Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

sabato 1 agosto 2009

Due poesie di Gualberto Alvino

Prima della cosa

Per «Anterem», il cui scampo

è un poco anche il nostro

guarda che succede

fra la terza e la quinta

hanno come dei marchi non so dei graffiti dai colori

arsi li avranno fatti con le unghie

fra la testa e il collo

che pieghe carnose

rosse vien voglia di morderle pare

d’averle in bocca è impossibile

non vorrei dirlo ma si abbracciano

guarda

intrecciano le dita come se tra loro corresse chissà quale

certi si baciano succhiano non lo dànno a vedere

l’elementarità animalesca l’incedere

goffamente ardito il prorompere

canino degli ossi il pullulare dei liquami vanno

tornano sempre più insistenti

si slaccia la cravatta fingono persino

d’essere stracchi pur potendo incollarsi interi quarti

ci scommetterei tutta la mia

chi non conosce la loro forza uno

si porta piano la palma alla bocca mostra

la doppia fila l’avorio scintilla un diamantino come vedi basta

un niente perché tutto s’ingrani nella giusta chiarezza è come

il lampeggiare un mobile gioco di luci

d’ombre la volontà di far accadere una cosa a dispetto di

non dà luogo ad alcuna certezza

guarda

flettono i gomiti

al vertice tra i distributori e il fanale

il pupazzo appeso al balcone un basto di doni

si grattano le ciglia mettono le mani a conca col gesto che

da piccoli ricordi? ti sei cacciato in un bel guaio

credevi d’uscirne illeso di poter facilmente doppiare

la cima invece ci sei dentro con tutte le

guarda

non vorrei dirlo ho perfino paura di

svelto

scendi nel retro c’è una porticina verde dai cardini

non è più quella d’un tempo

la sala dei costumi ha un odore forte ci abbiamo passato intere

stagioni là dentro col conte calvo dal lobo mozzato a la manière de

un attore di farse dalle mille voci l’inseparabile

pastrano ci scavava gli ombelichi con la punta

del mignolo dopo averci colato dentro un po’ di saliva

anche d’estate

chissà da quanto non ci pensi lo vedo da come ti si secca

la lingua che parlano è graziosa mi allarma il loro oscillare

ostentando un certo quale

ci vorrebbe un byte nel cervello per non

digrignare le sinapsi sono state recise

credo ormai da parecchio

che succede?

ci stanno dicendo qualcosa

specie quello alto con la spilla di rame sul dorso la lingua triforcuta

un ronzio cela il viso nel bavero dando per scontato a quanto pare

che abbiamo già benché sappiano fin troppo bene

non vorrei dirlo ma è come se ci vedessero una parla

frasi sospese sintagmi

quasi ernie

dischi di fuoco

sembra un ladro in chiesa con quel suo modo di curvare

le spalle l’issarsi sulle punte cammina sull’acqua

un testo corrotto è pur sempre un testo supponiamo ad esempio

lo sguardo lampeggia

che l’unico superstite sia stato

questo non comporta nessuna modificazione

si tira un dito lo schiocco

se per sbaglio ha scritto una parola mentre intendeva scriverne un’altra

i sensi dell’opera non sono affatto inesauribili

c’è infatti sempre un punto in cui l’universo deve per forza

riportare in nota le lezioni divergenti in linea di pura

astrazione più o meno esplicitamente

quale chi somniando vede

tutta una parte e la più calda

di gran lunga più affidabile

non capisco perché dovrei usare vocaboli miei per

trastullarli non capisco proprio

ce ne sono già pronti e quanti basta insufflarli

specie dove ogni distinzione viene meno

ma è sufficiente qui l’aver compreso

sorrise parolette

suntuosi edifizî

soccorre l’esempio del piede piagato ovvero

la vessata questione del cignale supino

il problema di cosa significhi volontà

se un testo viva davvero di vita propria

suscettibili di più interpretazioni

imho

non certo infinite



Pepe


già nel primo terzo del suo corso

a ben vedere

mentre dormiva col nonno sul giaciglio di sponze

nell’umidore crocchianti a ogni girata

sembrava parlasse nel sonno

vomito rutti accessi di fol’amor invece contava

le pere raccolte dalle figlie di terzo letto le tramutava in talenti

non sapeva nemmeno il suo nome

tre mogli e nessuna regina

pedicabo et inrumabo

l’ultima morta cadendo per colpa d’un filologo sbronzo

in quella taverna sfondata

con mezzo quintale in testa e un feto di pochi giorni

sarebbe stata mia madre il suo cavallo Barone

correva al primo fischio

il figlio sembrava più vecchio di lui lo chiamava tatillo

toccandosi il petto col mento al suo passare salutava

in istilo umilissimo e rimesso

rabdomando con l’asta di ciliegio tralatizia

puoi camminare senza?

quel modo finisecolare quasi villano

un pane rinfarciato due birre roventi

fissi sul tavolo venerdì mercato c’era quasi sempre

il sole le ragazze con gli orologi scintillanti dei fratelli

i nipoti guidavano tutti i camion

secondo 4 sa di boschereccio di funghi troppo maturi

9 dice che al centro dell’aia c’è una botola

coperta da un pezzo di bótte schiacciato sotto cui

si spalanca tutto un mondo prova ne sia che

il leppo i muri sbrecciati

la zia belga tornava solo per bagnarsi nel fiume

e portarsene l’odore per gli amici minatori si tuffava

tre volte da un tronco poi sbatteva le camicie

sui sassi le appastava dimenando

i fianchi per suo marito simbionte appostato

sulla centrale i baffi grifagni Charleroi

vibravano a ogni boccata

il sassofono sul mignolo schiere di bimbi

imparaci la musica

pesci dalle buche sporgevano i capini a tempo di

fumava senza filtro tossendo con pudore poi

ripartiva spargendo sorrisi la macchia d’umidità sul soffitto

fu il primo quadro che vide

com’è destino d’ogni precursore

proprio così

ve ne ritrovo invero tutti gli elementi

dal primo all’ultimo

sembra incredibile ma un etimo non si cerca si trova

dal cerchio al centro

dal centro al cerchio

conferendogli una sua propria tonalità

svolte al difuori d’analisi di stile

libero completamente scevro da

interferenze perburbatrici

con la foga d’un enigmista

sbrogliando il bandolo dell’arruffata matassa

tutto un viluppo d’immagini ciascuna con un suo

aroma quelle dei sogni non sono più accese

si organizzano in gruppi spesso in conflitto tra loro

e pensare che non possono fare a meno

l’uno dell’altro del resto si sa

i deboli cercano i deboli

forti non ve ne sono tuttavia le corazze

parrebbero d’ottima lega

ma non bisogna credere che l’ermeneutica

sia deformazione è un controsenso

dato che l’opera non è forma ma tensione

si dice l’interpretazione è tanto più autentica quanto

più evita di consegnarsi alla distorsione

chiede perché l’opera deva diventare parte

del nostro presente

non saprei ma sia chiaro fin d’ora

che lo sconfinato amore per la lingua

rivendico il diritto d’affermare

in piena scienza e coscienza

è il primo movimento di un percorso

florebat olim

a raggiera

in mille direzioni

che ne sarà del ciliegio?



Da «L’Immaginazione», giugno 2009, 247 pp. 6-7.


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