di Mauro Mirci
Il testo che segue è già apparso su Vibrissebollettino.net nel gennaio 2007. Il tema era “come si leggono i libri”. ma.mi.
Come si leggono i libri. Come vuoi che si leggano i libri? Apri l’oggetto e ci guardi dentro sperando di capire quello che c’è scritto. Personalmente non sono mai venuto meno a questo metodo di lettura e mi sono sempre trovato bene.
Risposta troppo secca, capisco. Vediamo.
Fino a una certa età mi è toccato leggere lontano dagli occhi dei parenti (escludo mio padre, lettore avido anche lui ma, ahimè, sempre fuori casa). C’era questa credenza, in casa mia, che la lettura facesse male alla vista. Per questo motivo leggere veniva considerato un sacrificio, un immolare il bene preziosissimo della vista sull’altare della conoscenza. Quindi l’unica lettura ammessa e commendevole era considerata quella dei testi scolastici.
La mia povera nonna, buonanima, sacrificò ben tre figlie alle scienze e alle lettere, diplomandole maestre di scuola elementare (no, due di scuola elementare, una d’asilo), con grave turbamento d’animo per aver permesso che gli occhi delle sue beneamate fossero messi, così a lungo, in costante pericolo di forte miopia o, addirittura, cecità. Altre due figlie non vollero invece aver nulla a che fare coi libri e i loro antisalutari effetti. Lavorarono come operaie, sarte, casalinghe, cuoche, mamme e quant’altro. Si adattarono alla vita producendosi in tutte quelle attività che, ove non venissero svolte, impedirebbero a noi inerti lettori di romanzi di campare serenamente e con qualche confort.
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