Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

domenica 28 giugno 2020

Gaetano Testa, "Al balcone sognando"

 
 

«L’atto di scrivere esige una perfetta innocenza», dice Vladimir Jankélévic. Poi, forse per sottolineare la debolezza della parola di fronte all’imprendibilità del reale, aggiunge: «Non bisognerebbe che le parole stesse si trasformassero in stelle cadenti?» Non so se la scrittura di Gaetano Testa sia composta di stelle cadenti, ma è sicuramente innocente. Lo è perché ignora il principio di non contraddizione o qualsivoglia principio di sistematicità. Lo è perché innocentemente si contraddice, si mostra fedifraga e nel contempo sincera, scivola dalla descrizione ad altissima definizione a improvvisi sussulti in cui senso e non senso si interfacciano con sorprendente naturalezza.  Lo è perché risulta del tutto inaddomesticabile e indefinibile: «do col naso gli occhi i polpacci un nome panciuto alle cose».
Gaetano Testa (Mistretta 1935), protagonista negli anni Sessanta dell’ala palermitana del Gruppo 63, radicalmente anarchico al punto da rinunciare per scelta di vita a ogni mira carrieristica, si è da molti anni auto-confinato in un suo privatissimo spazio di “resistenza esistenziale” dal quale però continua a mostrare i denti e a rappresentare un’importante presenza-assenza nella scena culturale non solo palermitana. Insieme ad un gruppo di autori che lo riconoscono come essenziale punto di riferimento, negli anni ha dato vita a un vivacissimo laboratorio di sperimentazioni aperte, ha creato due riviste (“Fasis”, “Per Approssimazione”) e una casa editrice (“Perap”), ha prodotto opere di arte visiva ed ha pubblicato diversi volumi: da un romanzo che curiosamente ha un titolo non alfabetico ma numerico, “5” (Feltrinelli, 1968), sino a quest’ultimo, “Al balcone sognando” (Perap, 2020). Ed è talmente anarchica e aperta la sua scrittura, che talvolta confluisce nella scrittura di un altro, in particolare in quella di Francesco Gambaro, insieme al quale Testa ha pubblicato diversi libri (“Borno”, “Jallo”, “Quartini”…). Fra Testa e Gambaro (che purtroppo è deceduto nel 2019) vi è stata infatti una intensa frequentazione, e questi libri “a quattro mani” dove la scrittura dell’uno non è distinguibile da quella dell’altro, ne sono un esito quasi naturale; ma fra i due si era creata una sintonia ancora più forte, tanto che solo grazie ad essa e all’azione “aggregante” di Gambaro, è stato possibile dar vita a una straordinaria esperienza di creatività collettiva che ha coinvolto negli anni non solo personaggi come Edoardo Sanguineti, Paolo Volponi, Mario Lunetta, Fulvio Abbate, ma soprattutto autori in gran parte estranei alla letteratura ufficiale, personalità diverse, ma accomunate dall’interesse verso la pratica dell’avanguardia intesa come libera e radicale sperimentazione espressiva. Fra questi, citando alla rinfusa: Giuseppe Zimmardi, Nino Vetri, Carola Susani, Pippo Rizzo, Costantino Chillura, Gaetano Altopiano, Antonio Patti, Mimmo Gerratana, Antonio Pane, Nicola Di Maio, Sergio Toscano, Giancarlo Mirone, Giuseppe Tutone (e fra gli altri – inutile negarlo – anche il sottoscritto). Per non parlare di artisti come Toti Garraffa, fotografi come Letizia Battaglia, uomini di teatro come Nino Gennaro, giornalisti come Guido Valdini, musicisti come Salvatore Sciarrino, musicologi come Aurelio Pes...
Testa non si è posto però come capo carismatico, tanto meno come ideologo, si è limitato a rappresentare niente più che se stesso innescando negli altri un istintivo meccanismo di mimesi. Questo nuovo libro, insieme al corpus delle altre pubblicazioni edite, non è che una minima parte dell’immensa matassa di scrittura che Testa produce quotidianamente quasi in sintonia con la sua respirazione polmonare; un’unica spiazzante matassa di dimensioni “atlantiche”, come ebbe a definirla Francesco Gambaro , aggiungendo che in Testa «l’inconclusione è cercata come bisogno primario, non tanto di spiazzare il lettore ma di spiazzarsi».
L’ ”inconclusione”, appunto:

«ma lei non ha ancora finito (pausa) mi sba­glio?"
"non si sbaglia però (pausa) forse lei non dovrà di­menticare che è molto proba­bile che io non sappia mai quando ho finito (pausa) anche nel senso che posso avere già finito"
"spero che esista un momento in cui le è chiaro se ha finito o no"
"non sempre (pausa) ma questo non è un vero pro­blema"».

Testa è insomma un sismografo che registra ininterrottamente i moti di un corpo e di un cervello, («ho nel corpo e mi si va sviluppando un orientamento senza sì e senza no che dà un senso a tutto quello che vado facendo e che somiglia a un nonsenso») ma anche di uno spazio geografico osservato con occhio da entomologo, gusto e disgusto, complicità e distacco, crudo realismo e guizzi visionari:

«la sicilia è un'isola che in pochissimo tempo è di­ventata una pro­vincia dei sar­gassi basta allontanarsi un metro e già comincia a profumare di ri­noceronti bianchi».

Non che i suoi libri, nel loro essere inconclusi e ramificati, siano intercambiabili, ma certo è difficile riassumerne il contenuto in quanto sono parte di una rete intricatissima di connessioni, ripetizioni, rotazioni a spirale. Sono insomma frammenti di un corpus che in teoria non si potrebbe segmentare in una struttura limitata (come per sua natura sarebbe quella di un volume). In questo libro pertanto si narra una minima sezione dell’atlante, la scorribanda sfilacciata di un gruppo di amici per le vie di una Palermo mutevole e immobile che potrebbe non essere Palermo ma qualsiasi altro luogo del cosmo, se non fosse che qualsiasi luogo del cosmo nelle pagine di Testa somiglia a Palermo. I personaggi si spostano quasi a caso da un punto all’altro dello spazio, con «i coglioni  gonfi di nullaggine» e passo da flâneur, si incontrano, si scontrano, si annoiano, fumano, bevono, telefonano, si annusano (anzi, si “annasano”), maneggiano oggetti, stanno comodamente seduti al balcone (“sognando”); pulsano insomma assecondando i ritmi del battito cardiaco e del paesaggio urbano. Alcuni sono riconoscibili:  ciccio (Francesco Gambaro), costantino (Costantino Chillura), guidoval (Guido Valdini). E quest’ultimo peraltro è l’interlocutore diretto del penultimo libro del nostro autore, “Dialoghi con guidoval” (Il Palindromo, 2017), ulteriore testimonianza di come la scrittura nelle pagine di Testa possa sdoppiarsi in forma dialogica, ma nello stesso tempo fondersi in una linea continua fatta di progressivi spiazzamenti che mandano in frantumi l’idea del dialogo di ascendenza filosofica e richiamano piuttosto un’altra forma di dialogo, quella che rinuncia alla costruttività ed è governata da un moto centrifugo, dalla libido del gironzolare intorno alle parole per il puro piacere di farlo, come Pollock gironzolava attorno alle sue tele godendosi il piacere di lasciare che il colore vi gocciolasse liberamente.
«”Dialoghi con guidoval” – diceva appunto Francesco Gambaro nel suo intervento alla presentazione del libro a Palermo – sembra muoversi nella logica binaria del dialogo, ma il binario è compulsivamente deviato, sembra una cartina geografica che traccia strade intrecciate a colori, le traccia e poi le straccia, con la sfacciataggine del bambino discolo,  impermeabile a ogni rimprovero».
Così come, del resto, compulsive deviazioni segnano anche “Dal balcone sognando” dove ritornano a spaglio spezzoni di dialogo con il detto guidoval ma qui mixate a un sistema ramificato di s/variazioni a girandola:

«non sono ancora riuscito a pensare più di quanto so­litamente mi pare di avere sempre pensato e ancora non so se penso molto o poco e se quello che certe volte individuo come pensiero sia pensiero o no»

«in conclusione so che è difficile individuare cos'è che scompare e cos'è che ri­mane anzi so che scomparire e rimanere sono soltanto il perché del sal­tare».

Alfonso Lentini
 

 

 
 
 
 
 


 
Gaetano Testa

“Al balcone sognando”
Perap, Palermo 2020