Contra Jogulatores Obloquentes
Legge emessa da Federico II (1221, Messina) che permetteva di infliggere violenza ai giullari senza incorrere in alcuna pena o sanzione
Le tavole che vi sto mostrando sono state disegnate e dipinte da me.
A voi sono state distribuite delle immagini leggermente ridotte rispetto a queste.
Ecco, io sono abituato da tanto tempo a realizzare dei discorsi con le immagini, invece di scriverli li disegno. Questo mi permette di andare a soggetto, di improvvisare, di esercitare la mia fantasia e di costringere voi ad usare la vostra.
Mentre io leggerò questi testi, ogni tanto vi mostrerò dove siamo, così non perderete il filo, e questo servirà soprattutto a coloro che non conoscono né l’italiano né lo svedese; gli inglesi avranno un vantaggio straordinario perché si immagineranno cose che io non ho detto né pensato. C’è il problema delle due risate: quelli che capiscono l’italiano rideranno subito, quelli che debbono aspettare per ridere la traduzione in svedese di Anna (Anna Barsotti, la traduttrice, n.d.t.) e gli altri che non sanno se ridere alla prima battuta o alla seconda. Ad ogni modo cominciamo.
Signore e Signori: il titolo di questa mia chiaccherata è “contra jogulatores obloquentes” e avete capito tutti che si tratta di latino, latino medievale. Questo è il frontespizio di una legge che è stata promulgata nel 1221 in Sicilia dall’Imperatore Federico II di Svevia, un “Unto del Signore” che a scuola ci presentano come un imperatore illuminato straordinario, liberale. Ora voi, da quello che segue, giudicherete se questo prossimo a Dio fosse veramente liberale. “Jogulatores obloquentes” significa “giullari che diffamano e insultano”. La legge in questione permetteva a tutti i cittadini di insultare i giullari, di bastonarli e, se si era un po’ nervosi, anche di ammazzarli senza rischiare alcun processo con relativa condanna. Vi avverto subito che questa legge è decaduta e quindi posso continuare, tranquillo.
Signore e Signori …
Alcuni amici miei, letterati, artisti famosi, intervistati da giornali e televisioni, hanno dichiarato: “I1 premio più alto va dato senz’altro quest’anno ai Membri dell’Accademia svedese che hanno avuto il coraggio di assegnare il Nobel a un giullare!” Eh sì, il Vostro è stato davvero un atto di coraggio che rasenta la provocazione.
Basta vedere il putiferio che ha causato: poeti e pensatori sublimi che normalmente volano alto … e poco si degnano di quelli che campano rasoterra … si sono trovati all’istante travolti da una specie di tromba d’aria.
Ebbene, io applaudo e sono d’accordo con loro.
Stavano già beati nel Parnaso degli eletti e Voi, con questa Vostra insolenza, li avete abbattuti e precipitati giù a sbattere musi e pance nel fango della normalità.
Si son levati urla e improperi tremendi, rivolti all’Accademia di Svezia, ai suoi Membri e ai loro parenti prossimi e lontani fino alla settima generazione.
I più scatenati hanno gridato: ”Abbasso il Re … di Norvegia!”.
Nel trambusto si sono sbagliati di dinastia.
A questo punto potete voltare pagina … vedete che c’è l’immagine di un poeta nudo travolto da un turbine di vento.
Qualcuno ha battuto anche la parte bassa: ci sono stati dei poeti e scrittori che hanno avuto crisi di nervi e di fegato spaventose.
In quei giorni in Italia, nelle farmacie, non si trovavano più calmanti.
Ma bisogna ammetterlo, diciamo la verità, cari Membri dell’Accademia, stavolta avete esagerato: andiamo, avete cominciato una diecina d’anni fa col premiare un nero … un Nobel di colore. Poi avete dato il Nobel a un ebreo … adesso addirittura a un giullare!! Ma che, – come dicono i napoletani -pazziamme?
Anche nel clero alto ci sono stati momenti di pazzia … proprio i grandi elettori del Papa: vescovi, cardinali, prelati dell’Opus Dei sono andati in escandescenze. Tant’è che costoro hanno richiesto che venga ripristinata la legge che permette di bruciare i giullari sul rogo: una cosa delicata, a fuoco lento.
Per contrasto devo dirVi che però ci sono state masse straordinarie di persone che hanno gioito con me in modo incredibile per questa Vostra scelta.
E io Vi porto il più festoso dei ringraziamenti da parte di una caterva di guitti, di giullari, di clown, di saltimbanchi, di contastorie.
Siamo arrivati qua (mostra una tavola).
E a proposito di contastorie non posso dimenticare i fabulatori del mio paese sul Lago Maggiore, dove sono nato e cresciuto e dove c’è una grande tradizione di fabulatori; loro, i vecchi fabulatori, maestri soffiatori di vetro, che hanno insegnato a me e ad altri ragazzi il mestiere, l’arte, di raccontare assurde favole, che noi ascoltavamo commentandole con sghignazzi e silenzi improvvisi a strozzagola per la tragica allegoria che di colpo sormontava ogni sarcasmo. Ancora mi ricordo la favola della Rocca di Caldé.”Tanti anni fa … – raccontava il maestro soffiatore -sul dorso scosceso di quel cocuzzolo che si erge dal lago … lassù, stava arroccato un paese di nome Caldé, che giorno dopo giorno franava tutt’in blocco giù verso il fondo del dirupo. Era uno splendido paese con il campanile, con le torri arroccate proprio in cima, con tutte le case una dietro l’altra. E’ un paese che esisteva e adesso non c’è più: nel 1400 è sparito. ‘Ehi … – gli gridavano i contadini e i pescatori di fondovalle – attenti, state franando … sloggiate di lassù!’. Ma i roccaroli non ascoltavano, anzi ridevano, scherzavano, sfottevano:’Furbi voi, cercate di terrorizzarci per convincerci a scappare, andare via lasciando le case, i nostri terreni per poi fregarveli voi. Non ci caschiamo.’E così continuavano a potare le viti, seminare i campi, sposarsi, fare all’amore. Andavano a messa. Sentivano slittare la roccia sotto le fondamenta delle case … ma non se ne curavano più di tanto: ‘Normali mosse d’assestamento …’ si rassicuravano.
La grande scheggia di roccia stava affondando nel lago. ‘Attenti, avete i piedi nell’acqua!’, gridavano dalla costa.’Macché, è l’acqua di scolo delle fontane, è soltanto un po’ più umido’; e così, piano piano ma inesorabilmente, il paese intiero s’affonda nel lago.
Glu … glu … pluf … affondano … case, uomini, donne, due cavalli, tre asini … iaa … glu … I1 prete continuava imperterrito a confessare una suora: ‘Te absolvi … animus … santi … gluu … Aame … Glu …’. Scompare la torre, va sotto il campanile con le campane: don … din … dop …plok …’
“Ancora oggi – raccontava il vecchio soffiatore di vetro – se ci si affaccia dallo spuntone di roccia rimasto a picco in quel punto del lago … se in quell’istante scoppia un temporale, i lampi riescono ad illuminare il fondo dell’acqua e, incredibile, là sotto si scorge il paese affondato con le case e le strade ancora intatte e, come in un presepe vivente, si scoprono loro, gli abitanti della vecchia Rocca, che si muovono ancora … e imperterriti ripetono: ‘Non è successo niente’. I pesci passano loro davanti agli occhi di quà e di là … fin nelle orecchie … ‘Niente paura! … è solo un tipo di pesce che ha imparato a nuotare nell’aria’, commentano. ‘Eccì!’.’Salute!’.’Grazie … fa un po’ umido oggi … fa più umido di ieri … ma va tutto bene!’ Sono sprofondati … ma per loro non è successo assolutamente nulla.”
Non si può negare che una favola del genere sia ancora oggi di sconvolgente attualità.
Ripeto, devo molto a quei miei maestri soffiatori di vetro e anche loro, Vi assicuro, oggi sono immensamente grati a Voi, Signori Membri dell’Accademia, per aver premiato un loro allievo.
E in modo follemente esplosivo Ve lo manifestano. Infatti al mio paese giurano che la notte in cui si è saputo del Nobel a un loro concittadino fabulatore, si è sentito un tremendo botto! Dal grande forno della vetreria spenta da cinquant’anni, è esplosa una bordata di lava infuocata e una miriade di schegge di vetro fuso colorato s’è proiettata altissima in aria come in un finale di fuochi d’artificio … ed è ricaduta rovente nel lago, sparando gran vapore.
Mentre voi applaudite bevo un po’ d’acqua; (rivolgendosi all’interprete) ne vuoi anche tu? Importante è che mentre beviamo voi parliate tra di voi perché se tentate di sentire il glu glu glu che fa l’acqua che scende ci va tutto di traverso e cominciamo a tossire. Allora parlate: “o che bella serata che è questa”.
Secondo tempo: pagina nove. Ma adesso sarò veloce, non preoccupatevi.
Sopra tutti, questa sera a Voi si leva il grazie solenne e fragoroso di uno straordinario teatrante della mia terra, poco conosciuto non soltanto da voi e in Francia, Norvegia, Finlandia … ma poco noto anche in Italia. Ma che è senz’altro il più grande autore di teatro che l’Europa abbia avuto nel Rinascimento prima ancora dell’avvento di Shakespeare.
Sto parlando di Ruzzante Beolco, il mio più grande maestro insieme a Molière: entrambi attori-autori, entrambi sbeffeggiati dai sommi letterati del loro tempo. Disprezzati soprattutto perché portavano in scena il quotidiano, la gioia disperazione della gente comune, l’ipocrisia e la spocchia dei potenti, la costante ingiustizia. E soprattutto avevano un difetto tremendo: raccontavano queste cose facendo ridere. I1 riso non piace al potere. Ruzzante poi, vero padre dei comici dell’Arte, si costruì una lingua, un lessico del tutto teatrale, composto di idiomi diversi; dialetti della Padania, espressioni latine, spagnole, perfino tedesche, miste a suoni onomatopeici completamente inventati. Da lui, dal Beolco Ruzzante ho imparato a liberarmi della scrittura letteraria convenzionale e ad esprimermi con parole da masticare, con suoni inconsueti, ritmiche e respiri diversi, fino agli sproloqui folli del grammelot.
A lui, al Ruzzante, permettetemi di dedicare una parte del riconoscimento prestigioso che Voi mi offrite.
Qualche giorno fa, un giovane attore di grande talento mi ha detto: “Maestro, tu devi cercare di proiettare la tua energia, il tuo entusiasmo ai giovani. Questa carica che tu hai devi darla a loro. Ai giovani devi dare la conoscenza e la sapienza del tuo mestiere”. Io e Franca (mia moglie) ci siamo guardati e abbiamo detto: “Ha ragione”. Ma quando noi insegneremo un mestiere, daremo una carica effervescente di fantasia, poi a che cosa servirà, dove verrà portata questa fantasia, questa vitalità, questo entusiasmo, questo mestiere?
A che scopo e verso cosa far proiettare vitalità e entusiasmo?
Negli ultimi mesi mi è capitato con Franca di girare per parecchie Università tenendo stages e organizzando conferenze davanti a platee di giovani. La cosa che più ci ha colpiti e quasi sconvolti, è stato scoprire la loro ignoranza rispetto al tempo in cui stiamo vivendo. Raccontavamo loro del processo che si sta svolgendo in Turchia contro gli esecutori della strage di Sivas. In Anatolia trentasette intellettuali democratici fra i più prestigiosi del paese, riuniti per ricordare un famoso giullare del Medioevo ottomano, venivano bruciati vivi, intrappolati dento un Hotel, in piena notte. Ad appiccare il fuoco era stata una banda di fanatici integralisti ben protetta da elementi di governo. In una notte, trentasette fra i più importanti artisti, scrittori, registi, attori e attrici, famose danzatrici del rito curdo, sono stati all’istante cancellati dalla terra. In un sol colpo quei fanatici avevano distrutto, si può dire, gli uomini più importanti della cultura di quel paese.
Ascoltavano questo nostro racconto migliaia di studenti, che ci guardavano attoniti, increduli. Non sapevano nulla di quel massacro. La cosa che mi ha impressionato è che anche i professori presenti a questo mio discorso non ne sapevano niente. Eppure la Turchia è lì, nel Mediterraneo, quasi di fronte a noi, insiste per essere ammessa nella Comunità Economica Europea … ma loro del massacro nulla sapevano. Giustamente Salvini, un grande democratico del nostro Paese, diceva: “L’ignoranza diffusa dei fatti è il maggior supporto all’ingiustizia.” Ma questa assenza distratta dei giovani viene da chi li educa e li dovrebbe informare, e costoro sono invece i primi assenti e disinformati, parlo dei maestri e dei responsabili della scuola. I giovani, in gran parte, soccombono al bombardamento di banalità e oscenità gratuite che ogni giorno i mass-media propinano loro: telefilms truculenti dove in dieci minuti avvengono tre stupri, due assassinii … un pestaggio e uno scontro di dieci auto su un ponte che crolla e tutti, macchine, autisti e passeggeri, precipitano nel mare … solo uno si salva, però non sa nuotare e annega fra le risate dei curiosi accorsi in massa.
In un’altra Università abbiamo denunciato il progetto, ormai in via di realizzazione, della manipolazione genetica … cioè di brevettare organismi viventi, proposto dal Parlamento Europeo … abbiamo sentito un gran gelo salire dalla platea. Io e Franca spiegavamo come i nostri eurocrati, stimolati dalle strapotenti e onnipresenti multinazionali, stanno preparando un piano degno di un film di fantascienza-trucida dal titolo “I1 fratello porco di Frankenstein”. Vogliono cioè approvare una direttiva che (attenti alla trovata) autorizzi le industrie a brevettare esseri viventi, o loro parti, create con quella tecnica da apprendista stregone che è la manipolazione genetica.
Le cose andrebbero così: uno scienziato riesce, andando a mettere le mani nel corredo genetico di un maiale, a renderlo più simile all’uomo, col risultato, stravolgente, che grazie a questo arrangiamento sarà più facile staccargli il fegato, o un rene … a scelta, per trapiantarlo in un uomo. Ma per essere più sicuri che gli organi trapiantati attecchiscano, bisognerà inserire nell’uomo delle particelle del maiale che ne condizionino e modifichino la struttura; avremo così, finalmente, un uomo-maiale (voi direte che ne abbiamo già tanti) o un maiale-uomo … e ogni parte di questo nuovo essere si potrà brevettare, imporgli il copyright; e chi vorrà un pezzo di questo porco umanizzato dovrà pagare i diritti d’autore all’industria che lo avrà “inventato”. Malattie conseguenti, deformazioni mostruose, morbi trasmettibili in massa … tutti sono optional inclusi nel prezzo.
Il Papa è rimasto indignato da questa operazione, da questa mostruosità genetica da bassa stregoneria, e l’ha chiamata un obbrobrio contro l’umanità, contro la dignità dell’uomo, l’ha insultata ricordando che la morale in questo caso è spenta ed è ridotta a livello sotto-animale.
La cosa incredibile è che nello stesso tempo c’è un americano, uno stregone straordinario, voi l’avete letto sul giornale sicuramente: è quello che taglia la testa a un babbuino e poi mozza la testa a un altro babbuino, prende la prima testa e la seconda testa e le scambia. I1 babbuino rimane un po’ male. In verità rimangono sempre paralizzati, tanto l’uno che l’altro, poi muoiono ma l’esperimento è riuscito che è una meraviglia. La cosa incredibile è che questo personaggio che si chiama White, professor White, sembra proprio Frankenstein. Questo White è membro dell’Accademia delle Scienze del Vaticano. Bisognerebbe avvertire il Papa.
Ecco, noi raccontavamo queste farse criminali ai ragazzi, agli studenti e loro ridevano come dei matti: dicevano di me e di Franca: “Ma come sono simpatici, si inventano delle storie incredibili”; non avevano assolutamente, neanche per 1’anticamera del cervello, 1’idea che quello che raccontavamo fosse vero. Allora sempre di più siamo convinti, come incitava Savinio, un grande poeta italiano: “raccontate, uomini, la vostra storia”. Il nostro dovere di intellettuali, di gente che monta in cattedra o sul palcoscenico, che parla soprattutto con i giovani è quello non soltanto di insegnare come si muovono le braccia, come si respira per recitare, come si usa lo stomaco, la voce, il falsetto, il contraccampo. Non basta insegnare uno stile: bisogna informarli di quello che succede intorno. Loro devono raccontare la loro storia. Un teatro, una letteratura, una espressione d’arte che non parli del proprio tempo è inesistente.
Io sono andato ultimamente a un grande congresso con tantissima gente e cercavo di spiegare a loro e soprattutto ai giovani un processo che si è svolto in Italia, un processo che si è sviluppato in sette processi; alla fine di questi processi, tre politici di sinistra sono stati condannati a 21 anni di carcere, accusati di aver trucidato un commissario di polizia. Io ho studiato le carte del processo come avevo fatto con “Morte accidentale di un anarchico”. Ebbene, raccontavo i fatti di questo processo assurdo, addirittura farsesco nel modo in cui è stato condotto, e a un certo punto ho capito che parlavo nel vuoto perché la gente non era al corrente degli antefatti, non conosceva cosa era successo cinque anni prima, dieci anni prima: le violenze, il terrorismo, niente sapeva, non sapeva delle stragi di stato avvenute in Italia, né dei treni che sono saltati in aria, né delle bombe nelle piazze, né dei processi che sono stati portati avanti come farse. I1 guaio terribile è che per raccontare la storia di oggi devo cominciare a raccontare la storia da trent’anni fa a venire avanti, non mi basta raccontare di adesso; e state attenti, questo succede dappertutto, in tutta l’Europa. Io ho provato in Spagna ed era lo stesso discorso, ho provato in Francia, ho provato in Germania, devo ancora provare qui da voi in Svezia, ma verrò a provare.
E per finire permettete che io dedichi una buona metà della medaglia che mi offrite, a Franca.
Franca Rame, la mia compagna di vita e d’arte che Voi, Membri dell’Accademia, ricordate nella motivazione del premio come attrice e autrice, che con me ha scritto più di un testo del nostro teatro.
Franca proprio in questo momento sta recitando in Italia ma dopodomani sarà qui: arriva a mezzogiorno, se volete venire andiamo tutti insieme a prenderla all’aeroporto. Franca è molto spiritosa, ve lo assicuro. A dei giornalisti che le chiedevano: “Ma scusi, lei come si sente adesso ad essere la moglie di un Nobel? Con un monumento in casa?” rispondeva: “Non sono preoccupata, non mi sento a disagio perché mi sono sempre allenata. Tutte le mattine faccio flessioni: mi piego in due appoggiando le mani a terra, così mi sono abituata a diventare piedestallo al monumento. Ci riesco benissimo.” Vi avevo detto che è molto spiritosa … e a volte addirittura autolesionista nella sua ironia. Ma davvero senza di lei per una vita al mio fianco personalmente non ce l’avrei mai fatta a meritare questo premio. Insieme abbiamo montato e recitato migliaia di spettacoli in teatri, fabbriche occupate, Università in lotta … perfino in chiese sconsacrate, in carceri, in piazza col sole e la pioggia, sempre insieme. Abbiamo sopportato vessazioni, cariche della polizia, insulti dei benpensanti e le violenze. E soprattutto è lei, Franca, che ha subito la più atroce delle aggressioni. Lei, più di tutti, sulla sua pelle, ha pagato per la solidarietà che davamo agli umili e ai battuti.v
Il giorno in cui mi è stato designato il Nobel mi trovavo davanti al Teatro in via di Porta Romana, a Milano, dove Franca stava recitando, con Giorgio Albertazzi, “Il diavolo con le zinne.” All’istante è arrivata una turba di fotoreporter, cronisti, operatori con le loro telecamere. Un tram che transitava in quel momento s’è fermato, il conduttore s’è sporto a salutarmi, sono scesi tutti i passeggeri, mi applaudivano, mi volevano stringere la mano per felicitarsi … ma poi si sono bloccati e tutti in coro hanno gridato: “E Franca dov’è?” e hanno chiamato a gran voce “Francaaa!” e lei dopo un po’ è apparsa … frastornata … commossa alle lacrime, ed è venuta ad abbracciarmi.
All’improvviso, come dal nulla, è apparsa una banda musicale di soli fiati con tamburi, erano tutti ragazzi, che accorrevano da punti diversi della città, musici che suonavano insieme per la prima volta, hanno intonato “Porta Romana bella, Porta Romana” a ritmo di samba. Non ho mai sentito stonare a quel modo ma era la più bella musica che Franca e io avessimo mai ascoltato.
Credetemi, questo premio l’avete proprio dato a tutti e due.
Grazie.
Dario Fo
Discorso per il Premio Nobel, 1997.