Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

domenica 25 giugno 2017

Là comincia il Messico di Gualberto Alvino


Di Franca Vittoria Verardi

Un’autentica descente en abîme di dantesca memoria, in riferimento all’esperienza dello sdoppiato protagonista: percorso che si prospetta come antitetico a quello del nostro Alighieri, giacché, per quest’ultimo, l’iter si delinea come cammino di catarsi, che trova il proprio compimento nell’ineffabile visione del mistero Trinitario.
Mi auguro non appaia incongruo il fatto che io reputi una sorta di palingenesi (orrenda fin che si voglia, ovviamente) anche quella cui perviene il protagonista di Là comincia il Messico, il filologo dotato di scrupolosa acribìa, lo studioso ammirato e riverito, «sepolcro imbiancato» che cela, nel proprio intimo, un gravame di memorie, corpi di ricordi che esalano sensi di colpa, come miasmi di decomposizione sempre presenti al pensiero (quasi olfattiva, oltre che uditiva, l’ossessione). Non per nulla il capitolo finale del romanzo (ma rientra, il libro, nelle linee canoniche di tale genere letterario?) reca il titolo Resurrexit. Appunto. Approdo atroce, disumanante: eppure, è qui che si compie il salto che porta il protagonista a quel Messico sempre anelato con timore, paura, a quel territorio cui una storia di vita lo destinava, fin dalle primeve esperienze. Egli ha sempre agognato di oltrepassare quel confine, sciogliendosi definitivamente dal vincolo del perbenismo, dell’ipocrita finzione, liberando il proprio radicato impulso di prevaricazione e morte. Il protagonista, dico: ma, al contempo, deuteragonista, dal momento che, nelle pagine, si delineano due actores: l’uno, l’ascoltatore, muto; l’altro, la voce che, ossessivamente, senza conceder tregua, al pari del ronzio di un acufène, incita, elenca, accusa, suggerisce: talora insinuante e subdola, talaltra ironica e sprezzante, nonché mite e conciliante, per altri versi ancora. A mio avviso, uno dei tanti meriti del romanzo è proprio quello di aver mirabilmente delineato un protagonista in cui scorgo riflessi problematiche, angosce, senso del nulla, inanità, vuoto di autentici valori di riferimento, sia immanenti che trascendenti. Sabbie mobili nel cui gorgo affonda l’uomo contemporaneo. E la lingua che narra tale angosciante avventura umana, tale scavo nel “sottosuolo” di un essere? Sfarzosa, cólta, ricercata, squadernata in smagliante, variegata rete di significati: un caleidoscopio lessicale aperto a 360°. Assolutamente chapeau! Testo da ammirare, sostenere, diffondere e da consigliare caldamente a chiunque desideri respirare a pieni polmoni boccate d’aria vivificanti, lungi dall’inquinato ed inquinante clima in cui versa il panorama letterario nazionale.

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