Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

martedì 14 febbraio 2012

Ansiomnia

Notturno interrogare

il bagliore del soffitto

il faggio delle imposte

il mago nei pensieri

notturno rigirarsi

nel passaggio al domani

uguale a ieri.

giovedì 9 febbraio 2012

Saverio Vasta, Il posto delle cose (recensione di Alfonso Lentini)

Saverio Vasta
Il posto delle cose
(Prefazione di Emilio Isgrò)
Pagg. 52, E. 10.00
Pungitopo, Marina di Patti 2011

Che un celebre artista come Emilio Isgrò, noto per i suoi libri “cancellati” (grazie ai quali si è affermato, fin dagli anni delle neoavanguardie, come uno dei più significativi esponenti della poesia visiva), sia autore del testo introduttivo col quale si apre una raccolta poetica dove invece le parole si stagliano chiare e forti con la nettezza di una rasoiata (Saverio Vasta, Il posto delle cose, Pungitopo, Marina di Patti 2011), può apparire sorprendente.
Al di là della comune origine geografica (essendo tutti e due siciliani, nativi di Barcellona Pozzo di Gotto), un indizio su un più profondo collegamento fra il grande artista che “scrive” servendosi di cancellature e il giovane poeta che si serve normalmente della scrittura, ce lo offre (sia pure di sguincio) lo stesso Isgrò quando dice: «Questa raccolta è un armadio pieno di cassetti vuoti – le pagine bianche da riempire –, ed è proprio lì, in quei cassetti, che Vasta infila gli oggetti più disparati prima di scappare anche lui». Sembra insomma che Isgrò voglia alludere a un’idea di scrittura come gesto materiale (infilare oggetti in un cassetto) e come “azione” attraverso la quale le “cose” vengono occultate, ma anche custodite, ricollocate nel loro naturale spazio fisico, nel contempo negando (cancellando?) tutto ciò che nella scrittura stessa può configurarsi come inessenziale. Ed in effetti, aggiungerei, si ha l’impressione che le parole di Vasta riemergano da invisibili cancellature, dopo un viaggio epifanico nell’universo delle “cose”, quasi facendosi “cose” esse stesse, tanto è rarefatta, precisa, rotonda, essenziale la versificazione, tanto è concentrata, geometrica, lenticolare la costruzione del testo.
A fronte di un mondo che sembra aver smarrito ogni ordine naturale, dove tutto è sovrapponibile e intercambiabile, dove (come si legge nella poesia di apertura della silloge) «il villaggio e la metropoli», «i raccordi anulari e le trazzere» hanno perso identità e sono divenuti indistinguibili, Vasta pone l’esigenza di ricollocare gli oggetti, “cancellandoli” dal flusso indistinto che li priva di significato e prova a riportarli a un’altra valenza. Il “posto delle cose” appare allora come una sorta di ungarettiano “porto sepolto”, una meta che «odora d’attesa» e si configura come ricerca di un’armonia perduta, di quell’«oro dei cercatori» che è sempre «altrove» (e verso cui bisogna saper guardare se si vuole trovare un equilibrio diverso e più autentico).
Questa tensione verso l’altrove, verso un orizzonte diverso, è un filo conduttore che accompagna l’intera raccolta, assumendo via via valenze cangianti. Se in alcune poesie la ricerca di un “posto” rimanda anche al desiderio di penetrare nel profondo delle cose, scoprirne quel mistero, quell’autenticità che la quotidianità tende ad offuscare, in altre questa ricerca assume i caratteri di una denuncia etico-sociale (quando ad esempio si accenna al «sofà / accecante come luce / su facce trasparenti di vernice», probabile allusione al vuoto semantico, alla chiacchiera inconcludente e plastificata dei talk show, o quando più esplicitamente, nelle poesie che concludono la raccolta, si racconta, intrecciata a ricordi autobiografici, della brutale violenza che può segnare un paese del profondo Sud dilaniato dalla criminalità mafiosa).
Vi è un sentore di viaggio in questi versi. Ma di un viaggio che viene messo continuamente in discussione nelle sue più contraddittorie valenze (come in molta scrittura di area siciliana, del resto). Significativo è ad esempio, nella poesia intitolata “Stazione”, il senso di immobilità che si focalizza in una stazione ferroviaria, luogo (o “non luogo”) tipico del transito. È una stupenda riflessione sull’ambiguità del viaggio, che può essere insieme reale o immaginario. Si può partire restando fermi, o rimanere immobili pur viaggiando, sembra volerci dire il poeta. O migrare portando con sé la propria precaria identità (e per questo, come leggiamo in un’altra poesia, si può salire su «un treno di calce e di mattoni / che edifica la casa»).
È in ogni caso, quello di Vasta, un viaggio ad occhi sbarrati attraverso la frammentazione, la discontinuità, la mancanza di senso del nostro mondo, ma anche l’inseguimento di un’autenticità smarrita, fuori dai conformismi e contro l’appiattimento del “pensiero unico” («Vorrei trovare (…) / più voci stonate e meno coro / qualche personaggio senza autore»); e persino, in accenno, l’inseguimento di un sogno (o prospettiva utopistica) di sovvertimento radicale: «…Finché la serva partorirà la sua signora / e agli ultimi vedrete edificare opere grandi».
Tutto questo viene reso attraverso soluzioni espressive di notevole originalità inventiva (si pensi a quella natura morta in miniatura, un delicato disegno a filo di matita, dove risalta “un uovo che zampetta nel tegame…”) e prende forma attraverso procedimenti retorici contenuti, ma studiatissimi. In alcuni testi prevalgono venature neo-espressionistiche di sicuro impatto: «Spalancava gli occhi riversi / la gallina dal bordo del tinello / mentre le esperte mani della nonna / le aprivano il petto…»; «Sbarrai gli occhi. / Il corridoio era un enorme buco nero». In altri si riscontra un andamento quasi prosastico che si avvicina al parlato: «Era sabato sera e al bar dell’angolo / si giocava al Totocalcio…». In tutti, però, la lingua è sottoposta a un rigoroso filtro che la assottiglia e la trasfigura: asciutta, controllata, attenta ai microscopici particolari della quotidianità, priva di ridondanze autobiografiche o sentimentalistiche, ma nello stesso tempo aperta alle contaminazioni, concreta. Anche per questo un naturale riferimento di Vasta sembra essere l’opera di un altro suo grande conterraneo, quel Bartolo Cattafi che come nessun altro ha saputo coniugare la crudezza del parlato con la rarefazione espressiva e la concentrazione dei significati. Ma se di derivazione da Cattafi si potrà parlare (evidente, ad esempio, in testi come “Pésca”, “Giro di giostra”, “L’oliva”…), bisognerà notare altresì che attraverso Cattafi Vasta perviene soprattutto a quello che si può considerare il procedimento più caratterizzante della poesia novecentesca, quella “poetica dell’oggetto” che Cattafi assorbe da Montale e da Eliot: il lasciar parlare le cose, il cercare nelle cose una più ampia valenza significante. Così l’«oro dei cercatori» va rintracciato «nel porto abbandonato della nave / nel fiore appeso al filo della luce», che sono evidenti “correlativi oggettivi” di marca montaliana (e tracce montaliane, del resto, possiamo trovarle anche in espressioni come «…la voce che non c’è, / la nota che non torna»).
Ma, per concludere, ci piace notare (in margine a quanto detto) che l’«oro» (non più cercato, ma forse stavolta trovato?) fa capolino meno montalianamente in un'altra poesia, come attributo puramente descrittivo della pelle di certe “Ragazze”, che hanno «Negli occhi e sulle labbra / la scia di notti e trucco esagerati».

Alfonso Lentini

mercoledì 8 febbraio 2012

Bignami contemporaneo

Non sapere

capire

vivere una data

un luogo

short message service

guardare attorno

brevità main info

il resto noia.

martedì 7 febbraio 2012

Alfonso Lentini
PRENDO IL CIELO



copio il cielo e lo incollo
prendo il cielo e lo accendo
lo riappendo sui tetti
copro i letti col cielo
ne rivelo sostanza

vesto il cielo di nomi
vibro sberle alle stelle
bagno il cielo col vino
con la lingua lo acceco
con le dita lo premo
sono verbo remoto
faccio a pugni col vuoto

sbaglio tutti gli accenti
sporgo i denti e la bocca
fiocca neve sul ghiaccio
faccio a pugni col vento
tento uscite segrete
spingo forte col petto
con le cosce coi pugni
sogni spremo dai denti

il mio nome è scrittura
è frattura nel cranio
sono armadio in attesa
di aspirarti nel buio
sono radio che dice
sono attrice che dorme
voce e orme di lupo
spengo il cielo e lo annuso
spingo forte in avanti

copio il cielo e lo incollo
sono anguilla che ride
spingo il cielo in avanti
disconnetto le dita
vedo il lampo e lo scrivo
vedo il vento e lo detto
faccio a pugni col cielo
sono un angolo retto

scrivo il cielo e lo azzanno
lo rivolto e lo piego
spiego a tutti che è falso
palpo il cielo e lo graffio
soffio forte e lo svelo
lo sollevo dai prati
prendo un lembo poi l’altro
lo rivesto di voci
lo ricalco e lo imprimo
lo riascolto nel vento
tento un volo planato
lo cancello e lo sento

copio il cielo e lo incollo
lo cancello e riscrivo
lo comprimo in un file
premo un tasto e lo invio
prendo il cielo e lo taggo
lo commento lo leggo
condivido l’account
lo rinomino in fretta
lo cancello lo sogno
lo traduco in bisogno

sbaglio tutti gli accenti
sono scheggia di rosso
grosso insetto su un fiore
sono amore illegale
donna ignuda nel bosco

prendo il cielo e lo accendo
il mio nome è rincorsa
scritto sotto il tuo tacco
il mio nome è distanza
è un affresco di Giotto
che galoppa nel tempo

sono ammasso stellare
il mio nome è barbaglio
è bramire è latrare
è graffiare è parlare
il mio nome è squittire
nella notte in cantina
il mio nome è ingoiare
rosicchiare la notte
deglutire la luna
è nessuna sostanza
il mio nome è lacuna

prendo il cielo e lo sfondo
lo distendo sul prato
lo riaggancio alle braccia
lo riannodo ai tuoi fianchi
lo rammendo lo cucio
lo strofino sul seno

spremo dita dal cielo
spremo stelle dal buio
sposto il cielo in avanti
lo raccolgo lo ingoio
lo racconto ai serpenti

prendo il cielo a sassate
lo circondo di ciglia
prendo il cielo e lo lecco
gli carezzo le spalle
rubo il cielo e lo ascolto
lo riassumo in un volto

il mio nome è immigrato
il mio nome è ferita
è gheriglio di noce
sono croce nel vento
sono sabbia e paura
il mio nome è figura
il mio nome è universo

nelle labbra del cielo
cerco spicchi di cielo
trovo tetti e pareti
lo allontano lo piego
piego il cielo e lo brucio
lo ricopro di spine
lo incateno alle vene

sono voce frontale
copio il cielo e lo scrivo
sono in cima alla luce
sono nervo facciale
il mio nome è illegale

il mio nome è illegale
è pedale che slitta
sono donna di strada
spada e luce di labbra
sono morso e sconfitta

sei l’essenza del nuoto
foto mossa e sfocata
grata ornata d’argento
sono accento straniero
nero ordigno nascosto
dentro a un cesto di pane

vedo un cielo nel cielo
che si immilla si inarca
vedo un’arca lucente
sono niente di niente

copro il cielo di sassi
lo cospargo di labbra
lo perforo con spilli
lo nascondo in cantina

sono moto da luogo
rogo giallo di foglie
figlia e moglie del vento
sono madre dell’acqua
della terra sorella
sono amica del fuoco
sento il peso del vuoto

il mio nome è illegale
sono libro interrotto
sono azoto disperso
capoverso dissolto
sono sotto la luna
il mio nome è lacuna
il mio nome è universo

Versi pubblicati in forma di microlibro d’artista autoprodotto in 59 esemplari ( Venezia-Mestre, aprile 2011)

lunedì 6 febbraio 2012

Università di Ginevra - Convegno su Sandro Sinigaglia


Ô TOUTES MES VENISES ENGLOUTIES
S u l l a p o e s i a d i S a n d r o S i n i g a g l i a
17-18 février 2012
Université de Genève – Uni Bastions (salle B 105)


Conférenciers
Gualberto Alvino, Fernando Bandini, Giorgio Bàrberi Squarotti, Carlo Carena,
Franco Contorbia, Franco Esposito, Sveva Frigerio, Pietro Gibellini, Paola Italia,
Francesca Latini, Silvia Longhi, Emilio Manzotti
Organisation: Sveva Frigerio, Francesca Latini et Emilio Manzotti, Université de Genève
Secrétariat et contact: Sveva Frigerio (Sveva.Frigerio@unige.ch)
DÉPARTEMENT DES LANGUES ET DES LITTÉRATURES ROMANES
UNITÉ D’ITALIEN

Venerdì 17 febbraio 2012
09.00 Apertura dei lavori: Francesca Latini – Emilio Manzotti – Sveva Frigerio
09.15-11.00 Presiede: Fernando Bandini
Pietro Gibellini La tradizione di «Bordellesca»
Francesca Latini «Essere un Faldellin poetico»
(da «Il regesto della rosa e altre vanterie»)
Discussione
11.00-11.30 Pausa
11.30-13.30 Presiede: Franco Contorbia
Sveva Frigerio: «La cupola ho veduto»
(da «Il flauto e la bricolla»)
Luciana Alberti: Come è nata Virgiliana
Emilio Manzotti: Lettura di «Virgiliana»
(dai Versi dispersi e nugaci)
Discussione
13.30 Pranzo (buffet)
15.00-16.45 Presiede: Giorgio Bàrberi Squarotti
Gualberto Alvino: Sandro Sinigaglia: tecnica e pathos
Paola Italia: Le parole del poeta
Discussione
16.45-17.15 Pausa
17.15-19.00 Presiede: Silvia Longhi
Carlo Carena Sandro: Sinigaglia e la Resistenza
Franco Contorbia: Tra Sandro e Trabucco
Discussione
19.30 Cena

Sabato 18 febbraio 2012
09.00-10.45 Presiede: Carlo Carena
Franco Esposito: Sinigaglia privato
Giorgio Bàrberi Squarotti: Sandro Sinigaglia. Beffe e amore
Discussione
10.45-11.15 Pausa
11.15-13.00 Presiede: Pietro Gibellini
Silvia Longhi: Autoritratto in nero
Fernando Bandini: Sandro Sinigaglia tra i suoi poeti
Discussione
13.00-13.15 Conclusione dei lavori
13.30 Pranzo

Sandro Sinigaglia (Oleggio Castello 1921-Milano 1990), laureato in estetica a Milano con una tesi sull’opera di Italo Svevo, si occupò di una piccola industria meccanica (fabbricava pezzi di precisione per orologi) e fu poi insegnante al liceo e quindi redattore editoriale (lavorò per i Classici Italiani Ricciardi alle edizioni del Folengo curato da Carlo Cordié e del Pascoli curato da Maurizio Perugi). Ha pubblicato le raccolte poetiche Il flauto e la bricolla (Firenze, Sansoni, «Biblioteca di Paragone», 1954), La Camena gurgandina (Torino, Einaudi, 1979) e Versi dispersi e nugaci (Milano, Scheiwiller, 1990). Le tre raccolte,
insieme ad alcune poesie disperse e ad un’ulteriore silloge inedita ma pressoché definitiva, integralmente di tematica erotica (Il regesto della rosa e altre vanterie) sono poi state raccolte nell’edizione delle Poesie
curata da Paola Italia, con introduzione di Silvia Longhi (Milano, Garzanti, 1997).

I r e l a t o r i
Gualberto Alvino, filologo e critico letterario, ha dedicato particolare attenzione all’opera di Antonio Pizzuto pubblicando, tra l’altro, in edizione critica Giunte e virgole (Fondazione Piazzolla 1996), Spegnere le caldaie (Casta Diva, 1999), Ultime e Penultime (Cronopio 2001), Si riparano bambole (Sellerio 2001; Bompiani 2010), Pagelle (Polistampa 2010) e i carteggi del prosatore siciliano con G. Nencioni, M. e G. Contini. Fra i suoi ultimi lavori ricordiamo la raccolta di saggi Chi ha paura di Antonio Pizzuto? (Polistampa 2000, introduzione di W. Pedullà), gli studi sulla lingua degli autori adunati in Tra linguistica e letteratura. Scritti su D’Arrigo, Consolo, Bufalino (Fondazione Pizzuto 1998) e la curatela dell’ultima silloge poetica di Nanni Balestrini, Sconnessioni (Fermenti 2008). Redattore di «Fermenti» e
«Le reti di Dedalus», collabora con diverse riviste accademiche e militanti. Sulla poesia di Sinigaglia ha pubblicato articoli su «Microprovincia» e «Avanguardia» e il volume Peccati di lingua. Scritti su Sandro Sinigaglia (Fermenti 2009).
Fernando Bandini, poeta in italiano, latino e dialetto vicentino, è autore di varie raccolte: In modo lampante (1962), Per partito preso (1965), Memoria del futuro (1969), La màntide e la città (1979), Il ritorno della cometa (1985), Santi di dicembre (1994), Meridiano di Greenwich (1998), Dietro i cancelli e altrove (2007). Traduttore dal latino e dal provenzale, come saggista si è occupato di Leopardi e del
linguaggio poetico del Novecento (Rebora, Jahier, poeti dialettali). Ha insegnato Filologia romanza e Stilistica e metrica italiana all’Università di Padova, quindi Letteratura moderna e contemporanea all’Università di Ginevra.
Giorgio Barberi Squarotti, ordinario di Letteratura italiana all’Università di Torino dal 1967 al 1999, ha diretto il Grande dizionario della lingua italiana (UTET). L’attività di critico lo vede impegnato sul versante antico (Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Tasso), come su autori otto-novecenteschi
(Manzoni, Pascoli, d’Annunzio, Pavese, Sbarbaro, Montale). Tra i saggi maggiori: Il codice di Babele (1971), Gli inferi e il labirinto: da Pascoli a Montale (1974), Poesia e ideologia borghese (1976), Il romanzo contro la storia (1980), La poesia del Novecento (1985), La forma e la vita: il romanzo del Novecento (1987). È autore di alcune raccolte di versi. Carlo Carena ha insegnato Letteratura latina all’università di Torino e lavorato nella redazione e nella direzione della casa editrice Einaudi. Traduttore e curatore di classici, innumerevoli sono i suoi contributi critici, tra i quali alcuni articoli su Sinigaglia apparsi su «Microprovincia», altre riviste e quotidiani.
Franco Contorbia è ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Genova. I suoi studi vertono su poesia, narrativa, critica e giornalismo tra Otto e Novecento; in particolare si è occupato di Tarchetti, De Amicis, d’Annunzio, Gozzano, Moretti, Palazzeschi, Boine, Croce, Serra,
Gobetti, Debenedetti, Pavese, Montale. A Sinigaglia ha dedicato, per le edizioni della fondazione Achille Marazza, il volume Sinigaglia, Montale e il “sabià” (2001).
Franco Esposito è poeta, scrittore, critico e giornalista (il volume più recente è la raccolta poetica Frontiera di lago, pubblicata da Interlinea nel 2007). I suoi interventi si concentrano su critici e poeti dell’Otto-Novecento, come Rosmini, Rebora, Contini, Bo, Emanuelli, Prezzolini e Sinigaglia. Oltre a essere cofondatore del Premio Stresa di Narrativa, ha fondato nel 1979 la rivista di cultura
«Microprovincia», che ha ospitato in più occasioni articoli su Sandro Sinigaglia (in particolare dedicandogli un numero monografico nel 1999).
Sveva Frigerio è assistente di Linguistica italiana all’Università di Ginevra, dove si è laureata con una tesi sulla poesia di Sinigaglia dal titolo «Cieloverbano». Un florilegio commentato del Sinigaglia lacustre. Nel numero 20 di «Per Leggere» (2011) è comparso un suo studio sulla poesia I gabbiani.
Pietro Gibellini è stato ordinario di Letteratura italiana all’Aquila e a Trieste, e ora a Venezia. Il suoi studi critici sono orientati sull’età moderna (Belli, Porta, la “linea lombarda” da Parini a Gadda, Manzoni, d’Annunzio, la critica delle varianti). A Sinigaglia ha dedicato un saggio su L’Adda ha buona voce. Studi
di letteratura lombarda dal Sette al Novecento (1984), La musa trasgressiva nei versi di Sandro Sinigaglia, «Microprovincia» (n. 37, 1999), Da Rabelais a Virgilio, in Le lunghe fedeltà di Sandro Sinigaglia. Convegno di Studi su Sandro Sinigaglia, Arona 16-17 novembre 2007 (2010). Sua la postafazione a G. Alvino, I peccati di lingua. Studi su Sandro Sinigaglia (2009)
Paola Italia ha studiato a Pavia, Ginevra e Pisa e vive a Firenze. Ha lavorato a lungo in editoria e nella formazione (didattica dell’Italiano scritto) e dal 2005 insegna Letteratura Italiana e Filologia Italiana presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Siena. Si è occupata di letteratura dell’Ottocento (Leopardi,
Manzoni) e del Novecento (Gadda, Bassani, Savinio, Tobino, Manganelli, Sinigaglia), con particolare attenzione ai problemi linguistici e filologici legati alle edizioni scientifiche dei testi; e di filologia d’autore (nel 2010 ha scritto con Giulia Raboni la “Bussola” Che cos'è la filologia d'autore, Roma, Carocci). Sta preparando, insieme a Giorgio Pinotti, una nuova edizione del pamphlet gaddiano Eros e
Priapo basata sul manoscritto originario del 1944
Francesca Latini si è occupata di poesia italiana moderna, in particolare dell’opera pascoliana, curandone i volumi dell’edizione dei classici UTET. Sulla poesia di Sinigaglia ha pubblicato due studi: (Seguendo il volo della giana, nel 2008, e Incontri terreni e celesti di Sandro Sinigaglia. Lettura di «Servetta già impicciata» da «La Camena gurgandina», nel 2009).
Silvia Longhi è ordinario di Letteratura italiana nella Facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università di Verona. Si è occupata in modo costante di letteratura del Rinascimento, con interesse critico e filologico, e con speciale attenzione alla storia dei generi letterari. Un altro suo ambito di ricerca
è quello novecentesco (studi su Pizzuto, Bufalino, Caproni, Giudici, Bandini). Ha dedicato vari contributi a Sinigaglia (saggi su «Autografo» e «Verbanus», l’Introduzione all’edizione Garzanti delle Poesie, e una scelta di testi commentati nell'Antologia della poesia italiana Einaudi).
Emilio Manzotti è ordinario di Linguistica italiana all’Università di Ginevra. Oltre che di linguistica in senso stretto (in particolare di semantica lessicale e frasale e di strutture testuali), si è occupato in un’ottica prevalentemente linguistica e stilistica di testi letterari otto-novecenteschi: Pascoli, Saba,
Rebora, Caproni e C.E. Gadda. Alla poesia di Sinigaglia ha dedicato negli scorsi anni un corso e un seminario.

R i n g r a z i a m e n t i
Istituto Italiano di Cultura, Zurigo
Faculté des Lettres, Université de Genève
Département des langues et des littératures romanes, Université de Genève

giovedì 2 febbraio 2012

In questi giorni d'inverno silenzioso




Mi sveglio come fosse dalla morte
in questi giorni d'inverno silenzioso
Dal fondo oscuro senza sogni
mi sollevo fluttuando ignaro
pesante di secoli smarriti scopro
l'ammanco del presente vano
e provo nostalgia d'esserci ancora
L'anima è un sommergibile di vetro
incagliato nel corpo catramoso
E nei pensieri un freddo vaporoso


Vorrei vedere un dio o un surrogato

Ma in questi giorni d'inverno silenzioso
soltanto a volte ascolto di sfuggita
il frullo d'ali di angeli smarriti 


©francescorandazzo_2012