia, addio, Roma!
Gli eremiti sul Monte Meru o sull'Everest,
incavernati la notte sotto la neve a mucchi,
o dove la neve e la terribile raffica invernale
battono sui corpi nudi, sanno
che il giorno implica la notte, e che prima dell'alba
la sua gloria, i suoi monumenti sono perduti.


Civilization is hooped together, brought
under a rule, under the semblance of peace
by manifold illusion; but man's life is thought,
and he, despite his terror, cannot cease
ravening through century after century,
ravening, raging, and uprooting that he may come
into the desolation of reality:
Egypt and Greece, good-bye, and good-bye, Rome !
Hermits upon Mount Meru or Everest,
caverned in night under the drifted snow,
or where that snow and winter's dreadful blast
beat down upon their naked bodies, know
that day brings round the night, that before dawn
his glory and his monuments are gone.




William Butler Yeats, 1934

martedì 16 ottobre 2012

Quando di notte





Quando di notte canta l'illusione
e scrocchia nelle ossa l'apprensione
scivolo dalla finestra alla pozzanghera
e dalla terra estraggo la mia ruggine
Quando di notte bisbiglia il sogno
e i denti si corrodono strusciando
cammino per le strade mutaforma
e mi disanimo in oscura veglia
Quando di notte esisto e tutto dorme







©francescorandazzo2012







sabato 13 ottobre 2012

Oggi ho incontrato Hölderlin




Oggi ho incontrato Hölderlin
Dice che scrive poesie in tedesco
A vent'anni ero fissato con la poesia tedesca
gli ho detto Ma non lo so il tedesco
Conosco a memoria il pezzo di Schiller
in tedesco quello con la musica sotto
Ma non lo so che vuol dire Parla di Gioia
in generale immagino dal titolo
Come mai M'ha chiesto Hölderlin
Come mai che Gli ho detto io
Come mai sai Schiller se non sai il tedesco
Mi piaceva cantare Ero baritono
Hölderlin ha starnutito Almeno credo
Non voglio pensare che un poeta sputi
Non canto più Mi sono affrettato a dirgli
Non canto più Fumo troppo Da troppo tempo
Questo a Hölderlin gli è piaciuto
Ti fai le canne Mi ha chiesto sorridendo
se ne avevo una per lui No veramente no
Fumavo sigarette ora fumo la pipa
S'è innervosito assai e ha starnutito
Dondolava la testa e le spalle su e giù
Pareva un po' pazzo o in astinenza
M'ha fatto pena e l'ho riportato in biblioteca
La signorina al banco l'ha preso in mano
e lui s'è calmato Sono uscito di corsa







©francescorandazzo2012






 

giovedì 11 ottobre 2012

Come un Dio misterioso









Perché io non conosco la tua lingua, cuore.
Mi hai parlato a lungo e ti ho seguito, ignaro.
La donna che mi accompagna traduce per me.
Il bambino che accompagno traduce per me.
Perché io non conosco la tua lingua, cuore,
ma tu continua a parlarmi, come un Dio misterioso.









© francescorandazzo2012








mercoledì 10 ottobre 2012

Una repubblica fondata sul


Segna il passo
il detenuto numero
busta paga alla caviglia
il secondino fantasma
porta uniformi militari
di desideri inutili
stellette sulle spalle
come ambito ristorante
squilla ordini nei timpani
buzz mode on «at-tenti!»

martedì 9 ottobre 2012

Giuseppe Prezzolini - Le regole dell’Italiano


Capitolo I. - Dei furbi e dei fessi


1. I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi.
2. Non c'è una definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto intero in ferrovia, non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente nella magistratura, nella Pubblica Istruzione ecc.; non è massone o gesuita; dichiara all'agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, ecc. questi è un fesso.


3. I furbi non usano mai parole chiare. I fessi qualche volta.


4. Non bisogna confondere il furbo con l'intelligente. L'intelligente è spesso un fesso anche lui.


5. Il furbo è sempre in un posto che si è meritato non per le sue capacità, ma per la sua abilità a fingere di averle.

6. Colui che sa è un fesso. Colui che riesce senza sapere è un furbo.


7. Segni distintivi del furbo: pelliccia, automobile, teatro, restaurant, donne.


8. I fessi hanno dei principi. I furbi soltanto dei fini.


9. Dovere: è quella parola che si trova nelle orazioni solenni dei furbi quando vogliono che i fessi marcino per loro.


10. L'Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l'Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono.


11. Il fesso, in generale, è stupido. Se non fosse stupido avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo.


12. Il fesso, in generale, è incolto per stupidaggine. Se non fosse stupido, capirebbe il valore della cultura per cacciare i furbi.


13. Ci sono fessi intelligenti e colti, che vorrebbero mandar via i furbi. Ma non possono: 1) perché sono fessi; 2) perché gli altri fessi sono stupidi e incolti, e non li capiscono.


14. Per andare avanti ci sono due sistemi. Uno è buono, ma l'altro è migliore. Il primo è leccare i furbi. Ma riesce meglio il secondo che consiste nel far loro paura: 1) perché non c'è furbo che non abbia qualche marachella da nascondere; 2) perché non c'è furbo che non preferisca il quieto vivere alla lotta, e la associazione con altri briganti alla guerra contro questi.


15. Il fesso si interessa al problema della produzione della ricchezza. Il furbo soprattutto a quello della distribuzione.


16. L'Italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all'ammirazione di chi se ne serve a suo danno. Il furbo è in alto in Italia non soltanto per la propria furbizia, ma per la reverenza che l'italiano in generale ha della furbizia stessa, alla quale principalmente fa appello per la riscossa e per la vendetta. Nella famiglia, nella scuola, nelle carriere, l'esempio e la dottrina corrente - che non si trova nei libri - insegnano i sistemi della furbizia. La vittima si lamenta della furbizia che l'ha colpita, ma in cuor suo si ripromette di imparare la lezione per un'altra occasione. La diffidenza degli umili che si riscontra in quasi tutta l'Italia, è appunto l'effetto di un secolare dominio dei furbi, contro i quali la corbelleria dei più si è andata corazzando di una corteccia di silenzio e di ottuso sospetto, non sufficiente, però, a porli al riparo delle sempre nuove scaltrezze di quelli.
 
Capitolo II. - Della Giustizia


17. In Italia non esiste giustizia distributiva. Ne tiene le veci l'ingiustizia distribuita. Per cinque anni il Sindaco (oppure il Deputato, il Prefetto, il Ministro) del Partito Rosso perseguita gli uomini del partito nero e distribuisce cariche o stipendi agli uomini del partito rosso. La situazione sarebbe intollerabile se dopo cinque anni, essendo salito al potere il Sindaco (c.s.) del Partito Nero, questi facesse le cose giustamente.
E' chiaro che lascerebbe almeno una metà dell'ingiustizia antecedente. Perciò il Sindaco (c.s.) del partito nero fa tutto il rovescio dell'altro; distribuisce cariche e stipendi agli uomini del partito nero e perseguita gli uomini del partito rosso.
Così l'ingiustizia rotativa tiene luogo della giustizia permanente.


18. Non è vero, in modo assoluto, che in Italia, non esista giustizia. E' invece vero che non bisogna chiederla al giudice, bensì al deputato, al Ministro, al giornalista, all'avvocato influente ecc. La cosa si può trovare: l'indirizzo è sbagliato.


19. In Italia non si può ottenere nulla per le vie legali, nemmeno le cose legali. Anche queste si hanno per via illecita: favore, raccomandazione, pressione, ricatto ecc.

Capitolo III - Del Governo e della Monarchia


20. L'Italia non è, democratica nè aristocratica. E' anarchica.


21. Tutto il male dell'Italia viene dall'anarchia. Ma anche tutto il bene.


22. In Italia contro l'arbitrio che viene dall'alto non si è trovato altro rimedio che la disobbedienza che viene dal basso.


23. In Italia il Governo non comanda. In generale in Italia nessuno comanda, ma tutti si impongono.


24. Per le cose grosse non si cade mai, per quelle piccine spesso.
Ciò corrisponde al carattere italiano che subisce le grosse ingiustizie, ma è intollerantissimo per le piccole.


25. L'Italiano non dice mai bene di quello che fa il Governo, anche se è fatto bene; però non c'è italiano il quale non affiderebbe qualunque cosa al governo e non si lagni perché il Governo non pensa a tutto.


26. I ministri non sono scelti perché persone competenti nell'agricoltura, nei lavori pubblici, nelle finanze, nelle poste e telegrafi, bensì perché piemontesi, liguri, lombardi, toscani, siciliani, abruzzesi, o perché appartenenti al gruppo a, b, c. Si è ministri non per quel che si è fatto, ma per il dialetto che si capisce, per il gergo parlamentare che si parla. Questo deriva in gran parte dal concetto della ingiustizia distribuita (cap. II).


27. Il valore degli incarichi non corrisponde sempre alla realtà. Molto spesso il piantone conta più del colonnello, l'usciere ne sa più del ministro, il segretario può quello che il cardinale non osa, e così via. Nelle piazze e nei salotti la conoscenza di questo " annuario segreto " delle potenze, forma uno dei punti indispensabili per poter fare carriera. Rivolgersi al principale senza passare per la succursale, è uno dei più comuni errori di tutti i novizi della vita italiana.


28. L'autorità del grado non conta. L'italiano non si inchina davanti al berretto. Nulla lo indispone più dell'uniforme. Ma obbedisce al prestigio personale ed alla capacità di interessare sentimentalmente o materialmente la folla.


29. L'uomo politico in Italia è uomo avvocato. Il dire niente in molte parole è stata sempre la prima qualità degli uomini politici; che se hanno sommato il dire niente al parlare fiorito, hanno raggiunto la perfezione.


30. La Monarchia resiste in quanto non esiste. I repubblicani non esistono in quanto non esiste l'oggetto della loro lotta. Non si può combattere un Re che non è meno noioso di un presidente di repubblica, poiché non crea nemmeno la difficoltà di farsi eleggere.


31. Il Re ha rinunciato ai diritti che esercitava, e non esercita più quelli che gli son rimasti.


32. La piazza è il vero Governo italiano, che decide la guerra o fa cessare lo sciopero dei tranvieri. Da parecchi anni impiegati, produttori. operai, e ormai anche militari, sanno che non si ottiene nulla dal governo, " se non si scende in piazza ". Forse è per questo che siamo i discendenti dei Romani, che decidevano le questioni politiche nel Foro.
 

Capitolo IV. - Della geografia politica


33. L'Italia si divide in due parti: una europea che arriva all'incirca a Roma, e una africana o balcanica, che va da Roma in giù. L'Italia africana o balcanica è la colonia dell'Italia Europea.

Capitolo V. - Della famiglia


34. In Italia l'uomo è sempre poligamo. La donna è poliandra (quando può).


35. La famiglia è la proprietà del capo di famiglia. La moglie è un oggetto di proprietà. Se abbandona si può uccidere. Viceversa non è ammesso che possa uccidere, se la si abbandona.


36. La moglie ha la sua posizione sociale segnata fra la serva e l'amante. Un po' più in su della serva e un po' più giù dell'amante. Fa le giornate da serva e le notti da amante.


37. I figli sono proprietà del padre. Devono fare onore, non a se stessi, ma al padre.

Capitolo VI. - Delle leggi


38. In Italia nove decimi delle relazioni sociali e politiche non sono regolate da leggi, contratti o parole date. Si fondano sopra accomodamenti pratici ai quali si arriva mediante qualche discorso vago. una strizzatina d'occhio e il tacito lasciar fare fino a un certo punto. Questo genere di relazioni si chiama compromesso. Non ci sono mai situazioni nette tra marito e moglie, tra compratore e venditore, tra governo e opposizione, tra ladri e pubblica sicurezza, tra Quirinale e Vaticano.


39. Tutto ciò che è proibito per ragioni pubbliche si può fare quando non osta un interesse privato. Nei vagoni dove è proibito fumare tutti fumano finché uno non protesta.


40. In Italia nulla è stabile fuorché il provvisorio.


41. La mancia è la più grande istituzione tacita d'Italia, dove gli usi contano più delle leggi, e le consuetudini più dei regolamenti. Per far procedere una pratica come per ottenere un vagone. per avere notizia di una sentenza. come per far scaricare un piroscafo, occorre sempre la mancia. Il modo di darla è variabile ed esige un noviziato non breve, una conoscenza della graduatoria sociale e dei sistemi in uso. Essa va dal volgare gruzzoletto posto nella mano dell'autorità da commuovere, e dalla bottiglia fatta stappare in onore dell'affare che si conclude, fino alla " bustarella ", in uso negli uffici di Roma ed ai contratti tariffati degli agenti ferroviari del settentrione. o al vezzo di perle per la signora e la compartecipazione ad un'emissione di azioni per il grosso affarista o giornalista.


42. La pena di morte non è abolita in Italia. Essa colpisce, in generale, gli innocenti che si trovano a passare sotto la traiettoria dei moschetti della Regia Guardia o dei Reali Carabinieri, oppure nel cerchio delle bombe a mano lanciate da socialisti o da fascisti.

Capitolo VII. - Delle Ferrovie


43. In Italia si viaggia gratis in prima classe; con riduzione, in seconda. In terza si paga la tariffa intera, proporzionalmente più alta di quella che pagherebbero le altre classi, se le altre la pagassero mai interamente.

Capitolo VIII. - Dell'ideale


44. C'è un ideale assai diffuso in Italia: guadagnar molto faticando poco. Quando questo è irrealizzabile, subentra un sottoideale: guadagnar poco faticando meno.


45. La scuola è fatta per avere il diploma. E il diploma? Il diploma è fatto per avere il posto. E il posto? Il posto è fatto per guadagnare. E guadagnare? E' fatto per mangiare. Non c'è che il mangiare che abbia fine a se stesso, sia cioé un ideale. Salvo in coloro, in cui ha per fine il bere.

Capitolo IX. - Del guadagno


46. In generale in Italia nessuna professione è sufficiente per vivere, da sola. Perciò si vede l'insegnante che fa anche il giornalista; l'impiegato che fa il rappresentante di case commerciali; il ragioniere dello Stato che va a curare la sera aziende private; il giornalista che scrive commedie. Un solo impiego non basta a sbarcare il lunario. Con due ci si riesce. Con tre si vive bene. Bisogna essere furbi per averne quattro. Se fra questi ve n'è uno almeno da trascurare, la preferenza vien fatta a quello dello Stato, in base al principio che segue.
 

Capitolo X. - Della proprietà collettiva


47. La roba di tutti (uffici. mobili dei medesimi, vagoni, biblioteche, giardini, musei, tempo pagato per lavorare, ecc.) è roba di nessuno.

Capitolo XI. - Dell'Italia e degli Italiani


48. L'Italia è il giardino del mondo. L'Italia è un paese naturalmente povero, senza carbone, con poco ferro, molto scoglio, per tre quarti malarico e troppo popoloso. Esso dipende e dipenderà sempre economicamente dagli stranieri. L'indipendenza dell'Italia è il mito più infondato e dannoso che un italiano possa nutrire. C'è una sola consolazione: che nessun paese è economicamente indipendente.


49. L'italiano è un popolo che si fa guidare da imbecilli i quali hanno fama di essere machiavellici, riuscendo così ad aggiungere al danno la beffa, ossia l'insuccesso alla disistima, per il loro paese. Da molti anni il programma degli uomini che fanno la politica estera sembra riassumersi in questo: mani vuote, ma sporche.


50. I veri italiani sono pochissimi. La maggior parte di coloro che si fanno passare per italiani, sono in realtà piemontesi, toscani, veneti, siciliani, abruzzesi, calabresi, pugliesi e via dicendo. Appena fuori d'Italia, l'italiano torna ad essere quello che è: piemontese, toscano veneto ecc. L'italiano sarà un prodotto dell'Italia, mentre l'Italia doveva essere un prodotto degli italiani.


51. L'ammirazione degli stranieri per tutte quelle cose che ci urtano nella vita italiana (il lazzaronismo, l'indisciplina, il sentimentalismo, la musica da serenate, la statueria ecc.), indica che in tutti questi difetti c'è qualche cosa di gradevole e di simpatico. Ma per chi va a fondo delle cose, vede che si tratta di una permanente insidia al carattere italiano, già inclinato a ciò che è più gradevole, ma meno pericoloso per gli stranieri. Essi vedono volentieri gli italiani prendere il mandolino in mano e far serenate alla luna, e li carezzano gettando un obolo, con la simpatia e il disprezzo che si ha per una cortigiana, o la sottintesa superiorità che si mostra verso un cagnolino.


52. Se per ingegno si intende la facilità nelle cose facili, l'arte di esprimersi con abbondanza, la capacità di intendersi senza troppo precisare. la vernice di tutti i talenti esterni. il canto piacevole, la poesia sonora, l'arrivare d'un colpo a comprendere le cose senza sforzarsi, dopo, di compiere un passo più avanti per approfondirsi in ciò che si è imparato, l'italiano è un popolo intelligente. Se per ingegno si intende invece ...


53. Il perfetto italiano giudica l'ingrandimento dell'Italia dell'allargamento chilometrico, la grandezza dei quadri dalla superficie della tela, la bellezza della poesia dalla sonorità delle rime e quella delle donne dalla quantità della ciccia. Il buffo è che molti di questi valori plastici sono entrati anche nella zucca degli stranieri, che ammirano il nostro parlar sonoro, le nostre donne carnose, i quadroni dal Rinascimento in poi, e qualche volta anche l'aumento dei chilometri quadrati.


54. La storia d'Italia è la storia di Spagna e di Francia, d'Alemagna e d'Austria, e in fondo, storia d'Europa. Lo sforzo degli storici per creare una storia d'Italia dimostra come si possa spendere molto ingegno per una causa poco ingegnosa, come accade a quei capitani che si fanno valorosamente ammazzare per una causa infame.


55. L'Italiano è di tanto inferiore al giudizio che porta di se stesso di quanto è superiore al giudizio che ne danno gli stranieri. Le sue qualità migliori sono le ignorate e i suoi difetti peggiori sono i pubblicati da tutta la fama.


56. La famiglia è l'unico aggregato sociale solido in Italia. Il comune è l'unico organismo politico sentito in Italia. Tutto il resto è sentimento generico di classi intellettuali, come la patria; o astrattismo burocratico, come la provincia; o mito vago, che nasconde spinte economiche molto ristrette ed egoistiche, come l'internazionale.


57. Alcune massime e parole italiane hanno una origine dialettale e regionale, che significa che una qualità particolare d'una data gente s’è andata allargando a tutta l'Italia. Per esempio : tira a campà è massima eminentemente romana; non ti compromettere è precetto squisitamente toscano; fare fesso è pratica particolarmente meridionale; però tutti gli italiani ormai le capiscono e i furbi le hanno adottate come regola di vita sociale.


58 Il tempo è la cosa che più abbonda in Italia, visto lo spreco che se ne fa.


59 Tutto è in ritardo in ritardo in Italia, quando si tratta di iniziare un lavoro. Tutto è in anticipo quando si tratta di smetterlo.


60 Non è vero che l'Italia sia un paese disorganizzato. Bisogna intendersi : qui la forma di organizzazione è la camorra. Il Partito come la religione, la vita comunale come la economica prendono inevitabilmente questo aspetto. Non manca disciplina ma è la disciplina propria della camorra, l'ultra disciplina che va dal fas al nefas.


61. Tutti i principali difetti degli italiani, e soprattutto i più vergognosi : la mancanza di parola, il servilismo, l’individualismo esagerato, l’abitudine dei piccolo inganno e della corruzione, derivano dalla povertà italiana, come la sporcizia di tanti loro paesi dalla mancanza di acqua. Quando in Italia correrà più denaro vero e più acqua pulita, la redenzione d'Italia sarà in buona parte compiuta.
 
Capitolo XlI - Senza titolo riassuntivo indispensabile


62. L'Italia è una speranza storica che si va facendo realtà.  



Giuseppe Prezzolini, Codice della vita italiana, Edizioni della Voce, Firenze 1921, poi in Siamo italiani, a cura di David Bidussa, Chiarelettere, Milano 2001, pp. 31-41.