Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

lunedì 19 ottobre 2009

4 e 5 Novembre - "L'asciugamano" al Palermo Teatro Festival


29 Ottobre - Malpelo e Iqbal


Festival ‘Le voci dell’anima" – Incontri teatrali settima edizione

Teatro degli Atti - Rimini

Giovedi 29 ottobre 2009 ore 21

Compagnia Argo – Siracusa

Malpelo e Iqbal

di Francesco Randazzo
con
Junio Ambrogio, Fabio Garan, Veronica Buonarrivo
coreografie di
Fabio Garan
regia
Junio Ambrogio

…una delle più gravi vergogne dell’umanità ancora irrisolta: lo sfruttamento del lavoro minorile…
una sotria distante nel tempo, ma vicina nello spazio (’Rosso Malpelo’ di Verga) che si incrocia nel finale della rappresentazione ad un’altra storia distante nello spazio ma estremamente vicina nel tempo (l’assassinio del bambino pakistano Iqbal)per ribadire come la piaga del lavoro minorile non appartenga nè ad un luogo, nè ad un periodo storico preciso….

Il programma del festival, qui.

Il testo, qui.

23 Ottobre - "Per il bene di tutti" al Festival Universoteatro


Université de Toulouse II Le Mirail, France.

Compagnia: I Chiassosi
Referente dell’Università: Prof.ssa Evelyne Donnarel
Regia: Jean-Claude Bastos
Titolo dello spettacolo: “Per il bene di tutti”
Con: Berrone Stéphane, Ferrato-Abadia Lionel, Boulahmi Nabaouia, Lapeyronie Célia, Escourolle Claire, Menduni Paolo, Milia Bruno, Rasero Matteo

“Per il bene di tutti” di Francesco Randazzo

Gli abitanti di un villaggio di frontiera organizzano delle ronde notturne per respingere gli immigrati che attraversano il fiume e tentano di “invadere” la loro terra. Una notte, un clandestino riesce a oltrepassare la frontiera, ma viene catturato. Nell’arco di una giornata, all’interno di un unico spazio claustrofobico, in cui la presenza latente del clandestino è evocata in ogni momento, un piccolo gruppo di borghesi (il commerciante e la moglie, il meccanico e la figlia, il dottore, un giovane naziskin e un pazzo fanatico) discute sul da farsi, esponendo al pubblico e a sé stesso le ragioni legittime che lo spingono ad agire: per difendersi, per paura, per follia. Ne nasce un quadro spietato della società contemporanea, il lato oscuro della nostra anima di cittadini privilegiati. Con una scrittura libera e originale, che lascia spazio all’immaginazione e punta su un ritmo recitativo e teatrale dei più creativi, questo dramma tratta di un argomento di grande attualità, in un’Italia che ha aperto le porte a un’immigrazione brutale e inaspettata. La messinscena minimalista gioca sui contrasti cromatici e sulla frenesia che accompagna i discorsi dei personaggi, riuscendo a trasmettere disagio e senso di colpa nel pubblico che viene preso a testimone di questa tragedia contemporanea.

La scheda info del Festival: qui.

Lo spettacolo sarà visibile in diretta streaming sul web ai link:
http://universoteatro.solot.it
oppure
mms://66.71.191.54/wmp01-ml22

Il testo:
in italiano, qui
in francese (testo italiano a fronte), qui.


venerdì 16 ottobre 2009

Felice Paniconi. Rosa

L’anima delle rose

Torna al mattino l’anima alle rose
e si dissolve in nuvolette d’oro
la rugiada dolce amica delle cose

Della notte nulla a me rimase
oltre l’orizzonte tagliato
dal muro delle case

Settembre muore

Muore Settembre nelle ultime piogge
con lenti passi come di un cieco
mentre in alto le stelle
allontanano il cielo.

Per sempre una domanda
non sfuggita la mente
afferra e solo allora
mi accorgo quanto vana
sulla terra ogni cosa
tranne questa pioggia e questa rosa.


L’angelo dell’autunno

Nella chiarezza delle autunnali
sere un angelo scende
nel calmo cielo e sole mite
che la terra tutta prende.

A poco a poco sentono da lontano
gli alberi dell’inverno i passi.

Ma questa rosa sola
al vento la corolla non vuol dare
nell’avidità ardente della sera.

La rosa del mirteto

Non ho mai amato la rosa
ma sempre fiori di campo
velati anemoni o papaveri del grano
e gli umili ciclamini dei fossi

Non ho mai amato le orgogliose rose

Ma poi tra i mirti e i poggi
una rosa apparve che univa
alla saggezza del suo rango
dei fiori di campo

Una rossa rosa romita
dalla sua bellezza ferita

mercoledì 14 ottobre 2009

Controfigura

Controfigura

Marsilio Editore
pp. 176
2009
isbn: 978-88-317-9887-7


Una lunga passeggiata dentro Roma secondo il percorso immaginato nel romanzo che Lucio Grimaldi aveva pensato tanti anni prima: di questa storia, progettata ma mai portata a compimento, il protagonista ritrova casualmente un suo vecchio taccuino. Ha inizio così una flânerie trasognata nel cuore di Roma, alla riscoperta dei luoghi e dei personaggi della propria giovinezza in un intreccio di memorie del passato e folgoranti agnizioni di un presente forse reale o forse solo immaginario. Un romanzo emotivamente coinvolgente, ricco di sorprese e di surreale ironia, di umori beffardi, di atmosfere e di poesia.




Luigi Fontanella vive tra Roma, Firenze e Stony Brook (Long Island, New York). È ordinario di Lingua e Letteratura Italiana presso la State University di New York. Ha pubblicato libri di poesia e saggistica. Tra i titoli più recenti: Pasolini rilegge Pasolini (Archinto 2005), L'azzurra memoria. Poesie 1970-2005 (Moretti & Vitali 2007), Oblivion (Archinto 2008). Per la narrativa ha pubblicato varie prose in rivista e il diario-racconto Hot Dog (Bulzoni 1986). Questo è il suo primo romanzo.



domenica 11 ottobre 2009

Gualberto Alvino. Parodiando

4. Carlo Lucarelli

Cinzia di Tor Tre Teste tossisce, si passa la lingua sui denti, una, due, tre volte, mordicchiandosi il labbro superiore fino a farlo sanguinare, poi ingoia il sangue e inizia a mulinare la sua Speedy Monogram della Red Apple stringendo il laccetto di plastica come un guinzaglino. Fa così ogni volta che ha un pensiero sinistro, o che qualcosa di grave sta per accadere. «Chi credi di essere, una sensitiva? È meglio che la pianti con le tue cazzate!» le ripete sempre con sarcasmo Diego di Testaccio, il ragazzo con cui sta ormai da più di due anni, facendo scricchiolare talora le Pakerson Classic, talaltra le Church’s modello Burwood sui vialetti di ghiaia dell’università dove si è iscritto solo per far tacere sua madre, una vecchia professoressa di greco in pensione che non lo perde mai di vista, spiandolo da dietro alle fessure ovali dei suoi occhietti a mandorla, eredità di suo nonno, cinese di Canton trasferitosi in Europa subito dopo la guerra cino-nipponica per aprire una catena di ristoranti e di tolette per cani che assurse agli onori della cronaca per una serie di omicidi su cui si trovò ad indagare il padre di Diego di Testaccio, uno con l’ulcera gastrica e con il fuoco di Sant’Antonio che gli causava dei dolori lancinanti sulle spalle e lungo l’intera schiena, ma con un fiuto che avevano pochi investigatori, all’epoca. Lui e la madre di Diego di Testaccio s’innamorarono pazzamente mentre lei gli spalmava sulla schiena un balsamo descritto in un testo ionico di farmacopea che lei aveva scovato tra i fogli di guardia di un codice antico.
Valeria di Valle Canestra continua a tormentarsi l’orlo dei 501 Standard Fit e le frange dei polacchini Givenchy fingendo di reprimere prima un rutto poi uno sbadiglio, perché sa che cosa vuole Cinzia di Tor Tre Teste, vuole chiederle di entrare a farla insieme, come facevano da bambine nel bagno della scuola, e a lei verrà l’angoscia perché lì per lì non saprebbe prendere una decisione: l’afrore di ammoniaca la disgusta, ma al tempo stesso la attrae, la seduce in maniera irresistibile, «Smettila di rimestare nel piscio!» le dice sempre sua madre. E frattanto ha una gamba che trema. Le trema talmente, la gamba, che un rasta di passaggio le chiede se per caso si senta male, se ha bisogno d’aiuto, perché una gamba tremare così non l’ha mai vista in vita sua, dev’esserci per forza qualcosa che non va, per forza. Valeria di Valle Canestra pensa ma vedi questo, credendo sia il guardiano, che le sta dietro da quando l’ha vista uscire da un cesso con un seno di fuori; poi: «Oh, ti ho chiesto qualcosa? Eh? Ti ho chiesto qualcosa? No. Allora fai dietrofront e esci dal bagno delle donne! Quello dei maschi è occupato? Cazzi tuoi!» risponde lievemente seccata, tornando subito a rintanarsi nei suoi pensieri, mentre si sente tra i glutei e fino all’attaccatura delle cosce la stretta sorda delle emorroidi che le viene ogni volta che pensa fitto. «Vorrei ficcarci un palo dentro!» dice sempre a sua sorella Federica di Rocca di Papa quando le chiede se ha dolore. «Smetti di pensare fitto e vedi che ti passa» replica Federica di Rocca di Papa. Invano, perché Valeria di Valle Canestra a smettere di pensare non ci pensa, non ci pensa nemmeno lontanamente.
Katiuscia del Quadraro Vecchio se ne sta in un angolo, la schiena lunga e dritta appoggiata alla parete di maioliche bianche chiazzate di sputi e scritte oscene. Fissa le altre come se le vedesse per la prima volta, e intanto un velo di tristezza le vela gli occhi azzurri, perché sa che prima o poi toccherà a lei, sa che Cinzia di Tor Tre Teste, se Valeria di Valle Canestra si rifiuterà, chiederà a lei di entrare in bagno, e Barbara del Tiburtino III: «Su, non fare la scema, questo è l’unico bagno libero. E poi, un bagno così, quando ci ricapiterà? Ci hai pensato a questo? Di’, ci hai pensato almeno una volta? Da quanto cerchiamo un bagno? E proprio ora che l’abbiamo trovato vorresti…» Ma Katiuscia del Quadraro Vecchio non l’ascolta, alza il bavero della Ralph Lauren e se lo serra stretto intorno al collo come se volesse farsi risucchiare da quell’imbuto di stoffa cremisi, sparirci dentro, per sempre. Un tempo preferiva di gran lunga le Lacoste, perché il caimano era sempre stato il suo animale preferito, ma quei nidi d’ape le irritavano la cute troppo delicata, allora passò senza rimpianti alle Ralph Lauren, altra classe, altra finezza, anche se le trovava un po’ troppo larghe, «a vela» diceva, intendendo «a sacco», o forse «a cascata», chissà.
D’un tratto si sentì un tonfo, e quattro teste rasate irruppero nell’ambiente. Erano a volto scoperto, e Barbara del Tiburtino III spalancò la bocca ed emise un grido talmente acuto che un cane, fuori, latrò per un minuto buono, e anche più, perché era stato l’unico a poterlo sentire, tant’era acuto; questione d’onde, frequenze. Poi chiese:
― Voi volete ucciderci, vero?
― Perché dovremmo uccidervi? ― chiese a sua volta quello che doveva essere il capo, perché era il più alto di tutti, e una cicatrice gli sfregiava lo zigomo sinistro e parte del destro fino all’orecchio traforato di metalli, mentre gli altri tre erano bassi di statura e avevano la pelle liscia come quella dei neonati.
― Come perché? È chiaro, siete a volto scoperto. Se non volevate ucciderci sareste venuti mascherati, magari con le maschere dei presidenti, come in Point Break, o da Topolino e Zio Paperone, come in quel romanzo giallo con un nome di donna nel titolo, scopiazzato da Point Break, scritto dal figlio di quel primario parmigiano che fa venire il latte ai ginocchi al secondo rigo e malgrado ciò vende a sfascio. Mi chiedo come sono possibili certe cose? Chi li compra? E soprattutto: perché? A certe persone va tutto bene, gli arrivano soldi da ogni parte, non bastava il padre primario? Anche royalties a pioggia! Di questo passo dove andremo…
Molto probabilmente voleva dire: «a finire». Ma non terminò la frase che qualcosa la colpì alla bocca dello stomaco lasciandola senza fiato, in un conato asciutto. Era il pugno di quello che doveva essere il capo, perché era troppo alto, rude e violento per non esserlo, mentre gli altri tre tacevano pendendo dalle sue labbra. Le si avvicinò e le soffiò all’orecchio:
― Basso, tarchiato, fighettino, un po’ flatulento, esse blesa, quando cammina alza i talloni e pende leggermente a sinistra, Rolex Yacht-Master II al polso destro, tenuto leggermente lento, allacciato al quarto o al quinto buco, jeans Diesel a bottoncini d’acciaio, tranne il primo, gliel’ho fatto saltare io con un calcio perché rompeva troppo i coglioni. Dov’è?
― T’ammazzo, figlio di puttana! ― esclamò Katiuscia del Quadraro Vecchio senza troppa convinzione, pizzicandosi la cintura Holl d’alcantara. Le fece eco Cinzia di Tor Tre Teste, cui l’orrore e la tensione esplosero dentro. E fece quello che faceva sempre quando si trovava in uno stato d’eccitazione. Cominciò a cantare una canzone di Sergio Bruni, isterica e sonora, senza riuscire a fermarsi. Ci aveva perso più di un marito, per quello.
― Reazione nervosa, eh? Va bene. Ricomincio da capo. Basso, tarchiato, fighetto, un po’ flatulento, esse blesa, quando cammina alza i talloni e pende leggermente a sinistra, Rolex Yacht-Master II al polso destro, tenuto leggermente lento, allacciato al quarto o al quinto buco, jeans Diesel a bottoncini d’acciaio, tranne il primo, gliel’ho fatto saltare io con un calcio perché rompeva troppo i coglioni. Dov’è? Parla, se non vuoi crepare prima del tempo. La vedi questa? ― e le mostrò una scimitarra turca appena lucidata che sapeva d’Amphora Verde Rich Aroma, infatti c’era attaccato un vecchio grumo di tabacco secco che svolazzava per lo spostamento d’aria che si era verificato in seguito al movimento di qualcuno o qualcosa.
― Aspetta un po’, ti riferisci al rasta di poco fa? ― mormorò Barbara del Tiburtino III scuotendo la testa incredula.
― Sì, perché? ― fece lui curioso, sollevando la scimitarra sul collo tremante della ragazza con uno sguardo che non prometteva niente di buono.
― Porca troia! E non potevi dirlo subito che cercavi il rasta? Un rasta si riconosce dai capelli, mica dal Rolex e tutte le menate che hai messo in fila!
― Allora? Dov’è? Sputa, o ti pentirai di essere nata. La vedi questa? Vuoi che ti tronchi il collo? Credi mi ci voglia molto per farlo? Eh? Credi mi ci voglia molto per troncarti il collo?
― Primo cesso a destra. È mezz’ora che è là dentro, non senti la puzza?
― Cristo se la sento! Avrà ingoiato un gatto morto! Grazie infinite.
― E di che? Comunque questo è… il bagno delle donne ― aggiunse poi con una punta di esitazione mista ad orgoglio femminile.
― Ah sì? ― rispose lui imbarazzato rinfoderando la scimitarra. Ma era chiaro che presto o tardi l’avrebbe risfoderata. Chiarissimo.

domenica 4 ottobre 2009

PER IL BENE DI TUTTI a Radio Teatro Onda Rossa



Martedì 06 Ottobre 2009 ore 14

● Radio Onda Rossa 87.9 FM ●

PER IL BENE DI TUTTI di Francesco Randazzo

con Giovanni Carta, Emanuela Trovato, Gian Luca Bianchini, Walter Da Pozzo, Adriano Davi, Francesco Sala, Silvia Cippitelli, Rebecca Braccialarghe


«Persone normali, in un normale paesino di provincia al confine. Dall’altra parte gli altri: pericolosi per definizione. Uomini anche loro ma diversi, stranieri e soprattutto indesiderati. Al di là della religione e dell’umana solidarietà, principi validi in teoria e a distanza di sicurezza, tutti nel paese sono d’accordo. E si organizzano. Formano una piccola ma motivatissima milizia anti immigrati, ronde notturne a guardia della riva del fiume che fa da confine. Determinati a non fare passare nessuno. Ma uno di loro riuscirà a passare e sarà catturato. Che fare? Tutti i nodi dovranno venire al pettine e tutti, al di là dei ruoli normali e per bene delle loro piccole vite protette dagli schermi quotidiani, dovranno rivelare l’aspetto più oscuro, le ragioni vere del loro animo e delle loro azioni, affermando l’assolutezza di un principio sbagliato, con buone, sane ragioni: per proteggersi, per non soccombere, per il bene di tutti. Una storia preoccupante, che ci pone di fronte alle nostre piccole colpevoli omissioni di ogni giorno, alle nostre piccole connivenze silenziose, ai discorsi agghiaccianti della cosiddetta gente per bene...».

Il progetto RadioTeatro:
A Radio Onda Rossa (87.900 F.M., via dei Volsci 56 – 00185, Roma. I

IN STREAMING su
http://http://www.ondarossa.info/, cliccando su “in diretta”
O IN PODCAST (dopo la diretta) al link: http://www.scarphrec.org/visionari/perilbeneditutti.mp3


giovedì 1 ottobre 2009

Anna Utopia Giordano

Rapsodia


Ho perdonato la giustizia, la tolleranza.


Trasporto graffi allotropici,

avventure incise con pece

e simboli anidri (sabbia,

lacune, un Orisha mortale).


Cnidociglio, sentiero prolungato

fra planimetrie soteriologiche

– dravya, guṇa, karma –

sfuma flegma, una confessione.


Mi accarezza un soffio estroflesso,

flosgenico, intriso d’umor vitreo

e bile, attraverso spirocheti mesofili

e capsule di flocculi dorsali


funzioni tonali,

i suoni si sciolgono:


ecpirosi


mediante