Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

domenica 29 gennaio 2012

Inventario





In tutti i libri che ho perso
c'è la mia ombra bianca

Nei libri che mi rubarono
il sale dei respiri troncati

Nei libri presi in prestito
le promesse mantenute

Nei libri che mai  lessi
tutti gli amori sognati

Tra le pagine della mia biblioteca
resta la cenere degli occhi stanchi

© francescorandazzo_2012




domenica 22 gennaio 2012

Stefano D'Arrigo. Un (anticlassico) del Novecento?


PROGRAMME DES JOURNÉES
Stefano D’Arrigo
Un (anti )classico del Novecento ?
Les Journées d’Études des 16 et 17 mars 2012, organisées à l’université Toulouse II autour
de l’oeuvre de Stefano D’Arrigo, visent à mettre en valeur l’oeuvre d’un écrivain dont
George Steiner s’est demandé : « Comment se fait-il qu’un livre qui marque profondément
son lecteur et transforme son paysage intérieur puisse demeurer obscur à la très grande
majorité du public de la littérature? » (Corriere della Sera du 4 novembre 2003). George
Steiner exprimait ainsi la frustration éprouvée par le lecteur vis-à-vis d’un auteur qui avait
su tisser dans Horcynus Orca (1975) « une trame narrative complexe et polyphonique,
équivalente à celles de Gadda ou de Joyce », affirmant dans le même temps la valeur de
l’écrivain sicilien dans son siècle et dans les littératures italienne et européenne et, en
quelque sorte, le manque de reconnaissance dont il a été et continue d’être victime.
La thématique de la manifestation s’articule autour de deux aspects du fait littéraire : les
vicissitudes de l’édition des textes de D’Arrigo, d’une part, et la poétique de la langue (le
phénomène du plurilinguisme, les styles et les thématiques, les archétypes convoqués et
l’intertextualité mise en jeu), d’autre part. Les présentations et les deux tables rondes seront
enregistrées pour la chaîne Canal U. Les interventions ont lieu en italien et seront traduites
en français pour l’occasion. Une publication d’articles en volume est prévue en parallèle.
Ces journées d’études résultent d’une initiative de collaboration entre l’Università per
Stranieri di Perugia (Dipartimento di Culture comparate) et l’équipe italianiste Il Laboratorio
de l’université Toulouse II-Le Mirail.
Stefano D’Arrigo (Alì Terme, Messina, 1919 – Roma, 1992)
Joueur de football dans sa jeunesse, acteur épisodique – en 1961, il joua un petit rôle
dans le premier film de Pasolini, Accattone –, poète et critique d’art, le jeune homme
qui soutint une thèse sur Hölderlin en 1942 avant de partir à la guerre devient, dans les
années 70, un écrivain atypique, connu essentiellement pour son roman monumental de
quelque 1270 pages, Horcynus Orca, dont la première mouture (660 pages) fut intitulée
I fatti della fera. Après avoir publié, en 1957, un recueil de poèmes, Codice siciliano, il
a travaillé sans interruption à son oeuvre majeure, qui ne fut publiée dans son intégralité
qu’en 1975. La toile de fond se présente comme une sorte de saga, fondée sur le retour du
jeune marin ’Ndrja Cambrìa dans un village de la région de Messine en 1943, à partir de
laquelle s’engendre un immense complexe réseau d’écritures marginales, de digressions
sur l’histoire et la mémoire, et de réflexions sur le mythe et la légende. Le roman reçut
un accueil enthousiaste pour son audace narrative et pour la richesse de la langue et du
style. Réimprimé en 1982, souvent repris comme sujet d’étude, il représente un sommet
de la recherche littéraire des dernières décennies du XXe siècle. L’expérience stylistique et
la mythologie symboliste d’Horcynus Orca font penser à Gadda et à Céline, à l’Ulysses
de Joyce et au Moby Dick de Melville. L’autre roman de D’Arrigo, l’étrange Cima delle
nobildonne (1985), pour lequel il reçut le prix Elsa Morante, se situe aux antipodes par sa
brièveté et par la densité de son écriture.
VENDREDI 16 MARS 2012
SALLE D155
MAISON DE LA RECHERCHE
14h00 Ouverture de la journée
par Jean-Luc NARDONE et Margherita ORSINO.
14h30 Roberto FEDI (Università per Stranieri di Perugia),
Introduzione a un classico (dimenticato) del Novecento.
15h15 Siriana SGAVICCHIA (Università per Stranieri di Perugia),
Stefano D’Arrigo e l’avventura editoriale
del romanzo Horcynus Orca.
16h00 Pause
16h15 Andrea CEDOLA (Università di Cassino),
La parola-orca sdillabbrata.
Da I fatti della fera a Horcynus Orca.
17h00 Table ronde
SAMEDI 17 MARS 2012
SALLE DES CONFÉRENCES DU CHÂTEAU
PARC DE L’UNIVERSITÉ
9h30 Gualberto ALVINO (Università di Roma),
Nuove risultanze sul lessico orcinuso.
10h15 Daria BIAGI (Università di Trento),
Il poeta ingrato. D’Arrigo lettore di Hölderlin.
11h00 Jean NIMIS (Université de Toulouse II-Le Mirail),
La raccolta Codice siciliano e la poetica del chaosmos.
11h45 Table ronde

giovedì 19 gennaio 2012

Un passo oltre




da Il Grandevetro, n. 207- ottobre-dicembre 2011

Un passo oltre   
Francesca Ruth Brandes   

Lunare, come un’Amalasunta liciniana, la Luminosa signora di Alfonso Lentini consiste. È figura dell’immaginario, ma non per questo è irreale: ha forza materica, dalla gola che freme nel bere al tiepido sonno, rivela tracce di sé, profuma. Non nominata, invocata. Silenziosa, come silenzioso è ogni inizio. La Signora è Musa.
L’atteggiamento tormentato del protagonista si esplica sotto forma di una fissazione di fascino, mentre lei – donna-madre-città – esercita il proprio incanto seduttivo sulle cose che vanno sfaldandosi, ma senza alcun intento ludico. Ogni reciprocità è preclusa (e l’io narrante la desidererebbe molto, come quel dono fiorito che non è per lui), ogni legame soggettivo negato: sfugge al protagonista, che sanguina tempo da una guancia, la concretezza dell’esistente, se non per particolari minuti (la leggerezza delle ricette al profumo di erba cipollina, il respiro della città). La Signora non condivide la ferita, non c’è compassione né ascolto. Eppure la narrazione non assume i toni del soliloquio, perché l’autore riesce ad investire la sfera emotiva dei lettori in una sorta di spinosa condivisione, in cui coesistono una punta di maniacale voyeurismo e una curiosità conclusiva per l’identità dell’arcana presenza (che Lentini, peraltro, si guarda bene dall’appagare).
L’ordito evanescente di Luminosa signora racconta, invece, alcune storie vere, di cui la bellissima compagna è suscitatrice ignara: quella di una stagione politica e sociale, a cavallo tra secondo dopoguerra e l’utopia del Sessantotto, gonfia di speranze e mitologie liberatorie. Quella della città che rende pazzi penetrando nei soggetti come l’acqua, da ogni punto concavo della superficie, intrecciata alla vicenda del padre del protagonista, talmente intriso di primavera da non accettare i rigidi segni della disillusione invernale. Quella dell’isola dei folli, appena accennata, ma nettissima.
Poi, anche questo è reale, a Venezia le case cambiano spesso dimensioni, configurazione, altezza. Esiste qualcosa nell’aria che riduce gli spazi di colpo, fino a fare di una stanza una gabbia, o li allarga a dismisura in un’interminabile processione di venti. Non stupisce che la casa dell’io narrante sia magmatica, indefinita e si sgretoli nell’impermanenza di ogni cosa. 
In realtà, credo che Lentini parli anche del morire, del farsi morte della Natura transeunte in opposizione al simbolo. In questa caducità lieve ed enigmatica, frana l’accidente del giorno per far posto ad una sorta di entità angelica. Non vi è possibilità di oscillare da un piano all’altro senza riaprire ferite insanabili. La Signora, come l’Angelo di Rilke, consiste non tanto perché viene creata dall’autore (e quindi è perfetta presenza), ma perché è già iconica, già oltre il bilico di ciò che pensiamo reale. Tuttavia, la trama funambolica dei segni che Alfonso Lentini riesce ad tracciare, per la malìa propria del saper scrivere – leggeri – pagine grandi, ci restituisce un mondo vivo e profondo, a suo modo salvato. I codici metafisici dell’autore, in quest’opera breve ma importante, si coniugano con un’immaginazione colma di stupefatto lirismo. Il risultato è una prova di sconcertante attualità, persino di riflessione politica sugli esiti di una speranza che non ha saputo inverarsi nel mondo, ma trattasi di un’attualità fondata sul pensiero poetico, sulla coralità delle sfide, e sulla sfida massima dello scrittore, quella all’Infigurabile. In questo, a mio parere, risiede la bellezza di Luminosa signora: l’estrosa sapienza che definisce una visione prevalentemente eidetica della realtà, da un lato; dall’altro la potenza di una struttura organica, e fondante, del narrare. Trasparenza, leggerezza, profondità: per una scrittura che si fa eresia dei propri confini.

Alfonso Lentini, Luminosa Signora, lettera veneziana d’amore e d’eresia, Ed. Pagliai Polistampa, Firenze 2011, pagg. 109, € 8,00

Francesca Ruth Brandes vive a Venezia e si occupa di critica d’arte e poesia.



mercoledì 11 gennaio 2012

Trenitaglia - ti salva la vita




Estragone: Siamo contenti. (Silenzio.) E che facciamo, ora che siamo contenti?

Vladimiro: Aspettiamo Godot.

Estragone: Già, è vero. Non accade nulla, nessuno arriva, nessuno se ne va, è terribile! 


(Samuel Beckett - Aspettando Godot)



 Un piccolo omaggio alle nostre "care" Ferrovie dello Stato .

 Cortometraggio con Gian Luca Bianchini, 
 da un'idea di Monica Mariotti, 
 diretto e montato da Giuliano Capozzi. 


domenica 8 gennaio 2012

Assegnazione dei benefici della Legge Bacchelli a Pierluigi Cappello


Pierluigi Cappello è uno dei più grandi poeti italiani. Vive a Tricesimo, in provincia di Udine, affrontando con serena determinazione gli impedimenti ed i dolori causati da un antico incidente, che gli ha tolto l'uso delle gambe. A questi si sono aggiunti, di recente, nuovi dolori ed impedimenti.

Pierluigi Cappello vive con poco.
C'è una legge di civiltà, in Italia, detta comunemente "Legge Bacchelli", che prevede la possibilità che figure di rilievo nell'arte e nella cultura, che si trovino in difficoltà, ricevano un vitalizio che le aiuti ad avere una vita meno gravosa. Ora, la Giunta Regionale del Friuli Venezia Giulia ha fatto proprio un ordine del giorno per sostenere l'assegnazione dei benefici della Legge Bacchelli a Pierluigi Cappello.
Noi sosteniamo questa iniziativa, con le parole di un amico di Pierluigi, Alberto Garlini:


"Chi lo conosce, chi lo ha sentito almeno una volta leggere i suoi versi, chi ha letto i suoi libri, sa che Pierluigi non lavora solo per se stesso, sa che i versi che costruisce con forza artigiana, la precisione cristallina del gesto, l’estrema e fragile bellezza che ci dona, riguardano non solo lui ma tutti noi. Pierluigi, grazie alla sua ascesi, al coraggio con cui ha affrontato la scelta della poesia vista come totalità, sta creando un immaginario condiviso, un innalzamento di coscienza e di prospettive per una intera comunità. Ci dà la possibilità di riconoscerci in qualcosa di più bello e di più alto, regala le esatte parole che un domani saranno la sostanza del nostro ricordo, ciò che ci permetterà di essere noi stessi e di tramandare un insegnamento ai nostri figli."


PER ADERIRE ALL'APPELLO INVIARE UNA MAIL AL PRESIDENTE DE CONSIGLIO REGIONALE FVG:   


GRUPPO SU FACEBOOK: 

 IL SITO DI PIERLUIGI CAPPELLO:
 

sabato 7 gennaio 2012

DDL Nienteproroghe

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gratis

cultura in rete

zero angoli

in cui nascondersi

zero scuse

da ieri

l’ignorante

è colpevole.

mercoledì 4 gennaio 2012

CampiRossi 1969


Oh, se sto mentendo, / la canzone che canto / la porti il vento. / Oh, che disincanto /se il vento cancella / quel che io canto.

I versi di una canzone di Chicho Sanchez Ferlosio sono l'epigrafe e la chiave del libro di Mauro Mirci, "Campirossi 1969" scaturito da alcune foto di Antonio Russello in casa di Alcide Cervi. Lo spunto delle foto, diviene anche e soprattutto lieve e riservato fluire di memorie che Russello, timidamente svolge nel corso di alcune conversazioni registrate dal curatore/autore. Ne viene fuori una narrazione mista, fuori dalla saggistica e dalla narrativa, un racconto semplice ma profondo attraverso le storie di persone ed epoche che sembrano ormai lontanissime.
Antonio Russello, fotografo, avventuriero, hidalgo e tzigano insieme, come solo certi siciliani sanno essere, ha scattato queste foto durante una visita nella tenuta di Alcide Cervi (padre dei sette fratelli vittime del nazifascismo). Le foto ritraggono, insieme al vecchio Alcide, un gruppo di amici, la compagnia dei burattinai di Otello Sarzi, che fu compagno di Resistenza dei Cervi, e alcune ragazze che li accompagnavano. Un gruppo, come dice lo stesso Mirci, un po' beat:

"Prima di vederle, ho pensato che avrei trovato in queste fotografie qualcosa di straordinario. Mi sono immedesimato in un giovane di fine anni '60, in attesa di un messaggio proveniente, in linea diretta, dagli anni in cui la contrapposizione tra rivoluzione e reazione era ancora più dura, ancora più sanguinosa. Invece ci ho trovato quotidianità e confidenza: nulla di non ordinario, di ecumenico. Nessuna liturgia della memoria. Qual è il significato di queste foto, allora? Cosa non sono capace di vedere? Qual è il loro messaggio? Mi dico che queste foto sono un link, l'anello di una catena. Esiste un solo presente, ma molti passati. Questa giornata del 1969, fissata in maniera indelebile sulla pellicola da Antonio Russello, collega il presente a un passato lontano oltre settant'anni e rende attuale ciò che altrimenti resterebbe cristallizzato nelle parole dei libri e nei carteggi degli archivi storici. La parola scritta è uno strumento di comunicazione potente; altrettanto lo è l'immagine fotografica. Ma insieme assumono una forza e un'efficacia impressionanti."

Così infatti appaiono le foto, ma anche i ricordi e le parole che le accompagnano, forti di molti passati, fino al presente unico di ogni lettore osservatore, seme di semi ulteriori.

Si sente un lieve vento, un respiro e la voce del vecchio Cervi:
"Guardate il seme, perché la quercia morirà, e non sarà buona nemmeno per il fuoco. Se volete capire la mia famiglia, guardate il seme. Il nostro seme è l'ideale nella testa dell'uomo."


Al lettore risuonano voci e vite, una certa purezza e ingenuità, forse da rimpiangere o forse semplicemente da custodire e trasmettere, come questo piccolo libro fa.

"Cervi riceveva di queste visite almeno un paio di volte alla settimana"
"Ma cosa gli chiedevano?"
"Ma niente. Andavano lì per amicizia, e poi era un bel posto. Non lo usavano come un'icona. Questo non si faceva, a quei tempi. La gente era più seria. Ci si rispettava. si stava insieme, si mangiava, si beveva, si cantava. Si cercava di stare bene insieme, in armonia".


Poco importa se la memoria un poco mente, poco importa se il disincanto cancella l'illusione del canto della giovinezza o quello libertario del vecchio padre contadino di eroi ormai dissolti nella memoria collettiva. 
Come in un soffio si smuove tra le parole di Mirci e le foto di Russello, una Erlebnis, dal senso alto e civile, che non conforta ma lievemente rincuora, commuove, come qualcosa ritrovato in soffitta che rispolverato, torna a noi e ci parla.

f.r.



Mauro Mirci
Campi Rossi 1969
Fotografie di Antonio Russello in casa Cervi



lunedì 2 gennaio 2012

La guerra è di moda

Cavalcano le Valchirie
potenti equini volanti
d’acciaio
tesi nel muscolo protesi all’azione
eccitati dall’avena politica
spronati a condurre a vittoria
cavallerizze in perizoma di Yamamay.