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MILANO PER INGRID BETANCOURT
La Presidenza del Consiglio comunale, l’Assessorato alla Cultura e l’Assessorato alla Famiglia, Scuola e Politiche sociali del Comune di Milano promuovono alcune iniziative di sensibilizzazione per Ingrid Betancourt, in occasione della mobilitazione internazionale di sabato 8 marzo, centenario della Festa della donna.
Alle ore 13.30 sarà dispiegata sulla facciata di Palazzo Marino una gigantografia con la foto di Ingrid Betancourt e l’appello “Ingrid Betancourt libera”.
A seguire, nel cortile di Palazzo Marino, l’attrice milanese Carla Chiarelli leggerà brani dal libro appena edito da Garzanti Lettera dall’inferno a mia madre e ai miei figli di Ingrid Betancourt.
Alle ore 21.00, presso il Teatro degli Arcimboldi, in occasione dell’ultima serata del “Ciclo Beethoven” che vedrà l’esecuzione della Nona Sinfonia da parte dell’Orchestra Symphonica Toscanini diretta dal maestro Lorin Maazel, il Presidente del Consiglio comunale Manfredi Palmeri, l’assessore alla Cultura Vittorio Sgarbi e l’assessore alla Famiglia, Scuola e Politiche Sociali Mariolina Moioli offriranno alle donne presenti tra il pubblico in sala una copia del volume Lettera dall’inferno a mia madre e ai miei figli di Ingrid Betancourt. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con Garzanti Libri.
Milano inoltre invita tutte le attrici italiane in scena sabato 8 marzo affinché, prima di ogni spettacolo, leggano brani tratti dal libro Lettera dall’inferno a mia madre e ai miei figli.
Per altre info, http://www.ateatro.it/forum/index.php?topic=633.msg877#msg877Il teatro italiano per Ingrid Betancourt
Nell’ambito della mobilitazione internazionale per Ingrid Betancourt, facciamo una proposta al teatro italiano. Chiediamo che, prima dell’inizio di ogni spettacolo, un’attrice legga al pubblico un breve brano della Lettera dall’inferno. In questo modo speriamo di diffondere le informazioni sulla sua situazione e invitiamo a impegnarsi nella campagna a suo favore.
Qui di seguito il testo che proponiamo di leggere, almeno parzialmente, consultabile sul sito del Comune di Milano area news – www.comune.milano.it.Da Lettera dall’inferno a mia madre e ai miei figli
di Ingrid Betancourt (Garzanti Libri)Giungla colombiana
mercoledì 24 ottobre
ore 8 e 34
in un mattino piovoso, come la mia anima
Mia piccola mamma cara e adorata,
ogni giorno mi alzo e ringrazio Dio perché ho te. Ogni giorno apro gli occhi alle 4 e mi preparo, in modo da essere ben sveglia quando ascolterò i messaggi della trasmissione La carrilera de las 5. Ascoltare la tua voce, sentire il tuo amore, la tua tenerezza, la tua fiducia, il tuo impegno per non lasciarmi sola, ecco la mia speranza quotidiana. Ogni giorno chiedo a Dio di benedirti, di proteggerti e di consentirmi in futuro di restituirti tutto questo, di trattarti come una regina, accanto a me, perché non sopporto l’idea di trovarmi di nuovo lontana da te.
Qui la giungla è molto fitta, i raggi del sole vi penetrano a fatica. Ma è soprattutto un deserto di affetti, di solidarietà, di tenerezza, ed è per questo che la tua voce è il cordone ombelicale che mi lega alla vita. Sogno di abbracciarti così forte da rimanere incrostata a te. Sogno di poterti dire: «Mamma, mamita, non piangerai mai più per me, né in questa vita e neppure nell’altra». Ho chiesto a Dio che mi consenta un giorno di provarti tutto quello che tu significhi per me, di poterti proteggere e di non lasciarti mai più sola, nemmeno un secondo. Nei miei progetti di vita, se un giorno ritroverò la Libertà, mamita, voglio che tu pensi di vivere con noi, o con me. Mai più messaggi, mai più telefonate, mai più distanza, nemmeno un metro ci deve separare, perché io so che tutti quanti possono vivere senza di me, ma non tu. Mi nutro ogni giorno della speranza che staremo insieme, e vedremo che Dio ci mostrerà la strada e ci organizzeremo. Ma la prima cosa che ti voglio dire è che senza di te non sarei riuscita a resistere fino a ora. (…)
Mamita, sono stanca, stanca di soffrire. Sono stata, ho cercato di essere forte. Questi sei (quasi) anni di prigionia mi hanno dimostrato che sono meno coraggiosa, intelligente e forte di quel che pensavo. Ho combattuto molte battaglie, ho cercato di scappare più di una volta, ho cercato di conservare la speranza così come si tiene la testa sopra il pelo dell’acqua. Ma oggi, mamita, mi sento sconfitta. Vorrei pensare che un giorno uscirò di qui, ma mi rendo conto che quello che è successo ai deputati, e che mi ha fatto molto soffrire, può capitare anche a me, in qualunque momento. Credo che sarebbe un sollievo per tutti. (…)
Mamita, per me è un momento molto duro. All’improvviso, vogliono delle prove della mia esistenza e così ti scrivo, la mia anima sospesa su questo foglio. Fisicamente, sto male. Non mangio più, mi manca l’appetito, perdo molti capelli. Non ho voglia di niente. Credo che l’unica cosa positiva sia questa: non aver voglia di niente. Perché qui, in questa giungla, l’unica risposta è: «No». Allora è meglio non desiderare nulla, per restare almeno libera dai desideri. Sono tre anni che chiedo un dizionario enciclopedico per avere qualcosa da leggere, per imparare qualcosa, per mantenere viva la curiosità intellettuale. Continuo a sperare che me ne procurino uno, magari solo per compassione, ma è meglio non pensarci. Qui, qualunque cosa è un miracolo. (…)
Qui la vita non è vita, è solo un lugubre spreco di tempo. Vivo o sopravvivo, su un’amaca tesa tra due pali, ricoperta da una zanzariera e da una tenda che fa da tetto e mi lascia pensare che ho una casa. Ho una tavoletta su cui metto le mie cose, cioè il mio zaino con i miei abiti e la Bibbia, che è il mio unico lusso. È tutto pronto, così possiamo partire di corsa. Qui niente è di qualcuno, niente dura, l’unica costante sono l’incertezza e la precarietà. In qualunque momento, possono dare l’ordine di fare i bagagli, e ciascuno di noi deve dormire in fondo a qualunque buco, sdraiandosi ovunque, come gli animali. Per me sono momenti particolarmente difficili. Le mie mani diventano madide, il mio spirito si annebbia, finisco per fare qualunque cosa due volte più lenta del solito. Le marce sono un calvario, perché il mio equipaggiamento è molto pesante e riesco a portarlo a malapena. A volte i guerrilleros si prendono alcune delle mie cose per alleggerire il peso, ma mi lasciano «il vasellame», cioè quello che ci serve per lavarci e che pesa di più. È tutto così stressante, perdo le mie cose o me le confiscano, come i jeans che Mélanie mi aveva regalo per Natale, quelli che avevo addosso quando mi hanno presa. Non li ho più visti. L’unica cosa che sono riuscita a salvare è la giacca, ed è stata una benedizione, perché le notti sono gelide e non avevo nient’altro per proteggermi dal freddo. Prima, mi piaceva moltissimo fare il bagno nel fiume. Siccome sono l’unica donna del gruppo, ci devo andare quasi tutta vestita: calzoncini, camicia, stivali! Come le nostre nonne di una volta. Prima mi piaceva nuotare nel fiume, ma adesso non ho nemmeno più il fiato per farlo. Sono fiacca, freddolosa, sembro un gatto davanti all’acqua. Io che amavo l’acqua così tanto, non mi riconosco più. Durante la giornata avevo l’abitudine di fare un paio d’ore di ginnastica, a volte tre. Avevo inventato un attrezzo, una specie di banchetto fatto con dei rami, che avevo battezzato «step», pensando agli esercizi della palestra: l’idea era di salire e scendere, come se fosse stato uno scalino. Aveva un pregio, non occupava molto spazio. Perché a volte i campi sono così piccoli che prigionieri si trovano in pratica gli uni sugli altri. Ma da quando hanno diviso i gruppi, non ho né la voglia né l’energia di fare niente. Faccio qualche stiramento, perché lo stress mi blocca il collo, che mi fa molto male. Con gli stiramenti, lo split e tutto il resto, a volte riesco a rilassare un po’ il collo. Ecco tutte le mie attività, mamita. Faccio di tutto per restare silenziosa, parlo il meno possibile per evitare problemi. La presenza di una donna in un gruppo di uomini che sono prigionieri da otto o dieci anni è un problema. Ascolto rfi e la bbc, scrivo molto poco perché i quaderni si accumulano e trasportarli è un’autentica tortura: ho dovuto bruciarne almeno quattro. Inoltre, quando ci sono le ispezioni, ci prendono le cose a cui teniamo di più. Una tua lettera, che era riuscita a raggiungermi, mi è stata sequestrata dopo l’ultima prova di esistenza in vita, nel 2003. I disegni di Anastasia e di Stanis, le foto di Méla e Loli, lo scapolare di papà, un programma di governo in 190 punti che avevo annotato nel corso degli anni: mi hanno preso tutto. Ogni giorno mi resta un po’ meno di me stessa.