Un libro a volte può
mentire, il suo titolo può essere frutto di strategie attrattive, ma
non del tutto sincere. Il mercato o il trend del momento a volte
costringono a piegare il senso di un libro verso qualche possibile
target di lettura e quindi di vendita. Non è sbagliato di per sé,
anzi, se favorisce la vendita e la diffusione del libro quando è un
buon libro, ben venga. Infine il lettore accorto, pur sgamando la
bugiola da copertina, sarà contento d'averlo letto. Come è successo
a me leggendo “I delitti della primavera”, sottotitolo “Un
serial killer nella Firenze del Rinascimento”, di Stella Stollo,
edito dalla giovane ma centratissima casa editrice Graphoofeel.
Nell'era dei thrilleroni, americani e italici, il titolo è una
studiata trappola. E ci si casca. Fortunatamente, però. Il giallo e
l'intrigo ci sono, intendiamoci, ma invece di spedirci dritto dritto
alla compulsività d'azione del genere, ogni tanto, spesso anzi, la
scrittura, il plot, si fermano e si comincia a navigare “in un
vasel, presi da incantamento”, per parafrasare Dante. Ci si
sofferma a ragionare sul mondo, sull'arte, sulla poesia, sulla
bellezza, sulla cultura, la tolleranza, il pregiudizio, attraverso i
ragionamenti di Sandro Botticelli, Filippino Lippi, Leonardo Da Vinci
e molti altri begli spiriti dell'epoca in cui si svolge la vicenda. E
se pur dapprima, queste “frenate” al plot, spiazzano e sembrano
divagare rispetto alla classica mozione d'ordine del lettore di
genere, cioè: “Chi è l'assassino?”, andando avanti nella
lettura, ci si perde e si viene affascinati da quel mondo, da quei
begli spiriti che lo abitano, dai loro ragionamenti e desideri, dalle
idee superbe e rischiose, dalle utopie e dai grandiosi piani. Così,
infine, ci si scorda quasi del genere con il quale siamo stati
adescati e ci si immerge in ben altro e ben di più, vividamente,
profondamente. Scoprire alla fine chi è l'assassino non è più così
importante, seppure la Stollo è molto abile ad imbastire un finale
non finale, che forse lascia presagire altri libri a venire. Quel che
più conta sono loro, Botticelli, Lippi, Da Vinci, Vespucci, i loro
sentimenti, le loro visioni del mondo, la loro straordinaria vivacità
intellettuale, quel loro meraviglioso sfidare il consueto per
l'inconsueto, l'apparenza per la trasfigurazione, il già noto per
ciò che si deve ancora scoprire. La forza del libro è questa. E se
pur con un piccolo inganno, il lettore al termine del libro, è
contento d'essersi imbarcato, con i protagonisti della storia, in un
viaggio extraordinario, senza fine, né finale, nel grande mare
aperto dell'ingegno e della fantasia, della Storia, e dei suoi
segreti e misteriosi risvolti.
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