Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

venerdì 28 agosto 2009

Pensava fosse un cane e invece era la sua nemesi


di Mauro Mirci

(da ParolediSicilia.it)

Tatar Sarari ha 45 anni, è marocchino, vive a Enna. Il 25 di agosto del 2009, è martedì sera, se ne sta seduto davanti a un bar a Pergusa. Non conosciamo le condizioni climatiche. Data la stagione, la latitudine e la personale esperienza, immaginiamo condizioni caldo-umide degne di una foresta pluviale. A tali condizioni possiamo, volendo, associare una birra ghiacciata da almeno 400 cl, non di meno. Insomma, dipendesse da noi, preferiremmo. Tuttavia, Tatar Sarari è marocchino, è possibile non beva alcolici perché mussulmano, oppure astemio, oppure soltanto perché la birra non gli piace e preferisce bere altro. Allora facciamo che abbia davanti un bicchierone di aranciata gelata.
La spalliera della sedia sulla quale si trova sfiora la parete esterna del locale, lui guarda la strada (a Pergusa i locali si trovano lungo la statale 561, che attraversa l’abitato). Accanto a sè ha un bastone, appoggiato al muro.
Passa un cane, un “meticcio randagio di grossa taglia”. In realtà questa descrizione ci dice poco. Diciamo allora che si tratta di un grosso cane, pelosissimo, alto una settantina di centimetri al garrese. Avrà sei o sette anni. E’ fulvo, con una stella bianca sulla fronte, il pelo arruffato, grandi orecchie pendule, lo sguardo da povero diavolo. Qualcuno gli ha mozzato la coda, anni fa. Per divertimento. Lui ci ha sofferto un po’ perché la coda gli serviva per mangiare. La dimenava, festosa, davanti agli avventori dei locali che affacciano sulla SS561, e quelli s’intenerivano e gli allungavano un boccone.

Nessun commento:

Posta un commento