La rete è un sistema ad altissimo decentramento dove il baricentro è un fatto momentaneo. Se il web fosse una città, non ci sarebbe la piazza centrale con il duomo.
Comprendere come qualcosa possa mantenersi in equilibrio senza un centro di gravità comporta uno sforzo per scrollarsi di dosso molte abitudini, è necessario immaginare un sistema formato da indipendenze interdipendenti, una specie di ossimoro delle relazioni. Siamo portati a visualizzare le relazioni organizzate in categorie ordinate secondo criteri verticistici o centripeti, e non è facile cambiare schema.
Navigare il web rende percepibile la mancanza di quei criteri, non vi sono punti di origine, di equilibrio o di fine, vi sono infinite piazze ed infinite cattedrali, ognuna centrale rispetto a qualcosa e a qualcuno.
Dalle mie parti, in Veneto (ma non solo), il territorio è punteggiato da un’urbanizzazione diffusa, sparpagliata e distribuita orizzontalmente tanto che le periferie di comuni confinanti sono praticamente scomparse lasciando spazio ad un continuo centro. La si chiama in molti modi, metropoli diffusa, metropoli del Passante (quello di Mestre) e via dicendo, di fatto è un continuum di municipalità che potrebbero benissimo essere riassunte in una unica. Naturalmente senza un centro-baricentro, senza un duomo predominante.
Isotropia è il concetto che applicato allo sviluppo urbanistico permetterebbe un fortissimo decentramento, tale per cui ogni residenza sarebbe più o meno alla medesima distanza da una fermata dei mezzi pubblici, da una piazza, da una farmacia e dagli altri servizi primari.
Naturalmente questa diversa configurazione non diminuirebbe l’entropia, il caos interno-esterno, della metropoli, seguirebbe invece più da vicino la necessità del soggetto di essere centro, non più quella di “andare in centro”.
Centro e periferia sono concetti superati e con essi le tensioni, i fatti di incontro-scontro tra realtà diverse. Permangono invece differenze in una proiezione economica e di status, di censo:
Babilonia 21
Città degli dei
decidi le sorti
convulse di cittadinanze
fluttuanti in terreferme
mobili tettoniche
a placche subsidenti
garage sotterranei
attici dominanti skyline
strati farciti di censi
diversi –credi- meglio
nascere upper.
Il melting-pot, un tempo collegato al centro delle grandi metropoli, ora si è spostato nelle periferie dove finalmente abbiamo imparato a riconoscere i laboratori delle forme di convivenza del futuro, un futuro che ci è già addosso nonostante il dilatarsi del presente. Oggi l’ombelico del mondo ci segue via cavo o parabola cosicché “fare parte del gruppo” diventa l’ennesima scelta nelle mani dell’individuo, l’ulteriore particella del proprio spazio-tempo riconquistata ad una socialità invadente, pressante anche per un banale indice troppo elevato di abitanti per chilometro quadrato (anche se nella metropoli verticale dovrebbe calcolarsi il chilometro cubo).
L’irrompere della ex-periferia nell’ex-centro ha disciolto anche quella sensazione di libera prigionia tipica dell’abitante metropolitano che ha (ri)scoperto ormai l’esistenza dell’altro da sé, in una sorta di fuga rizomatica del fuori porta, e la metropoli non può più pretendere di totalizzare in sé ogni valore. La proiezione del divino si riveste di pagano e contempla la natura, la villetta con giardino, il rustico in campagna quando possibile, declassando il grattacielo a malsana dimora per chi non ha scelta.
L’irrompere dell’ex-centro nella ex-periferia si porta appresso un fiume di “intellettualità” che sta radicalmente modificando le piccole realtà (i comuni) generando una cittadinanza diversa con aspettative e richieste differenti in tema di cultura e servizi, una cittadinanza che chiede di riaprire teatri e cinema, che diventando platea numerosa attrae gli artisti, che spesso ormai siede nelle Giunte e determina in prima persona le scelte delle Amministrazioni.
Diluizione del centro è anche rarefazione delle marginalizzazioni, costrizione a inglobare e risolvere il disagio per impossibilità di riporlo al confine, al di fuori di un perimetro d’attenzione, esattamente quello che oggi non accade agli angoli più periferici delle metropoli. Abbiamo intuito che la centralizzazione –in ogni campo- è figlia di un’epoca in cui il castello del Signore si imponeva sul territorio, ne diveniva il cuore pulsante e la fonte irradiante, tempi in cui rappresentatività e rappresentazione erano fenomeni piramidali e l’estetica del potere si fondava sul nucleo ristretto.
Dobbiamo probabilmente archiviare l’icona del poeta-cittadino metropolitano e sostituirla con quella del poeta che fa poesia a casa sua, ovunque essa si trovi.
La nuova Babilonia è orizzontale, senza dubbio.
Lorenzo Pezzato
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