Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

mercoledì 30 marzo 2011

Dopamine flash

Vorrei una vita isometrica
come una canzonetta
tutta scandita facile facile
col ritornello minchionello
Tutto preciso ripetitivo bello
Tralla zumpa zumpa ppà
Faccio 'sta vita che pare
una cosa di Stockhausen
Mi sento gli elicotteri in testa
e mi produco dopamine flash

Non voglio vivere così
col frullatore in fronte
m'incasino tanto beatamente

La donzelletta che vien dalla campagna
in sul calar de sole Chissà che cosa vuole
Vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole pagar con Visa
Mona Lisa, Mona Lisa men have fucked you
Let it be Let it be Let it be
Tubì o non tubì Comsì comsà
Pacch'i ta nanna chi minkia va pinsannu
Control/Alt/Shift/Esc - Melaqqu
Cuccuruccuccù Palomar
Mann ist was er isst
Bon appetit
Arigatò Gosaimashità
Una mano lava l'altra
Somewhere under the raincoat
spuntano cactus perversi
e sulle spine c'attaccano santini
Ma com'è bello andare in giro
senza scopo e senza meta
To die To sleep like a sheep
elettrica naturalmente

Non voglio vivere così
col frullatore in fronte
m'incasino tanto beatamente

M'illumino d'immenso senza senso


© francescorandazzo-2011



Francesco Muzzioli. "Là comincia il Messico" di Gualberto Alvino

Fin dal suo titolo, Là comincia il Messico (Polistampa, 2008) annuncia un passaggio di confine. Il confine, innanzitutto, è quello della forma-romanzo nei suoi contorni convenzionali. Il testo di Alvino è decisamente un testo fuori norma, una risoluta e coraggiosa alternativa agli standard attuali della produzione narrativa e della fiction in genere, nell’odierno stato di inflazione dei racconti scorrevoli e semplificati. Non solo, ma il testo assume in proprio il dovere della polemica, andando direttamente e senza perifrasi al cuore del problema e cioè al modo della fruizione corrente basata sulla sostituzione dei personaggi alle persone, sullo scambio surrettizio «di chi confonde parole e cose, letteratura e vita; non so che farmene d’intrecci scintillanti come luna park, sono il vostro trastullo? chi vi dice che quelle filze indigeste d’aneddoti possano avvincermi? non ho bisogno d’epopee di cartapesta, turpiloquî sotto specie di meditata mimesi, sagre famigliari spalmate nei secoli e stipate di personaggi soverchi, scene madri arroganti e interminabili che di materno hanno solo la pazienza di chi s’acconcia a patirle; smettete, ve ne prego, d’infliggermi i vostri dialoghi monocordi, soporiferi (…)» (p. 61); ed ognuno riempia con nomi, cognomi e titoli questo elenco delle nefandezze consumistiche. Certo, l’autore può vantare una indubbia professionalità critica, evidenziata anch’essa esplicitamente in corso d’opera («Uno scrittore è solo uno scrittore, ma un grande critico può far brillare l’universo nel palmo della mano», p. 74), che gli garantisce una maggiore sorveglianza e difesa contro la banalità. Ma, anche a non voler affermare che il romanzo del critico è oggi l’unico possibile, in quanto i “narratori nati” restano per forza di cose dentro l’ideologia insita nella loro stessa infusa naturalezza, è chiaro che una dose di criticità risulta assolutamente necessaria allo scrittore che voglia guardarsi da fuori e non soccombere al “cerchio magico” della finzione.
La capacità di sdoppiarsi è assunta da Alvino come la radice stessa della disposizione narrativa: l’enunciazione narrante, infatti, si stabilisce come una voce che parla rivolta al personaggio, il quale non fa altro che ascoltare ed agire (ammesso che ascolti davvero: «E non mi ascolti, so che non ascolti una parola di quanto dico», p. 135). Un simile monologo o dialogo asimmetrico marca già diversi punti di contrapposizione verso la forma-romanzo: mentre il romanzo corretto deve raccontare al passato, qui si racconta al presente, in situazione; mentre il romanzo tende a nascondere il narratore che tira i fili della vicenda, qui invece l’emittente avanza al proscenio e si esibisce spudoratamente. Per la verità, non l’io, ma il tu la fa da protagonista («E tuttavia ti farò credito, ancora una volta»: questa la battuta iniziale, p. 11): sì, questo è uno dei rari romanzi che narrano alla seconda persona. Lo statuto di questo tipo di voce resta ambiguo: potrebbe essere infatti la voce della coscienza e quindi un soggetto che parla con se stesso, nel cosiddetto “foro interiore”; ma potrebbe essere anche una voce esterna, che comunica non si sa come col personaggio, lo stimola e lo controlla. La seconda ipotesi potrebbe venir rafforzata, durante la lettura, non dico dalle espressioni di odio dell’io nei confronti del tu, ma dalle indicazioni di una sorta di complotto che coinvolgerebbe il personaggio. Quello che è chiaro è che la voce “alle spalle” vuole che il personaggio compia determinate azioni (si potrebbe parlare — nei termini di Jakobson — di un accento posto sulla funzione conativa) e in questo senso utilizza tutta una serie di strategie, tra blandizie e minacce, rammemorazioni e ordini. Un personaggio eterodiretto da chissà quale forma di condizionamento mentale? Certo è che lo sdoppiamento rimanda agli stadi della follia. Tanto più che la voce è, in tutta evidenza, la voce della paranoia, una voce che va ad instillare e installare di grado in grado il terrore e l’avversione per “l’altro”, ne mostra la presenza invasiva e il moltiplicarsi implacabile da ogni parte, in una sorta di soffocante assedio. Un esempio tra i molti: «La minaccia aumenta, gli indizî si susseguono, ogni anfratto può celare un predatore in agguato. Davvero non t’accorgi che tutto accade contro di te, e le possibilità di salvezza si riducono di minuto in minuto? Anche un cieco lo vedrebbe» (p. 29). Da questo punto di vista, il testo di Alvino è assolutamente realistico, arrivando a mimare proprio i passaggi tipici della cosiddetta “richiesta di sicurezza” e della sua progressiva impercettibile accettazione della violenza più barbara. Se la società non sa più che farsene della scrittura (lusso aristocratico che non va più di moda), allora alla scrittura non resta altro che vendicarsi scoprendo il cuore nero della società, la sua brutalità fondatrice.
Ed è un testo di contenuti davvero “forti”, questo. Il lettore è avvertito, fin dal titolo: Là comincia il Messico è la frase dei banditi che trovano rifugio in un paese dove la legge non ha corso. Ogni disagio è dunque nel conto. Eccedendo soprattutto nella Scena della violenza, ma non lesinando in ampie parti la smodatezza dell’eros, fino a una sorta di misticismo della carne («Il misticismo non è cosa da monache», p. 158), Alvino lancia la sfida del “troppo” o del “ritorno del represso”, come direbbe Orlando. Si tratta di una sfida che chiama in causa certamente la psicoanalisi (che avrebbe difficoltà a rintracciare il livello “latente”, tanto tutto è in superficie) e il femminismo (che avrebbe difficoltà ad accettare un “elogio della femmina” così poco spirituale e con esiti tanto crudeli), ma che va soprattutto a colpire l’attuale ondata neopuritana e fondamentalista, lasciando emergere il desiderio come macchina incontrollabile e enigma insocievole, fino al finale dell’omicidio, anzi fino ad una distopica distruzione generale: «Il deserto, dovranno trovare il deserto quando verranno. Un mare di sabbia. Macerie» (p. 151).
Ma ciò che viene chiamato in causa e viene sfidato è la letteratura stessa, in un gioco che è sempre anche metanarrativo. Il personaggio è uno scrittore, sepolto tra libri e manoscritti. Questo potrebbe voler dire che la cultura non è una garanzia e che anche l’uomo più sapiente del mondo può trasformarsi in un mostro. Ma la cosa rimanda anche ad un principio di dissipazione, per cui la letteratura viene trascinata e travolta nell’orrore del mondo. La scrittura di Alvino, infatti, è di tipo torrenziale. Il monologo del suo sottosuolo porta con sé le materie palpitanti del vissuto e i segnali inquietanti del quotidiano, ma insieme pure tutto un bagaglio di memorie e di conoscenze, di letture e di modelli retorici. È una scrittura spettacolare, degna della scena, rutilante e mutevole, che non esita a trasformarsi, come quando nell’ultima parte lo sdoppiamento della voce e del personaggio si traduce in un’alternanza tra frammenti in tondo e in corsivo. Una emissione straripante che però non ripete (questo mai: «Scongiurare le ripetizioni moleste», p. 98), ma appare animata, piuttosto, dai due princìpi congiunti della elencazione e della variantistica, dove ciò che conta è il ritmo, prolungato fino all’estenuazione del respiro o incisivo come una coltellata. Una scrittura iper-retorica, che contrasta nettamente con la narrativa-sceneggiatura oggi in auge e si ricongiunge, semmai, ad una delle grandi linee di tendenza del romanzo sperimentale.
Esuberante e spietata, la scrittura procede e produce deformando il contenuto e accettando stoicamente di rasentare di continuo lo “sgradimento” e il dispiacere del testo.

In «La Nuova Antologia», a. 145°, aprile-giugno 2010, pp. 391-93.

giovedì 17 marzo 2011

Parole alte, libere, franche...



«Trattando delle cagioni, che tornavano in nulla i tentativi di libertà nell'Italia – de' vizi che contrastarono al concetto rigeneratore di farsi via tra gli ostacoli, noi siamo ad un bivio tremendo.
O noi parliamo parole alte, libere, franche – parliamo coll'occhio all'Italia, la mano sul core, e la mente al futuro – parliamo, come detta la carità della patria, senza por mente ad uomini, o pregiudizi, snudando l'anima agli oppressori, ai vili, agli inetti, flagellando le colpe e gli orrori ovunque si manifestino – e un grido si leva dagli uomini del passato contro a' giovani che s'innoltrano nella carriera, ignoti alle genti, senza prestigio di fama, senza potenza di clientela, soli con Dio e la coscienza d'una missione: voi violate l'eredità de' padri, perdete la sapienza degli avi: voi usurpate un mandato, che il popolo non v'affida esclusivamente: voi cacciate l'ambizione di novatore frammezzo a' vostri fratelli!
O noi rineghiamo ispirazioni, studi ed affetti per una illusione di universale concordia – ci soffermiamo nella predicazione di principii nudi, teorici, astratti, senza discendere all’applicazione, senza mostrare nella storia de’ tempi trascorsi le violazioni di questi principii – erriamo intornoall’albero della scienza senz’attentarci di appressarvi una mano, lamentiamo una malattia esistente nel corpo sociale, senz’ardire di rimovere il velo che la nasconde e dire: là è la piaga! – e gl’Italiani indurano nell’abitudine degli errori...

O sospetti, o colpevoli – condannati al silenzio o alla guerra – esosi agli uomini che parteggiano per le vecchie dottrine, o traditori alla patria, che le provava fino ad oggi inefficaci e funeste. –

Noi parliamo tra i sepolcri de’ padri e le fosse de’ nostri martiri – e le nostre parole hanno ad essere forti, pure, incontaminate di lusinga e d’odio, solenni come i ricordi dei padri, come la protesta che i nostri fratelli fecero dal palco ai loro concittadini. –

E chi siamo noi perché abbiamo a calcolare i nostri discorsi dalle conseguenze personali? L’epoca degli individui è sfumata. Siamo all’era de’ principii... Gli uomini passano. La posterità sperde il garrito delle fazioni; ma i principii rimangono: – e guai all’uomo che tenta una impresa generosa e s’arresta davanti alle conseguenze quali esse siano!
Una idea – e l’esecuzione: ecco la vita, la vera vita per noi: una idea generosa, spirata dalla potenza che creava l’uomo ad essere grande, lampo della primitiva ragione, quando l’anima giovine, vergine di pregiudizi, di vanità e di meschine paure s’affaccia ai campi dell’avvenire, che l’angiolo dell’entusiasmo illumina d’un raggio immortale – ed una esecuzione costante, assidua, ostinata, sviluppata in tutte le fasi dell’esistenza, nelle menome azioni, come ne’ rari momenti che vagliono un’epoca, in una epistola famigliare, come in un volume di meditazioni, ne’ segreti della cospirazione come nella pubblica testimonianza del palco. A questi patti s’è grande e del resto avvenga che può, perché l’uomo il quale si slancia nella crociata dell’umanità senz’aver dato un addio a’ calcoli, ai conforti, a tutte quante le gioie della vita, non ha missione....
In politica, non v’è che un sistema d’azione stabilmente efficace: il sistema che matura i principii, sceglie l’intento, medita i mezzi, poi si pone in moto senza deviare a dritta o a sinistra, facendo gradino degli ostacoli, non rifiutando le conseguenze logiche de’ principii e guardando innanzi. –
La verità è una sola – l’ecclettismo applicato alla scienza d’ordinamento sociale ha prodotta una dottrina che l’Europa de’ popoli infama e rinnega – e la stolta pretesa di voler conciliare elementi che cozzano per natura, ha rovinate a quest’ora più sorti di popoli, che non l’armi aperte o le insidie della tirannide. – Oggimai s’è giunti a tanta incertezza di sistemi e di vie, che le moltitudini, affaticate pur sempre dal desiderio del meglio, si stanno inerti, aspettando che i loro istitutori s’intendano fra di loro.
Applichiamo queste idee all’Italia.»

Giuseppe Mazzini

da "D’ALCUNE CAUSE CHE IMPEDIRONO FINORA LO SVILUPPO DELLA LIBERTÀ IN ITALIA".

link al testo completo:


martedì 15 marzo 2011

Troppo sincero


Sento il rumore dei peli
che crescono nelle mie
orecchie Come crepitano
frusciano spingono in su
Certe mattine sono antenne
Certe sere sono inferriate
Per fortuna il naso è lontano
lì tutto cresce in silenzio
misteriosamente nel buio
s'intrecciano due baobab
irsuti Tutta un'attività c'è
in me di caos ipertricotico 
insospettabile in un calvo
Mi viene da ridere mentre
mi strappo meticolosamente
pelo su pelo con due dita
Combatto l'orso che mi abita
o forse lo nascondo e proteggo
Il corpo è tutto Mi tiene in vita
Ma certe volte è ridicolo
O troppo troppo sincero





©francescorandazzo2011




 

sabato 12 marzo 2011

Tanka jishin 短歌地震




Solleva il sole
di terra e d'acque smosse
rapide morti.
Cerimoniali antichi
d'obliate divinità.

*

Voci pacate
di cronisti in diretta.
Zen e panico.
Furiose acque fangose.
Animi verticali.

*

Sulla battigia
auto, e cadaveri.
Schiuma e compianto.
Amaterasu oggi
celata piange, muta.









©francescorandazzo-2011

lunedì 7 marzo 2011

LETTERATRONICA

LETTERATRONICA
Riviste, editoria e scritture nella rete globale
Mercoledì 9 Marzo 2011
ore 15.30 -19,30
BIBLIOTECA VALLICELLIANA
Piazza della Chiesa Nuova 18 - 00186 ROMA

Saluto
Maria Concetta Petrollo Pagliarani
Direttrice BIBLIOTECA VALLICELLIANA

Intervengono (a/z)

Luca Benassi - NOIDONNE.ORG
Luigi Bosco - POESIA2PUNTO0.COM
Franco Buffoni - NAZIONEINDIANA.COM
Maria Teresa Carbone - ALFABETA 2 ON LINE, IL MANIFESTO
Luigi Cecere - Direttore Generale Sezione OLAF della SIAE
Tiziana Colusso - FORMAFLUENS.NET
Claudio Del Bello - ODRADEK- BLOG
Massimo Giannotta - LA CITTÀ E LE STELLE
Carlo Infante - URBANEXPERIENCE.NING.COM
Roberto Maggiani e Giuliano Brenna - LARECHERCHE.IT
Fabrizio Palasciano - Digital Dramaturgist
Marco Palladini - LE RETI DI DEDALUS.IT
Francesco Randazzo - MIRKAL e-publisher
Paolo Ruffini – critico e operatore culturale
Sara Crimi - QUIAPPUNTIDALPRESENTE.IT
 

 

Dopo gli interventi, dibattito instant blogging via TWITTER (con visualizzazione della Tag Cloud Live) e lancio di una piattaforma di discussione sulle tematiche trattate formazione di una rete di operatori attraverso eventi condivisi.


in collaborazione con: 
URBAN EXPERIENCE 
GIOCARE LA CITTA'  
TRA WEB E TERRITORIO 
 
Organizzazione FORMAFLUENS 
Con il patrocinio F.U.I.S
 
A cura di: LE RETI DI DEDALUS.ITFORMAFLUENS.NET
...«L’inarrestabile avanzata del Web 2.0 (Facebook ha raggiunto i 600 milioni di utenti a fine 2010) ci fa comprendere come, accanto al social networking, ci siano enormi margini di crescita per il literary e cultural networking. Il problema è capire come indirizzare questo sviluppo e per fare che cosa. La galassia cibertronica in espansione formata da web-reviews, blog, forum, focus-groups, chat-lines, varie tipologie di virtual communities e, ora, dal lancio su vasta scala degli e-books ci impone di interrogarci: quale sarà il profilo degli scrittori e degli agenti culturali del XXI secolo? La mutazione è già in corso e i modelli novecenteschi non ci servono più. Occorre sforzarsi di guardare nel futuro.»
Marco Palladini - direttore
LE RETI DI DEDALUS.IT
«La comunicazione internautica è globale, ma in quale lingua i globalnauti comunicano? L’editoria scientifica e i siti commerciali internazionali sono ormai tutti stilati in un inglese asettico e standardizzato, ma come possono i letterati e gli autori restituire ad Internet lo spessore e il sapore delle diverse tradizioni linguistiche e culturali? Umberto Eco ha sancito che “la lingua dell’Europa è la traduzione”, ma al di là del passaggio da una lingua ad un’altra la comunicazione letteraria si complica in ibridi fluidi e imprevisti, di multilinguismi, translinguismi, comunicazioni millefoglie che corrono le mille miglia lungo le maglie infinite della Rete»
Tiziana Colusso - direttrice
FORMAFLUENS.NET

SNS 
SINDACATO NAZIONALE SCRITTORI
REPRO'





Presentazione di
Ti ucciderò, mia capitale
di Giorgio Manganelli
Biblioteca Adelphi, 2011
Interverranno Salvatore Silvano Nigro e Ermanno Paccagnini
Coordinamento di Armando Torno
Giovedì 31 marzo ore 18,00
Sala XXIII - Pinacoteca Ambrosiana
Piazza Pio XI 2, Milano
Per informazioni, teI. 02725731

domenica 6 marzo 2011

Corsa a vuoto



Folla di Carnevale e pioggia
Cavalli in corsa libera Barbarie
del sangue che zampilla
e fremiti e una coperta
La tradizione brutale della morte
Correre come il vento
Morire di schianto
La parola giugulare
in un equino stramazzato
ha consistenza di fontana
Mentre il cuore pompa e sprizza
la vita di Tiffany che muore
a dispetto di Audrey Hepburn
senza nessuna eleganza
davanti a tutti questi buzzurri
incravattati pomposi trucidi
di rioni antichi e crasse pulsioni
O cavallina cavallina morta
gli hai rovinato il martedi grasso
Per il mercoledi delle ceneri
nessun perdono Dimenticanza

La notte nitrisce silenzio
l'acqua lava l'asfalto
tutti dormono nonostante tutto


© francesco randazzo - 2011

giovedì 3 marzo 2011

A volte

Seguire nel buio il fantasma
di un cane che conosce la via
Sotto pioggia lucida bavosa
scivolare come un rospo pazzo
Sentirsi prudere dappertutto
soprattutto dentro e sotto
Buttare via gli occhiali sporchi
e gli occhi nudi lasciarli soli
Fermarsi davanti a un portone
Non suonare a nessuno
Esserci e sparire Bruciare
una lampadina a morsi
Sentire il fulmine muto
senza scansarsi mai
Quando il cane si perderà
arriverai Ci vuole tempo
e tenace infinita pazienza
Lavarsi la faccia e gocciolare
a volte aiuta a volte è meglio
il cellulare mentre squilla
metterlo in forno e dare gas


©francesco randazzo - 2011



martedì 1 marzo 2011

Congelatemi

 


Congelatemi
che io non senta più
le grida inutili e i silenzi colpevoli
Congelatemi
e gli occhi invetrati
s'appannino in quiete bianca
Congelatemi
e gli arti immobili
smettano l'arte futile
Congelatemi
così che il cuore
fissi il battito eterno
prima che il ricordo
lo estingua crudelmente
Congelatemi
e mai vi venga in mente
di sciogliere la perfezione
del cristallo Lasciatemi così
come una goccia dura
in uno spazio senza tempo
Nella bocca chiusa
serberò tutti gli attimi
di gioia e il resto
rimanga a voi
che di nulla dipingete
la tela sfibrata dell'esistere


©Francesco Randazzo - 2011