«L’atto di
scrivere esige una perfetta innocenza», dice Vladimir Jankélévic. Poi, forse
per sottolineare la debolezza della parola di fronte all’imprendibilità del
reale, aggiunge: «Non bisognerebbe che le parole stesse si trasformassero in
stelle cadenti?» Non so se la scrittura di Gaetano Testa sia composta di stelle
cadenti, ma è sicuramente innocente.
Lo è perché ignora il principio di non contraddizione o qualsivoglia principio
di sistematicità. Lo è perché innocentemente si contraddice, si mostra
fedifraga e nel contempo sincera, scivola dalla descrizione ad altissima
definizione a improvvisi sussulti in cui senso e non senso si interfacciano con
sorprendente naturalezza. Lo è perché
risulta del tutto inaddomesticabile e indefinibile: «do
col naso gli occhi i polpacci un nome panciuto alle cose».
Gaetano Testa
(Mistretta 1935), protagonista negli anni Sessanta dell’ala palermitana del
Gruppo 63, radicalmente anarchico al punto da rinunciare per scelta di vita a
ogni mira carrieristica, si è da molti anni auto-confinato in un suo
privatissimo spazio di “resistenza esistenziale” dal quale però continua a
mostrare i denti e a rappresentare un’importante presenza-assenza nella scena
culturale non solo palermitana. Insieme ad un gruppo di autori che lo
riconoscono come essenziale punto di riferimento, negli anni ha dato vita a un
vivacissimo laboratorio di sperimentazioni aperte, ha creato due riviste
(“Fasis”, “Per Approssimazione”) e una casa editrice (“Perap”), ha prodotto
opere di arte visiva ed ha pubblicato diversi volumi: da un romanzo che
curiosamente ha un titolo non alfabetico ma numerico, “5” (Feltrinelli, 1968),
sino a quest’ultimo, “Al balcone sognando” (Perap, 2020). Ed è talmente
anarchica e aperta la sua scrittura, che talvolta confluisce nella scrittura di
un altro, in particolare in quella di Francesco Gambaro, insieme al quale Testa
ha pubblicato diversi libri (“Borno”, “Jallo”, “Quartini”…). Fra Testa e
Gambaro (che purtroppo è deceduto nel 2019) vi è stata infatti una intensa
frequentazione, e questi libri “a quattro mani” dove la scrittura dell’uno non
è distinguibile da quella dell’altro, ne sono un esito quasi naturale; ma fra i
due si era creata una sintonia ancora più forte, tanto che solo grazie ad essa
e all’azione “aggregante” di Gambaro, è stato possibile dar vita a una
straordinaria esperienza di creatività collettiva che ha coinvolto negli anni
non solo personaggi come Edoardo Sanguineti, Paolo Volponi, Mario Lunetta,
Fulvio Abbate, ma soprattutto autori in gran parte estranei alla
letteratura ufficiale, personalità diverse, ma accomunate dall’interesse verso la pratica
dell’avanguardia intesa come libera e radicale sperimentazione espressiva. Fra
questi, citando alla rinfusa: Giuseppe Zimmardi, Nino Vetri, Carola Susani, Pippo Rizzo, Costantino Chillura, Gaetano Altopiano, Antonio
Patti, Mimmo Gerratana, Antonio Pane, Nicola Di Maio, Sergio Toscano, Giancarlo Mirone, Giuseppe Tutone (e fra gli altri – inutile negarlo – anche il sottoscritto). Per non
parlare di artisti come Toti Garraffa, fotografi come Letizia Battaglia, uomini
di teatro come Nino Gennaro, giornalisti come Guido Valdini, musicisti come
Salvatore Sciarrino, musicologi come Aurelio Pes...
Testa non si
è posto però come capo carismatico, tanto meno come ideologo, si è limitato a
rappresentare niente più che se stesso innescando negli altri un istintivo
meccanismo di mimesi. Questo nuovo libro, insieme al corpus delle altre
pubblicazioni edite, non è che una minima parte dell’immensa matassa di
scrittura che Testa produce quotidianamente quasi in sintonia con la sua
respirazione polmonare; un’unica spiazzante matassa di dimensioni “atlantiche”,
come ebbe a definirla Francesco Gambaro , aggiungendo che in Testa
«l’inconclusione è cercata come bisogno primario, non tanto di spiazzare il
lettore ma di spiazzarsi».
L’
”inconclusione”, appunto:
«ma lei non
ha ancora finito (pausa) mi sbaglio?"
"non si sbaglia però (pausa) forse lei non dovrà dimenticare che è
molto probabile che io non sappia mai quando ho finito (pausa) anche nel senso
che posso avere già finito"
"spero
che esista un momento in cui le è chiaro se ha finito o no"
"non
sempre (pausa) ma questo non è un vero problema"».
Testa è insomma un
sismografo che registra ininterrottamente i moti di un corpo e di un cervello,
(«ho nel
corpo e mi si va sviluppando un orientamento senza sì e senza no che dà un
senso a tutto quello che vado facendo e che somiglia a un nonsenso») ma anche di uno spazio geografico osservato con occhio
da entomologo, gusto e disgusto, complicità e distacco, crudo realismo e guizzi
visionari:
«la sicilia è un'isola che in pochissimo tempo è diventata una provincia
dei sargassi basta allontanarsi un metro e già comincia a profumare di rinoceronti
bianchi».
Non che i
suoi libri, nel loro essere inconclusi e ramificati, siano intercambiabili, ma
certo è difficile riassumerne il contenuto in quanto sono parte di una rete
intricatissima di connessioni, ripetizioni, rotazioni a spirale. Sono insomma
frammenti di un corpus che in teoria non si potrebbe segmentare in una
struttura limitata (come per sua natura sarebbe quella di un volume). In questo
libro pertanto si narra una minima sezione dell’atlante, la scorribanda
sfilacciata di un gruppo di amici per le vie di una Palermo mutevole e immobile
che potrebbe non essere Palermo ma qualsiasi altro luogo del cosmo, se non
fosse che qualsiasi luogo del cosmo nelle pagine di Testa somiglia a Palermo. I
personaggi si spostano quasi a caso da un punto all’altro dello spazio, con «i coglioni gonfi di nullaggine» e passo da flâneur, si incontrano, si scontrano, si annoiano, fumano, bevono, telefonano, si
annusano (anzi, si “annasano”), maneggiano oggetti, stanno comodamente seduti
al balcone (“sognando”); pulsano insomma assecondando i ritmi del battito
cardiaco e del paesaggio urbano. Alcuni sono riconoscibili: ciccio
(Francesco Gambaro), costantino (Costantino
Chillura), guidoval (Guido Valdini).
E quest’ultimo peraltro è l’interlocutore diretto del penultimo libro del nostro
autore, “Dialoghi con guidoval” (Il Palindromo, 2017), ulteriore testimonianza
di come la scrittura nelle pagine di Testa possa sdoppiarsi in forma dialogica,
ma nello stesso tempo fondersi in una linea continua fatta di progressivi
spiazzamenti che mandano in frantumi l’idea del dialogo di ascendenza
filosofica e richiamano piuttosto un’altra
forma di dialogo, quella che rinuncia alla costruttività ed è governata da un
moto centrifugo, dalla libido del gironzolare intorno alle parole per il puro
piacere di farlo, come Pollock gironzolava attorno alle sue tele godendosi il
piacere di lasciare che il colore vi gocciolasse liberamente.
«”Dialoghi con guidoval” – diceva
appunto Francesco Gambaro nel suo intervento alla presentazione del libro a
Palermo – sembra muoversi nella logica binaria del dialogo, ma il binario è
compulsivamente deviato, sembra una cartina geografica che traccia strade
intrecciate a colori, le traccia e poi le straccia, con la sfacciataggine del
bambino discolo, impermeabile a ogni rimprovero».
Così come, del resto, compulsive
deviazioni segnano anche “Dal balcone sognando” dove ritornano a spaglio
spezzoni di dialogo con il detto guidoval
ma qui mixate a un sistema ramificato di s/variazioni a girandola:
«non sono ancora riuscito a pensare più di quanto solitamente mi pare di
avere sempre pensato e ancora non so se penso molto o poco e se quello che
certe volte individuo come pensiero sia pensiero o no»
«in conclusione so che è difficile individuare cos'è che scompare e cos'è
che rimane anzi so che scomparire e rimanere sono soltanto il perché del saltare».
Alfonso Lentini
Gaetano Testa
“Al balcone sognando”
Perap, Palermo 2020
Nessun commento:
Posta un commento