Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

giovedì 31 maggio 2018

ROB DE MATT, di Antonio Ortoleva


Un Giove che tuona lemmi e neologismi, che sprizza saette lessicali, non fa ombra minacciosa il gigante ma irradia luce giocosa, sparge felicità leggera. E non desta paura l’ombra di quel titano, anzi, a osservare la luce del suo volto nella risatina bonaria e irriverente, si può rintracciare l’alter-ego del padrone dei cieli, ciò che il temibile fustigatore di uomini e semidei avrebbe voluto essere se non gli fosse stato imposto quel fato mitologico così potente e terribile e vendicativo. Giorgio Manganelli incarna in forma laica quella divinità mitologica come creatore ed esploratore di una nuova lingua italica, brillante di fuochi d’artifizio, scientifica e popolare, radicata nei secoli e ipermoderna, buonumoristica e inquietante. In una parola, unica.

Lo incontrai tre anni fa a Nuova Delhi. Il dorso del suo “Esperimento con l’India” era in fila sullo scaffale principale della bellissima biblioteca in sandalo lucido di un nobile sikh decaduto che aveva messo a disposizione del pubblico quella preziosa stanzona. Il libro in edizione italiana doveva essere effetto di un lascito di un amico intellettuale, che per illustrare il punto di vista italiano sull’India aveva scelto l’autore milanese. Punto di vista eccentrico per quanto si crede, seppur contenuto dall’esigenze del reportage, essendo Manganelli stato inviato in Asia nel 1975 dal settimanale Il Mondo che era stato di Pannunzio. Che tipo di esperimento Manganelli fece con l’India? Direi soprattutto con sé stesso. Temette che la sua solida laicità non fosse a prova di Calcutta o di Bombay, come accadde 25 anni prima a Roberto Rossellini che lì spese addirittura un anno. E descrisse persino in aereo una certa inquietudine, a cominciare dalla scomodità della poltrona, che gli dettò passi come questi: “…ma che cosa è l'India? Se è un "altrove" mi sfinisce, ma non la temo; quel che temo è questa capacità, illusionistica e metafisica, di illudermi che l'altrove sia non solo a portata di mano, ma dentro di me”. Oppure è “un consegnarsi al “deposito dei sogni, l’unico luogo dove esistono ancora gli dei”.

Quanto e se quel viaggio influenzò la sua copiosa scrittura successiva solo studiosi della letteratura del Novecento come Luigi Matt o Gualberto Alvino potrebbero raccontarlo. Il primo ha pubblicato per Artemide un’opera stupefacente e certosina, quasi zen, “Giorgio Manganelli verbapoiete”; il secondo, appassionato e brillante esploratore di altri “inventori” come Pizzuto e D’Arrigo, l’ha appena recensita sulla rivista “Per Leggere”, costruendo di fatto un’autonoma appendice sul tema Manganelli.

Cosa ha fatto Matt? Dalla “grammaticosa” produzione del Milanese ha estratto oltre mille voci che rappresentano non solo un arricchimento insperato della lingua – di cui in molti temiamo la scomparsa – ma di fatto un nuovo dizionario italiano moderno. Oltre mille neologismi, 1167, estratti, censiti, codificati, decifrati che affondano radici nella preistoria del lessico o che potrebbero entrare a pieno titolo nei nuovi slang giovanili. Alvino, la cui idea di letteratura si fonda sul linguaggio che crea il contenuto, avvisa che lo scrittore milanese è mosso più da ragioni ludiche che sperimentali, ma dall’altro lato, scrive Matt, egli rovescia «il senso comune, seguendo il quale si immaginano le parole come etichette che si pongono a posteriori sulle cose», una creazione verbale come un «incantesimo per dar vita alla cosa che quella parola indica». Spiccinare (fuoriuscire da piccola fessura), orribilante (fra orribile e orripilante), interpuntivo (un testo morto, piatto), cristato (qualcosa crocifissa), uccellastro (uccello mostruoso). Solo alcuni mirabolanti esempi.
Si tratta dunque di un imponente giacimento lessicale venuto alla luce grazie a Matt, che Alvino definisce con altruismo e competenza il maggior esperto di narrativa italiana moderna (l’era digitale ha ristretto il termine contemporaneo agli ultimi mesi), e che, importante quanto una miniera di gas, potrà coprire almeno per i prossimi vent’anni il bisogno energetico della nostra comunità letteraria.