Quanto poco la pace sia un sentimento o meglio un’aspirazione universale, ce lo dimostrano le innumerevoli morti che ogni giorno affollano i media e i social network. Alle guerre reali si sovrappongono quelle dei commenti, feroci e divisi, che si leggono su Facebook o su Twitter, o le orribili conte delle vittime per servire lo stato di vittima piuttosto che di aggressore. Una catena lunga e infernale, aberrante. Palestinesi, israeliani, siriani, libici, irakeni, americani, ucraini, russi, coreani, etc, etc. La ridda di ragioni per uccidersi assaltando o uccidere per non essere assaltati è infinita e senza soluzione. Quel che più colpisce è lo scandalo ipocrita che provoca tra noi, quel sentirsi minacciati e dover abbracciare sempre una spiegazione perché si debba sempre e soltanto adoperare la violenza. E chi difende l’uno contro l’altro, la adopera, se pure non con le armi, ma sono pure armi terribili quelle dell’espressione brutale, per scagliarsi contro qualcuno o qualcosa. La rissa faziosa ha sempre la meglio, avvince gli animi, arma le tastiere e innesca le bombe. Senza fine, né soluzione. Ognuno con la sua idea parziale di pace, armata, pavimentata con i cadaveri degli altri.
E questo, a guardar bene, pensando e rileggendo la Storia, è sempre lo stesso meccanismo che l’umanità adopera e conduce, purtroppo, naturalmente.
La natura dell’uomo, è questa. Brandire il bianco della ragione, colpire con il nero della furia, sgorgare il rosso della vita, fino a che non sia distrutta.
Allora mi viene da pensare a Walter Benjamin che si uccide poco prima che arrivino i nazisti, ma lui morì e i nazisti non arrivarono più. Che sfortuna, si pensa, avesse avuto più fiducia, più speranza. Ma forse lui, come l’Angelus di cui scrisse, aveva visto, questo orribile serpente che morde la sua stessa coda, che si uccide continuamente, che è l’umanità, la sua storia, il suo eterno presente, la sua illusione di futuro, dunque sapeva che dal male non poteva fuggire.
Dalla brutalità manifesta e ideologica del secolo breve, con le sue guerre mondiali che resettavano il sistema, siamo passati a quelle manichee e settoriali, mirate e chirurgiche, sparse dappertutto, ognuno contro qualcuno o qualcosa. La pace è diventata la maschera della violenza. Siamo ancora quelli della pietra e della fionda, ci sfoghiamo con le playstation, per drenare l’aggressività o massacriamo qualcuno sulla nostra bacheca di facebook, siamo pronti a manifestare per la pace, ma soltanto la nostra, piccole paci a scapito di altre. Ognuno con la rabbia di voler prevalere, perché è nel giusto, per il suo dio plagiato, per la propria ottusa visione dell’umanità.
Da che mondo è mondo perché si fanno le guerre? Per assicurarsi la pace. È raro che si faccia una guerra per arrivare alla guerra. Se per assicurarsi la pace occorre fare la guerra, non sarebbe meglio rinunziare alla pace? Almeno non si farebbero le guerre. No! Perché se non si fanno le guerre che servono ad evitare le guerre, vengono le guerre.
Da Quasimodo a Campanile il passo non è bizzarro, è breve, ma è un passo verso un abisso doloroso e spietato. Infinitamente stupido.
©francescorandazzo
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