Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

giovedì 1 novembre 2012

Recensione di Fabrizio Centofanti a "Shechinàh"


Shechinàh, di Francesco Randazzo, é un poemetto straordinario, che trascina in un vortice di santi e puttane, carabinieri e migranti, situazioni quotidiane trasfigurate da un’ironia sottile, che a volte si trasforma in sarcasmo, a volte si scioglie in commozione che non puoi controllare. Una denuncia garbata e spietata, nello stesso tempo, delle contraddizioni che infarciscono la vita, sempre esposta al pericolo della rovina e al bagliore inaspettato della grazia. Un racconto allucinato e lucido che si snoda tra due abissi: quello di un male che degenera spesso nella farsa della mediocrità e quello di una dignità miracolosamente ritrovata. Si ha l’impressione di toccare con mano la gigantesca domanda d’amore di un’umanità derelitta e, contemporaneamente, di sfracellarsi contro il muro di una perpetua estraneità. Il tutto racchiuso in un linguaggio poetico frammentato e musicale, che ricorda certe opere novecentesche tra Sibelius e Bartók. Numerose le ascendenze che si potrebbero evocare: da Bob Dylan a Bertolt Brecht, da Ginsberg a Dostoevskij; ma l’esito finale é un’originalità compatta e fluida. L’amore di un poetico Gesù si comunica a un mondo variegato, fuori di ogni schema, dove l’unica certezza é la disperazione di innocenti che finiscono con l’inciampare casualmente in una inedita speranza. Tra filosofia e letteratura, teologia e hilarotragoedia, il poemetto fila via con aria impertinente e imperturbabile, come se l’unico modo per conoscere il mondo fosse quello di un sorriso leggero, sospeso tra Calvino e Milan Kundera, che si tira dentro la tradizione epica e lirica italiana, da Ariosto a Dario Fo. I miracoli di un Gesù un po’ dandy e un po’ comunista s’intrecciano con una scrittura che mescola clamorosamente Dio e il gorgonzola, il mistero della vita e il cavolfiore grande come un cocchio; un cortocircuito di cui diviene simbolo magistrale il trittico morte subita – risurrezione – morte accettata come approdo sereno di una vita retta, nella scena dell’incidente stradale; o in quella strappalacrime di Dio che vorrebbe dare al mondo corrotto una lezione esemplare, spaventosa e apocalittica, e invece é fermato dalla supplica di una semplice bambina. Il riso finale della coppia di giovani in amore é un sigillo che tiene viva, nella memoria del lettore, la densitá e la leggerezza di una storia senza tempo e, direi, felicemente riuscita.



Francesco Randazzo, Shechinàh, Amazon, euro 2,68.

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