Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

mercoledì 17 ottobre 2018

La pelle dell'orso


La vicenda raccontata ne “La pelle dell'orso” di Matteo Righetto è coeva all'invenzione del linguaggio“Basic” per la programmazione dei computer. È una vicenda basica che si sviluppa con una logica binaria, una cascata di zero e uno che simulano un passo dietro l'altro al ritmo perfetto di un metronomo poggiato sul pianoforte, il ritmo fermo e implacabile delle lunghe camminate in montagna.
E' un effetto straniante, leggere un testo in Basic in epoca di HTML fa rallentare il tempo e lo riporta al suo scorrere naturale, non implementato dalla velocità della connessione. Anche la realtà torna alla propria versione non-aumentata, una versione in cui prima di andare a cacciarlo non è possibile guardare un tutorial su come si abbatte un orso gigantesco. Ci vogliono diverse pagine per rientrare nei ranghi ed entrare in armonia con la narrazione di Righetto, ma poi tutto scorre come un ruscello montano felice di scendere a valle attraversando paesaggi meravigliosi, di tanto attraversando anche boschi oscuri e misteriosi popolati di creature magiche immaginarie ed altra tanto spaventosamente reale da diventare quasi mitologica, inafferrabile: El Diàol.
Se c'è una vena narrativa che scende felice a valle, ce n'è una seconda che invece risale faticosamente la china, inciampando in lutti, esperienze emotive fortissime, riti di passaggio all'età adulta e un'impresa epica al limite del credibile. È la parabola di Domenico, che nel giro di qualche giorno cresce quanto non avrebbe potuto fare in una vita intera tra banchi di scuola e professione.
È così tanta la voglia di partecipare fisicamente alla sua vicenda che come lettori ci si trova rammaricati del fatto non avesse avuto una GoPro sulla fronte per mandare in diretta Facebook tutto quanto. Invece non si può, il linguaggio Basic non supporta questo tipo di funzioni perciò bisogna affrontare la cosa per quella che è: un romanzo, non un video virale da pochi secondi. In questa differenza si configura monolitica l'autenticità della storia, che ti costringe a spogliarti di tutto per tornare Basic e potertici finalmente immergere appieno, diventando goccia di quel ruscello montano che scende a valle, verso l'epilogo.
Attenzione però.
Sulla mappa, circa a metà strada, sono segnalate delle rapide insidiose con scogli emergenti e orso affamato di carne umana. Le acque saranno vorticose e la storia si dividerà prendendo ogni pezzo un mulinello diverso, finendo sott'acqua e riemergendo, cozzando con altri vicini in una apparente confusione di schiuma, schizzi come proiettili e riflessi cristallini. Subito dopo, quando siamo ancora storditi dalla furiosa danza, le vorticose diventano placidissime come il Sile silente che scorre in pianura, tutto si placa in momenti di sospensione: troppo è accaduto in frazioni di secondo perché un essere vivente emotivo complesso e razionale possa elaborarle ed avere una reazione. Lo stallo. Si è raggiunto il punto di culmine del climax -uno pensa- di qui in avanti sarà una facile discesa fino all'ultima pagina.
Sbagliato.
Lo stallo è nel punto culmine del climax, ma nella situazione in cui il vagone delle montagne russe ha raggiunto il punto più alto della salita e non ha davanti una morbida discesa, bensì una discesa quasi verticale ad alta velocità.
Quindi via verso la fine, inseguendo la gravità o facendosene trainare, schivando i dolori disseminati sul percorso, siano quelli delle vesciche ai piedi o quelli dell'anima. La velocità è fredda in montagna e il freddo si infiltra fino dove vuole, fino a congelare i sentimenti in uno stato di indifferente coma. E per fortuna. Nessuno nel pieno possesso delle proprie capacità mentali avrebbe mai potuto affrontare un'odissea subito dopo averne conclusa un'altra, il tempo di mandare giù un boccone e riposare un paio d'ore. Roba da miti greci.
Ma l'energia che muoverà il carretto e Domenico non viene dalla manzetta al traino; il sentimento è la forza traente.
Di qui la storia procede quasi bucolica e te lo immagini questo ragazzino molto Basic che sotto una gelida luna montana compie un viaggio improbabile passando di scenografia mozzafiato in scenografia mozzafiato, il Pelmo, la Val Fiorentina, i boschi del Crot, lo Staulanza e la Val Zoldana, il Civetta, immagini anche a cosa possa aver pensato durante quelle lunghe ore, immagini quanto martirio si sarebbe risparmiato se avesse potuto scattarsi un selfie con l'orso morto e avesse potuto inviarlo su Whatsapp a Mario Crepaz, e accumuli una quantità enorme di senso di pietà che aspetti di sfogare nelle pagine che seguono.
Invece no. Un'altra volta.
Perché dietro l'angolo si presenta inaspettata una tragedia ancora più immane di quella che hai seguito fino a quel punto: il Vajont. E si presenta anche a Domenico. È ovvio un comune sentimento di pietà generale, una condivisione di questo sentimento con il protagonista che invece rimane freddo. Freni il rilascio della tua pietà perché non capisci verso chi rivolgerla: alle migliaia di morti sotto il fango o a quel ragazzino che ha vissuto una storia tragica ed è rimasto solo al mondo, tanto sconvolto da non provare pietà per chi è stato colpito dal disastro? C'è un blocco nello stomaco, una mancata digestione emotiva che si risolve con il rigetto di Domenico, che evidentemente non è solo suo ma è anche nostro. Il vomito espelle l'accumulo di sensazioni compresse e se hai l'abitudine di leggere prima di dormire, la notte in cui finisci il romanzo la passi dormendo coccolato da un senso di sollievo, molto Basic pure quello.
Si familiarizza presto con questo romanzo, l'architettura a capitoli brevissimi lo rende colloquiale, una storia raccontata davanti al caminetto mentre fuori nevica, una sorta di filò in cui di tanto in tanto il narratore fa una pausa, viene distratto da qualcosa che gli succede attorno o si interrompe per mettere un altro ciocco al fuoco, per sorseggiare un po' di brulé fumante lasciando a chi ascolta il tempo di pensare a quanto potesse essere grande El Diàol.

Lorenzo Pezzato

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