D.M.
Lodato Tu sia,
mio Signore,
per
quell’impareggiabile creatura
che mi fu madre
e adesso, nel più alto
dei cieli,
inesorabile, Ti canta
nei secoli dei
secoli le lodi
dei suoi figli,
ma Tu (che non per niente
sei l’Altissimo Onnipotente
e Buon Signore)
con indulgenza
nascondi un sorriso
sotto i peli
bianchissimi della Tua
fittissima barba
(molti
miliardi di
volte più lunga della via
lattea) e la
lasci fare, perché tale
decisamente
esagerato amore
per alcuni dei
meno interessanti
esemplari della
Tua produzione
non può che
farti piacere (e intanto osservi
divertito mio
padre, sprizzante
beatitudine
eterna da tutti
i pori della
pelle della sua
anima immortale,
il petto gonfio
d’orgoglio e di
tenerezza mentre posa
con delicatezza la
mano sulla spalla
del più tondo
adorabile imperfetto
petulante dei
Tuoi capolavori,
ben determinato
a non mollare
la presa per
omnia saecula
saeculorum amen)
DUE SONETTI
I
Bello
il periodo che di verso in verso
Talvolta
scorre piano come un grande
Fiume
maestoso che a lungo attraversa
La
pianura deserta della pagina
Bianca
per annullarsi nel profondo
Oceano
del silenzio ed accarezza
I
concetti con soave lentezza,
Come
la mano lieve d’un amante
Paziente
esplora con delicatezza
Tutte
le curve d’una donna amata,
Scivolando
leggera, senza meta
E
senza fretta lungo un’ondulante
Schiena,
sopra le natiche, sul busto
E
in ultimo s’arresta, al punto giusto.
II
Come
un deserto è la pagina bianca.
L’attraversa
una lunga carovana
Di
parole. Dove c’è un punto, stanca,
Su
riposa un momento. In fila indiana
Si
rimette in cammino, percorrendo
La
pista d’un periodo. Lentamente
Avanza
ancora un poco. Dividendo
Verso
da verso inverte bruscamente
La
direzione e valica con passo
Rapido
il ponte d’una congiunzione.
Qualche
parola inciampa sopre il sasso
—
A tratti — d’un segno d’interpunzione.
Come
un deserto è la pagina bianca.
Passa
una lunga carovana, stanca.
Messaggi da
Elsinore
I
Sospendiamo
La discussione:
non è tempo
Di chiacchere e
d’indugi
E ipotonici umori:
a un gravoso dovere richiama
La voce paterna
in catalisi d’aspri rimorsi.
Ora non più
s’infiammano le notti in lontananze di mattini a venire
(Galletto
impettito beffardo solleva la cresta,
stagioni di
gelida pioggia e di vasti cortili.
Giardini deserti,
fanali
Protesi nel buio
in parametri d’anse stellari).
E penetrando
nella tana del serpente non intendo
Turbare la
bestia sconfitta e la lascio morire
II
Amleto esibisce
i suoi crucci: l’orecchio raccoglie
Il sottile
veleno del rimorso.
La florida
germoglia
Progenie
vegetale
Della liquida
tomba d’Ofelia.
Tu dalle mille
morti, sorella d’ombra,
Che molte storie
enumeri nel grembo,
d’Amleto l’anima
insoddisfatta
Né assolvi né
condanna se, al finale,
Rimane un padre
morto da vendicare
E una madre che
implora perdono,
Ma del tuo seme
nutri, generosa.
La morte,
malcelato consigliere, muta osserva.
III
Dei mali miei
peggior cocente doglio.
IV
Se ben comprendo
La vostra vana
verità, mie cupe
Cogitazioni,
traggo
Le conclusioni
estreme del pensiero inaspettato
Per me del
vostro inconsistente esistere,
Sorelle d’ombra,
Se non quali
visioni vegetali, foglie fiori
E feconde
radici, o voi matrici
Dei miei fasti
mentali,
Che d’arcani
pianeti costellate
Lo spazio sacro
dei sogni,
Che di gaia
certezza celebrate
L’atteso tutto,
Che di scarsa
chiarezza…
Che di me stesso
testimonianza pura, al finale,
Dell’esatto
esecrabile gesto
Compiuto.
Danza macabra
Morte, fra tutti
il più banale dei
Misteri, non per
questo meno sei
Terrificante,
eppure non del tutto
Priva di stile
quando, sopra il lutto,
Con tale garbo
una rosa appassita
Esibisci
all’occhiello che ogni vita
Parata in abito
di gala aspetta
Con pazienza il
suo turno e poi si getta
Fra le tue
braccia per l’ultimo giro
Di valzer;
infine, con un sospiro
Languido adagia
con delicatezza
(quando
l’orchestra tace, per l’ebbrezza)
Sulla tua spalla
accogliente la testa
Stanca e
stordita (e abbandona la festa).
La mia ragazza
aveva gli occhi verdi
La
mia ragazza aveva gli occhi verdi
Come
l’amore, amari come il mare,
Il
suo silenzio mi mordeva il cuore.
La
sua pelle era candida e le sue
Rotondità
flessuose come un’onda,
E
aveva gli occhi verdi come il mare,
Insidiosi
ed inquieti come il mare.
E
il mio cuore che ancora sanguinava
Cantava
forte come un ubriaco
Quando
oscillava piano sui miei fianchi
Languida
e levigata come un’onda.
Insidiosa
e possente come un’onda
Mi
cullava gentile nei suoi fianchi
E
con un bacio mi mordeva il cuore.