Silvio, rimembri ancora
quel tempo della tua vita immorale,
quando la topa splendea
agli occhi tuoi lubrichi e porcellini,
e tu, lieto e sudato, illimitato
la gioventù assalivi?
Trombavi nelle inquiete
stanze, e le troie d'intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'orge femminili intento
ti davi, assai contento
di quel vago venir che in mente avevi.
Era il pelo odoroso: e tu solevi
così menare il ciurlo.
E i corrotti leggiadri
talor lasciando le truccate carte,
ove il tempo lor infimo
e di mazzette si spendea la miglior parte,
d'in su i veroni del papito ostello
porgean i voti al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa sega.
Mirava il ciel sereno,
le fighe dorate e gli orchi,
e quinci il viagra da lungi, e quindi la monta.
Lingua mortal suppliva
quel che s'alzava poco.
Che passere soavi,
che speranze, che culi, o Silvio mio!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanto sperme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di tua sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? Perché di tanto
inganni i silvi tuoi?
Tu dopo ben venti inariditi verni,
da chiuso Monti combattuto e vinto,
rincoglionivi, o tenerello. E già vedevi
disfatti gli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce topa or dalle rubizze clito,
or degli sguardi allupati e schifi;
né teco le olgettine ai dì festivi
trastullavan d'amore.
Anche perì e non poco
la speranza tua dolce: agli anni tuoi
anche negaro i fati
la eternitezza. Ahi come,
come passato sei,
caro anfitrione dell'età minore,
lor strapagata speme!
Questo è quel mondo? Questi
i diletti, l'amor, l'orge, le pompe
onde cotanto trombeggiaste insieme?
Questa la sorte d'infoiate genti?
All'apparir del Vero
tu, misero, cadesti: e con la mano
la fredda minchia ed un poter perduto
rimpiangevi di lontano.
(da "Zabaione e Canti" di Giacomo
Leopippiè)
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