Esiste un destino più grande
della nostra paura, esiste
un destino sgomento che l’occhio
non riesce a comprendere tutto.
La nostra mente è dinanzi ad esso
un algoritmo minuscolo che ignora
l’infinito in sé stesso racchiuso
e non sa distinguere il segno
che tracciando l’ha reso vitale.
Di fronte allo specchio rifletto la luce
della mia assenza futura quando
abiterò l’altra parte che ora non vedo
e pur non sapendo so, quel viso
sarà mio e mi par nulla e tutto
sarà più grande, tanto, immenso
come un cielo che non esiste
e si può soltanto immaginare.
Allora la mia penna non scriverà più
ma la mia mano assente disegnerà
geometrie che mai ora potrei sognare:
il mio libro non avrà più pagine
ma solo un grande foglio che s’asciuga,
coperto dalla polvere finissima che il corpo,
il mio corpo d’adesso, diventerà e sottile
volerà sul naso freddo di quel blasfemo
che, sollevando il coperchio inchiodato,
tenterà l’oro del ladro e lo starnuto
lo spaventerà più della morte lontana,
allora riderò senza singhiozzi
e il vento mi carezzerà immemore.
Forse tutto sarà ancora ignoto
o tutto sapendo ricorderò chi ero.
Un sogno estinto mi sorprenderà
tornando nell’aria - quello sarò, forse -,
m’alzerò dritto senza più le gambe
e sarò alto più di un grattacielo,
vivrò il delirio della conoscenza
e soddisfatto me ne andrò per sempre.
O ancora nascerò, per non sapere.
Da "Elegie della vecchia casa" © Francesco Randazzo
Nessun commento:
Posta un commento