Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

mercoledì 12 novembre 2014

Fulvio Pauselli



D.M.
Lodato Tu sia, mio Signore,
per quell’impareggiabile creatura
che mi fu madre e adesso, nel più alto
dei cieli, inesorabile, Ti canta
nei secoli dei secoli le lodi
dei suoi figli, ma Tu (che non per niente
sei l’Altissimo Onnipotente e Buon Signore)
con indulgenza nascondi un sorriso
sotto i peli bianchissimi della Tua
fittissima barba (molti
miliardi di volte più lunga della via
lattea) e la lasci fare, perché tale
decisamente esagerato amore
per alcuni dei meno interessanti
esemplari della Tua produzione
non può che farti piacere (e intanto osservi
divertito mio padre, sprizzante
beatitudine eterna da tutti
i pori della pelle della sua
anima immortale, il petto gonfio
d’orgoglio e di tenerezza mentre posa
con delicatezza la mano sulla spalla
del più tondo adorabile imperfetto
petulante dei Tuoi capolavori,
ben determinato a non mollare
la presa per omnia saecula
saeculorum amen)


DUE SONETTI

I
Bello il periodo che di verso in verso
Talvolta scorre piano come un grande
Fiume maestoso che a lungo attraversa
La pianura deserta della pagina
Bianca per annullarsi nel profondo
Oceano del silenzio ed accarezza
I concetti con soave lentezza,
Come la mano lieve d’un amante
Paziente esplora con delicatezza
Tutte le curve d’una donna amata,
Scivolando leggera, senza meta
E senza fretta lungo un’ondulante
Schiena, sopra le natiche, sul busto
E in ultimo s’arresta, al punto giusto.


II
Come un deserto è la pagina bianca.
L’attraversa una lunga carovana
Di parole. Dove c’è un punto, stanca,
Su riposa un momento. In fila indiana

Si rimette in cammino, percorrendo
La pista d’un periodo. Lentamente
Avanza ancora un poco. Dividendo
Verso da verso inverte bruscamente

La direzione e valica con passo
Rapido il ponte d’una congiunzione.
Qualche parola inciampa sopre il sasso
— A tratti — d’un segno d’interpunzione.

Come un deserto è la pagina bianca.
Passa una lunga carovana, stanca.


Messaggi da Elsinore

I
Sospendiamo
La discussione: non è tempo
Di chiacchere e d’indugi

E ipotonici umori: a un gravoso dovere richiama
La voce paterna in catalisi d’aspri rimorsi.

Ora non più s’infiammano le notti in lontananze di mattini a venire

(Galletto impettito beffardo solleva la cresta,
stagioni di gelida pioggia e di vasti cortili.
Giardini deserti, fanali
Protesi nel buio in parametri d’anse stellari).

E penetrando nella tana del serpente non intendo
Turbare la bestia sconfitta e la lascio morire


II
Amleto esibisce i suoi crucci: l’orecchio raccoglie
Il sottile veleno del rimorso.

La florida germoglia
Progenie vegetale
Della liquida tomba d’Ofelia.

Tu dalle mille morti, sorella d’ombra,
Che molte storie enumeri nel grembo,
d’Amleto l’anima insoddisfatta
Né assolvi né condanna se, al finale,
Rimane un padre morto da vendicare
E una madre che implora perdono,
Ma del tuo seme nutri, generosa.

La morte, malcelato consigliere, muta osserva.


III
Dei mali miei peggior cocente doglio.


IV
Se ben comprendo
La vostra vana verità, mie cupe
Cogitazioni, traggo
Le conclusioni estreme del pensiero inaspettato
Per me del vostro inconsistente esistere,
Sorelle d’ombra,
Se non quali visioni vegetali, foglie fiori
E feconde radici, o voi matrici
Dei miei fasti mentali,
Che d’arcani pianeti costellate
Lo spazio sacro dei sogni,
Che di gaia certezza celebrate
L’atteso tutto,
Che di scarsa chiarezza…

Che di me stesso testimonianza pura, al finale,
Dell’esatto esecrabile gesto
Compiuto.


Danza macabra

Morte, fra tutti il più banale dei
Misteri, non per questo meno sei
Terrificante, eppure non del tutto
Priva di stile quando, sopra il lutto,
Con tale garbo una rosa appassita
Esibisci all’occhiello che ogni vita
Parata in abito di gala aspetta
Con pazienza il suo turno e poi si getta
Fra le tue braccia per l’ultimo giro
Di valzer; infine, con un sospiro
Languido adagia con delicatezza
(quando l’orchestra tace, per l’ebbrezza)
Sulla tua spalla accogliente la testa
Stanca e stordita (e abbandona la festa).


La mia ragazza aveva gli occhi verdi

La mia ragazza aveva gli occhi verdi
Come l’amore, amari come il mare,
Il suo silenzio mi mordeva il cuore.

La sua pelle era candida e le sue
Rotondità flessuose come un’onda,
E aveva gli occhi verdi come il mare,
Insidiosi ed inquieti come il mare.

E il mio cuore che ancora sanguinava
Cantava forte come un ubriaco
Quando oscillava piano sui miei fianchi
Languida e levigata come un’onda.

Insidiosa e possente come un’onda
Mi cullava gentile nei suoi fianchi
E con un bacio mi mordeva il cuore.

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