Già apparse qui su Mirkal.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.
(Peter Høeg)
sabato 31 dicembre 2011
5 poesie
Già apparse qui su Mirkal.
giovedì 22 dicembre 2011
mercoledì 21 dicembre 2011
Quella notte
Nel pugno infantile
canditi uvette
stretto sgusciano tocchetti
a macchiare ricami
rossi scintillare bianchi
vini frizzanti flut
la provincia illuminata
(dio è ovunque)
auguri a grappoli d’invio
accendono display
in abbraccio intercontinentale.
One world.
Ci caschiamo
ogni natale.
lunedì 19 dicembre 2011
Alfabeto Camus, lessico della rivolta
recensione di Alfonso Lentini
pubblicata su “Il Grandevetro” (n. 206 – luglio/settembre 2011)
“Figura incarnata del ribelle; quello vero, colui che prima ancora di ribellarsi agli uomini, si ribella ai fondamenti dell’esistenza”. Così Antonio Castronuovo inizia a parlarci di Camus. E lo fa secondo gli schemi tipici della collana “Fiabesca” (fiore all’occhiello delle edizioni Stampa Alternativa) che raccoglie una saggistica fortemente eretica non solo nei contenuti, ma anche nelle modalità di scrittura. Alfabeto Camus non è infatti una monografia né un saggio critico, ma una ricognizione svolazzante e bizzarra, eppure di disarmante onestà, su uno scrittore verso il quale l’autore di questo volume dichiara di nutrire una vera e propria “venerazione”.
Il libro si divide in due parti. La prima altro non è che un’intervista a un Camus che si immagina sopravvissuto all’incidente automobilistico in cui in realtà, tre anni dopo aver ricevuto il Nobel, perse la vita nel 1960. Ed è talmente palese e temerario lo stravolgimento degli eventi che la prima domanda a cui il recidivo Camus è chiamato a rispondere riguarda il successo dei suoi libri presso i giovani di Berkeley negli anni a ridosso della contestazione. È una sorta di “intervista impossibile” che però Castronuovo, con la grazia intellettuale che lo contraddistingue, riesce a rendere non solo possibile ma anche attendibile grazie a un accurato lavoro di taglio e cucito su scritti camusiani da lui solo appena ritoccati. Grazie a questo espediente sembra che l’occhio di Camus riesca a puntare una sorta di cannocchiale su un futuro che non ha potuto vedere, ma in tal modo Castronuovo riesce a mostrare (e dimostrare), nei fatti, la lungimiranza e l’attualità dell’autore de L’uomo in rivolta. Camus ha insomma qualcosa da dire non solo agli studenti del Sessantotto (dai quali si sente amato perché anche loro più che la rivoluzione teorizzavano la ribellione), ma agli uomini d’oggi.
E cosa, secondo Castronuovo, Camus abbia di urgente da dirci appare chiaro nella seconda parte del libro, che è composta da un dizionarietto arbitrario ma non troppo dove, in ordine alfabetico, vengono squadernate alcune parole chiave per la comprensione del suo mondo. Si va da “Algeri” a “Ungheria”, passando attraverso un lessico che più camusiano non si può (“Anarchia”, “Esistenzialismo”, “Lager e gulag”, La peste”, “Nobel”…), ma anche attraverso termini in apparenza più generici come “Madre”, “Mare e sole”, “Povertà”… Ne esce vivacissima e non neutrale una rivisitazione di Camus, tra le più vicine allo spirito autentico dello scrittore francese, al punto che l’autore ha ricevuto dalla stessa figlia di Camus, Catherine, una lettera in cui gli dice che da questo libro si vede benissimo come Castronuovo ami Camus “per le ragioni più giuste”. E infatti il punto sul quale il libro batte maggiormente riguarda la scelta libertaria (del tutto inconciliabile con il fondamentalismo stalinista allora imperante nelle sinistre europee) che sta alla base della sua intera produzione e che sicuramente spiega i mille ostracismi se non addirittura le scomuniche di cui fu vittima anche da parte di mostri sacri della filosofia come Sartre. (E a questo proposito Castronuovo, sornione, annota subito: “So soltanto che se leggo Camus mi ci ritrovo, se leggo Sartre sbadiglio”).
Libri come questo rimettono con i piedi per terra uomini e vicende intellettuali, Camus esce dai santini in cui qualcuno vorrebbe comprimerlo (magari per poi subito dopo dimenticarlo) e riacquista carne e sangue. Come ad esempio quando Castronuovo riporta le righe con le quali Dino Buzzati racconta il suo incontro, lui così timido e introverso, con il celebre scrittore francese: “Grazie a Dio, non aveva una testa da intellettuale, ma da sportivo, limpida, da uomo del popolo, solido, ironico ma con bonomia, in un certo senso un viso da garagista”.
Antonio Castronuovo
Alfabeto Camus, lessico della rivolta
Collana Fiabesca
Stampa Alternativa, Viterbo 2011
Pagg. 249, E. 13,00
martedì 13 dicembre 2011
Recisi furori
Recisi furori
Treni non più
in Sicilia
Il piccolo Lombardo
col gran riporto
va in auto blu
Le arance marce
non si sbucciano
si buttano via
Piove
L'acqua nelle scarpe
Genere umano perduto
Fumo e pianto
Traversine divelte
sputi salati
orche delfini
scimmie cimici
Scilla e Cariddi
zattere di ferro
fazzoletti sporchi
di sangue secco
Memoria bruciata
Né madre
Né padre
Né aringhe
Nè porta di casa
Tutti mangiano
in un modo o in un altro
Tempo di novene
Nulla da arrotare
Perché tanto soffrire
mercoledì 7 dicembre 2011
STRAPANEL dal 16 al 18 Dicembre 2011
“Sono giorni che non so come descriverli”
di Francesco Randazzo
Rappresentazione Teatrale liberamente ispirata al DIARIO DI GUERRA di Anna Ridolfi
Aprilia - Stabilimento Ex Claudia
ore 21,00
Via Pontina Km 46,600
una produzione Compagnia Teatro Finestra
dal 16 al 18 Dicembre 2011
con Claudia ACHILLI, Marco BELLEUDI, Gianni BERNARDO, Emiliano BRUZZESE, Francesco COCCO, Claudio COTTIGA, Antonio D’ARIENZO, Michela DE BERARDINIS, Margarita DE LA CRUZ GARCIA, Alfonso FIERO, Tiziana GALLO, Marithe’ GIUDICE, Ermanno IENCINELLA, Gianfranco IENCINELLA, Salvatore ROMANO, Nunzia ZAGARIA, Daniela ZEPPETELLA
luci suono video MICHELE DE NISI RAFFAELE TROMBETTA
costumi MARITHE’ GIUDICE
spazio scenico FRANCESCO RANDAZZO
installazioni CLAUDIO COTTIGA
collaborazioni RENZO RIDOLFI SALVATORE DI MALTA
regista collaboratore RAFFAELE CALABRESE
La memoria non è la Storia. Può esservi dentro, e senz'altro lo è, ma può anche da essa essere deviata o rimossa, o semplicemente offuscata da ciò che i grandi avvenimenti inevitabilmente macinano dentro le versioni ufficiali.
La memoria è dentro ogni uomo, si potrebbe anche dire che privo di essa egli non è più tale e che il senso di una vita si avvalora nel tempo che essa seguita a vivere nella memoria.
La memoria a volte si smarrisce o si perde, altre volte riaffiora e rinnova o aggiunge spessore e valore alla vita stessa.
Questo nostro lavoro sulla memoria di Annetta, ragazzina dimenticata e travolta dalla Storia e dal destino, inseguita ostinatamente per più di cinquant'anni dall'amore di un ragazzo tedesco semplice e buono, è un omaggio alla vita, al coraggio, alla purezza dei sentimenti che non si fecero sporcare dagli avvenimenti più crudeli e dalle folli, aberranti storture che il nazifascismo produsse in quel tempo.
Lo spettacolo che abbiamo creato è un atto di "poiesis" del gruppo di attori che interpreta e sublima, attraverso un atto di creazione artistica, la bellezza e lo struggimento per la vita, l'amore e la morte. Storie di persone dimenticate che però, nel loro risvegliarsi e accadere in scena, ci regalano il respiro profondo dell'anima pura, semplice e potente che il mondo contiene in ognuno di noi, sopita dagli affanni, deviata dal tempo, ma che a volte, come in questo caso, si risveglia e torna ad abitarci.
Dalla piccola tenace matita di Annetta, dall'ostinata speranza del giovane Hermann, fino a noi.
lunedì 5 dicembre 2011
Misure straordinarie
È ora di portare in Svizzera
i capitali o in mancanza
il corpo evada tutto
meglio fieri magri
che sfatti corrotti
Sacrificio per sacrificio
meglio un paese di cioccolata
off shore oppure off life
che questo paese di merda
continuamente centrifugata
nel frullatore scoperchiato
Misure straordinarie per
pisellini retrovoraginiferi
menti di pollo bocche sdentate
ministrali minestre lacrimali
passere di solitaria intesa
grilli patroni senza pitigrilli
monti che rompono le acque
Cadono cucuzze buzzurre
Meglio non piegarsi
In piedi dannati della terra
In piedi forzati della fame
La ragione tuona nel suo cratere
È l’eruzione finale
Del passato facciam tabula rasa
Non ci son supremi salvatori
Né Dio né Cesare né tribuno
Chi produce si salvi da solo
Decretiamo la salute comune
Supercalifragilistichespiralidoso
mercoledì 30 novembre 2011
Passeggiata Serenissima
Ghetto vuoto muto
humor ebraico
occhio biblico
antico testamento
il campo il ponte
sfocio in fondamenta
luci festa
si alimenta di studenti
si alimentano ad alcolico
qualche tramezzino
qualcuno arriva a remi
qualcuno va via a piedi
inghiottito dal/il caìgo
perduto il Paradiso.
lunedì 28 novembre 2011
Quando smette il dolore
ci consegna la soave lucidità
che il bene è pronto a sparire
Così il corpo s'appaga
ma il pensiero affila lame
sulle quali è meglio esitare
venerdì 25 novembre 2011
Certe volte
non per disperazione ma tenero
languore di un estremo bacio
Sentire svanire con se stessi
l'ansioso drago della carne
il cane rabbioso della mente
E custodire per sempre nel sonno
solo il sorriso di chi amiamo
Low back pain
lunedì 21 novembre 2011
giovedì 17 novembre 2011
Arsenico negli occhi
lunedì 14 novembre 2011
“Luminosa signora, lettera veneziana d’amore e d’eresia” di Alfonso Lentini
Palermo
5 novembre 2011
Presentazione del libro
“Luminosa signora, lettera veneziana d’amore e d’eresia”
di Alfonso Lentini
Trascrizione dell’intervento di
Alfonso Lentini, artista visivo e scrittore (ma dovrei dire poeta), è nato nel 1951 in provincia di Agrigento, è vissuto a Palermo negli anni di formazione, dove ha frequentato e collaborato con le riviste letterarie e sperimentali Fasis e Per Ap del gruppo formatosi attorno allo scrittore palermitano Gaetano Testa, poi si è trasferito alla fine degli anni ' 70 in Veneto per insegnare, vive a Belluno.
Dovrei dire poeta, non solo perché la sua scrittura evocativa è intessuta di rimandi poetici che vanno dal Dolce stil novo a Leopardi, a Montale etc., ma soprattutto perché il suo racconto è sempre circolare, senza un vero inizio, uno svolgimento e una fine, è un racconto che si intravede in dissolvenza, dove c'è un io narrante che naviga tra frammenti di memoria, visioni, riflessioni, interrogativi, come in un gioco di specchi, come un incantesimo. La prospettiva è sempre assolutamente soggettiva, dal punto di vista dell'io narrante, e la possibile trama è suggerita, evocata, più che raccontata in senso tradizionale. Direi che ogni libro di Lentini è un incantesimo che ci conduce in una dimensione sospesa dove la realtà si dissolve nel sogno e il sogno nella realtà, i confini sono incerti, la consistenza delle cose si sfarina come in questo libro succede a una parte della casa, ma soprattutto al linguaggio. Una scrittura simbolista nel senso che è una trama di corrispondenze e analogie, che conducono in quelle “foreste di simboli dagli occhi familiari” di cui parlava Baudelaire. Un filone letterario minoritario in Italia, ma che nella letteratura siciliana ha una sua presenza, con modalità diverse, da Bufalino a Bonaviri.
Lentini ha scritto diversi volumi, hanno tutti una misura contenuta – 100 pagine o poco più – in tutti c'è sempre qualcosa di molto lunare e lunatico – pagine scritte alla luce della luna, che è cercata, amata, temuta, e tutti i racconti si concludono con una luna che sparisce o che c'è, ad esempio il libro che presentiamo oggi - Luminosa signora – si conclude: “E camminando prendevo a calci la luna”.
Sono tentata di pensare che la Luminosa signora del titolo non sia altro che proprio la luna. Insomma, Alfonso Lentini è una sorta di Pierrot lunaire, in bilico come un trapezista tra angoscia, allucinazione, fiaba e incantamento. Non un figlio del sole, ma un figlio della luna.
Non ho letto tutti i suoi libri, ma ne ho letti diversi. Il mio rapporto con lui è nato leggendo il libro che nel 1996 ha dedicato a Filippo Bentivegna, il signore delle teste, che lessi durante la ricerca per il libro che ho pubblicato sugli Irregolari di Sicilia, traendone molte informazioni e molti spunti. É una sorta di romanzo-saggio, a metà tra la ricostruzione e l'evocazione, del resto anche Filippo Bentivegna è un “figlio della luna”.
Ho letto Piccolo inventario degli specchi (2003), che è un viaggio trasversale attraverso la letteratura, il mito, il mondo delle immagini, sul tema della seduzione e dell'inganno dell'immagine riflessa, ma anche sulla natura della scrittura che è anch'essa riflesso. Anche il libro stesso, come si dice all'inizio, non è infatti che un nostro specchio tra i tanti possibili.
Ho letto Cento madri (2009), che ha vinto il premio Città di Forlì, e mi è sembrato un bellissimo romanzo di formazione nella Sicilia anni '50, una formazione dominata dal complesso materno in quel mondo del matriarcato occulto, come lo definiva Sciascia, dove il protagonista per crescere deve immaginare di diventare un assassino. E' un romanzo notturno che ha un andamento ondeggiante, elusivo, onirico, ipnotico a tratti, costruito per brevi frammenti, illuminazioni progressive. Come questo, che è l'ultimo in ordine di tempo, appena uscito, che presentiamo oggi, Luminosa signora. Lettera veneziana d'amore e d'eresia. Anche questo è costruito per brevi capitoli, che si presentano come frammenti di un racconto che resta aperto - più che narrato è suggerito all'immaginazione del lettore.
C'è uno stretto rapporto tra la sua scrittura e la sua produzione artistica che del resto ha per tema principalmente la scrittura, la parola, le pagine, il libro, e che potremmo classificare nel genere che un tempo veniva chiamato “poesia visiva”. Ne vedete una selezione in questa colonna visiva proiettata alle nostre spalle, che fa da contrappunto a questa presentazione, e che Alfonso ha preparato per noi.
Sono tutte pagine di libri magici che lui chiama “Insulae”, piccoli formati intimi fatti di collage e sovrapposizioni, dove si aprono squarci come uno spicchio di cielo che fa intravedere altre parole, le parole nascoste, le parole non dette che stanno sotto tutte le nostre parole....... , così una declinazione “rosa rosae” può diventare un paesaggio o un meteorite cucito su un cielo di carta.
Queste piccole icone fatte di collage leggeri, poetici, commoventi, “soavi” (uso un aggettivo caro a un altro amico e scrittore palermitano, Michele Perriera), sono un omaggio alla scrittura, la scrittura a mano, la scrittura stampata, in un tempo in cui la scrittura è diventata sempre più immateriale, un dialogo tra schermo e tastiera, perdendo il suo rapporto esistenziale con la carta.
C'è eleganza, ma non innocua, le graffette metalliche stanno lì a cucire le parole, ma suggeriscono anche chiodi e spine, un dolore non urlato ma, come nei romanzi, soltanto sussurrato. C'è un segno rosso che si ripete, - ricorda il bordo rosso di certi quaderni dalla copertina nera che tutti abbiamo avuto in mano e di cui abbiamo nostalgia, - ma è diventato una luna, una fenditura o una piuma che a me evoca la piuma di Mallarmé in Un colpo di dadi:
piuma solitaria sperduta tranne che la incontri o la sfiori un tocco di mezzanotte e immobilizzi col velluto sgualcito d'uno scoppio di risa scuro....
In queste icone dell'anima, pagine di un diario criptato, la parola diventa una foglia o un petalo, o è una fragile scritta all'interno di un guscio d'uovo, guscio che ci suggerisce la fragilità ma ci indica anche che la parola è all'origine di tutto, della nascita del nostro mondo e della nostra relazione con il mondo, come dicono i mistici della cabala.
Anche l'oggetto-libro, che Alfonso manipola esercitando la sua creatività, contiene molto mondi, quindi può essere di foglie, di sassi, di lana, etc., diventando un talismano alla maniera in cui lo ha immaginato, ad esempio, Mirella Bentivoglio e i tanti artisti che si sono dedicati al libro-scultura della sua straordinaria raccolta.
Se nella scrittura di Alfonso ci sono molti echi di altri poeti, citazioni esplicite e citazioni nascoste, anche nelle sue opere ci sono tanti fili che rimandano a tutta la storia dell'arte del novecento, ad esempio Fontana, Rothko, Clifford Still etc. per arrivare alla leggerezza di Folon nelle ultime immagini di questa sequenza.
La chiave dell'immaginario di Alfonso l'ho trovata in un altro libro: Ti racconto formiche mentali, un volumetto che ha curato raccogliendo le esperienze di un laboratorio di scrittura tenuto con gli utenti di un Centro Diurno di salute mentale di Belluno, con cui ha collaborato varie volte anche organizzando delle mostre “irregolari”. Alla fine di questo volumetto c'è una frase, scritta da uno dei partecipanti al laboratorio : “Avere in pugno i sogni! Questo è importante.”
Ecco, credo che questa sia anche la ragione segreta per cui Alfonso scrive e crea oggetti: non annegare nei propri sogni, ma navigare attraverso, tenerli sotto controllo, manipolarli, reinventarli. Del resto lui stesso, quasi a conferma di questa mia impressione, cita nella prefazione di questo volumetto sulle formiche mentali Fernando Pessoa, poeta dalle multiple identità: “Non sono niente / non sarò mai niente /non posso voler essere niente/ a parte questo, ho dentro di me tutti i sogni del mondo/”
Quale è il sogno sognato in questo libro di oggi?
Se Cento madri è un lungo sogno abitato da una madre multipla, fagocitante e protettiva, dietro la Luminosa signora c'è invece l'ombra paterna, di un padre generoso e combattente, un padre marxista che crede nella forza e nella verità delle parole, un padre che un giorno conduce il protagonista ad ascoltare un concerto del silenzio.
La luminosa signora dagli occhi d'ombra chiara (un bell'ossimoro che ritorna – in tutta la scrittura ricorrono del resto immagini e metafore suggestive: il silenzio piumato, o il silenzio come spugna di mare - ) è una figura misteriosa, una sorta di Beatrice dantesca, che va e viene nella casa del protagonista – io narrante – come la marea, come la primavera dice lui, che alla primavera annette un significato di attesa e di rinascita. Non sappiamo chi sia questa lei, sembra essere tutt'uno con Venezia, dove è ambientato il racconto: Veni etiam, sono tornata ancora, è l'etimologia del nome della città suggerita da Alfonso.
Il protagonista, che potremmo chiamare lo sfregiato perché ha una ferita sulla guancia che si è procurato non si sa bene come, un proiettile vagante in una situazione imprecisata, la osserva e le scrive una lettera d'amore mentre naviga tra i propri ricordi, vorrebbe farle una domanda essenziale che non riesce mai a formulare.
Tutto è incerto in lui e attorno a lui: la casa è cangiante (è un motivo che troviamo anche in Cento madri), si aprono falle nel pavimento, anche il linguaggio è friabile, poroso, i significati si sovrappongono e sfuggono da tutte le parti, le parole sono come polvere che sfarina....
Questa incertezza che rende ambigue le cose e le parole e che si spinge fino all'eresia: “noi tutti non siamo che tentativi di una creazione incompiuta” – dice a un certo punto il protagonista - mi ha ricordato un'altra lettera celebre: la Lettera di Lord Chandos , un testo in cui Hofmmansthal denuncia la crisi del linguaggio e con ciò della Mitteleuropa (1902): Chandos a cui “le parole si disfano in bocca come funghi ammuffiti”, Chandos che dice che “i vortici delle parole conducono nel vuoto” ( Bodenlose – senza terreno sotto i piedi). E' il problema della perdita di senso e di verità delle parole in cui si rispecchia la crisi di identità della cultura asburgica nella sua fase terminale. Lo stesso problema che negli stessi anni è avvertito dal filosofo Wittgenstein. Il protagonista di “Luminosa signora” soffre di una sindrome simile a quella di Chandos, per altre ragioni e in altro contesto, ma anche qui nella friabilità del linguaggio si rispecchia una crisi d'identità e la perdita di un mondo.
L'atmosfera di questo racconto, - la casa mutante e irrisolta abitata da misteriose presenze, le cui stanze si dilatano o si restringono come uno spazio onirico, e Venezia come sfondo, una città piena di ritorni e scomparse, di cui fanno parte anche isole che nel tempo sono state sommerse -, mi ha ricordato anche un altro romanzo che ha al centro un carteggio perduto da ritrovare, Il carteggio Aspern di Henri James, una vicenda molto ambigua e un tentativo di ritrovare un passato che inesorabilmente si sfalda. Nella letteratura Venezia infatti è una città dei passi perduti, la città ideale per tutti coloro che hanno perduto qualcosa. Lo è anche in questo romanzo di Lentini.
Dunque: c'è una lettera che in realtà non si conclude perché non può concludersi, una casa dove dai rubinetti a volte scorre sangue, la misteriosa e incongrua apparizione di un cavallo morto a Campo Santa Margherita, una luminosa e misteriosa signora che va e viene senza curarsi del protagonista che la osserva, e il protagonista che ha sulla guancia una ferita che non guarisce. Quasi come Amfortas, il personaggio che nel Parsifal custodisce il santo Graal, e che riappare come il re pescatore dalla piaga inguaribile nella Terra desolata di Eliot, che non è altro che la terra desolata della modernità dove la verità resta inafferabile. Amfortas, il re pescatore, potrà guarire solo se qualcuno gli porrà la domanda essenziale. Al contrario, il nostro sfregiato forse potrebbe guarire se riuscisse a formulare la domanda essenziale alla sua luminosa signora. Una domanda di verità. Ma la verità si è persa molto tempo prima assieme all'utopia.
La ferita, ricorda il protagonista, è apparsa quando il padre e i suoi amici comunisti sono scomparsi, quando sono scomparsi quelli per cui l'unica forma di realismo era chiedere l'impossibile, cioè trasformare il mondo, quelli che credevano che lo strumento della parola fosse un veicolo etico di certezza e di speranza. Quando è svanita la possibilità dell'utopia, o meglio della fede in questa possibilità, le parole sono diventate deboli, vuote “come un guscio d'uovo” ma senza tuorlo, senza generare più significati o movimenti. Ecco che inizia la dissolvenza, e perfino la follia. La follia del padre che compra una tipografia e si dedica a stampare testi senza senso, accostando i caratteri tipografici a caso, e poi finisce in manicomio. La follia del figlio, forse, che nella stessa tipografia stampa “microlibri” che non vende a nessuno, mentre attende la sua luminosa signora che lo ignora.
Dal libro, insomma, trapela una grande nostalgia sia per l'impronunciabile parola “compagni” che, in genere per gli anni '60, “anni di colori sgargianti”, e gli anni ' 70, anni di rabbie e di rock duro. Ma la scena conclusiva si svolge a San Servolo, l'ex-manicomio di Venezia oggi Museo della Follia. Nostalgia e follia sembrano far parte dello stesso mistero.
Ricaricabili
Reperibilità
presenza
sim e chiavette
gratis
un tanto a chilo
insert coin
in videogioco
perdi vite
perdi linea.
martedì 8 novembre 2011
Anticaglie
Ricordi
da una foto malfatta
a un matrimonio
io e te
un tempo amici
ora una tag elettronica
ci lega (così pensi)
ma i nostri vestiti
non sono più gli stessi
quegli sposi
divorziati irrimediabilmente.
lunedì 31 ottobre 2011
amen
e tra le mani la necessità
d'esistere più in alto Senza
un dove e un quando
Nel qui ed ora incessante
senza la fine di un fine
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
e non di più non di meno
rimetti i debiti estingui i mutui
schianta i servi lava l'ignoranza
e non ci indurre alla rivoluzione
ma liberaci dall'ipocrisia
purifica l'acqua dall'arsenico
amen
martedì 25 ottobre 2011
Dicatum
1 dittatore
1 attore giovane
1 motociclista giovane
1000 sconosciuti
(chissà dove chissà chi)
La campana della chiesa
(Apostolorum Principi et Virgini Alexandrinae dicatum)
batte monotona tusci rintocchi
Lontana da tutto ciò (che culo)
Jennifer Lopez canta e piange
Io invece non dormo
e sono le 2:49 a.m.
Tutto questo ha un senso
che mi tiene sveglio
perché intuisco che
ho freddo ai piedi
e non mi piace
sabato 22 ottobre 2011
Associazione d'idee
Quando idee si associano
complicato dissociarle
fanno massa critica incrementano la forza
gravitazionale attraggono altre idee confuse
indecise comete vaganti si sommano al nucleo
originario lo proteggono dagli eventi esterni
dagli agenti corrosivi disponendosi attorno
lo assumono a centro e la frittata è fatta.
martedì 4 ottobre 2011
Dipendenze, abbandoni e strane forme di sopravvivenza
"Il conformismo, invece, è altamente produttivo: perché il libero mercato ha bisogno di un pubblico assuefatto e di una cultura massmediatizzata. È paradossale pensarlo ma non resta che ricrederci, abbiamo sbagliato: è produttivo soltanto ciò che conformistico, ciò che si adegua supinamente al conformismo di un gusto irrimediabilmente massmediatizzato.
Pezzato riparte dallo zero, dal minimo comun denominatore di un linguaggio che ha azzerato le tematiche che la critica dell’economia linguistica degli istituti stilistici maggioritari consegnava agli autori delle giovani generazioni e il suo «io» deve fare i conti con la finta centralità dell’«io», con il travestimento del poetico in koinè pseudo narrativa, con la dismissione dei parametri stilistici del secolo dello sperimentalismo.
Pezzato tratteggia una poetica per la poesia a venire, una poesia intelligibile, diretta e scheletrica nella forma ma comunque attenta all'estetica dei suoni e dei ritmi (quasi in antitesi al concetto «classico»), che usa il linguaggio stringato e minimale del XXI° secolo, che propone temi di stretta attualità perché la poesia possa servire a «decifrare» anche il mondo moderno nell'immediatezza della sua rappresentazione, che utilizza l'Io ipertrofico -caratteristica tipica della nostra contemporaneità occidentale- come centro di gravità. Un tratteggiare su tabula rasa che si presenta arrogantemente come abbecedario poetico, come simbolico punto di partenza per la nuova poetica, come si intuisce incontrando i due “esercizi da sussidiario” (con la c e con la s)."
dalla prefazione di Giorgio Linguaglossa.
Social networks (e motori di ricerca)
Ti guardo non te ne accorgi
non puoi sono invisibile
traccia labile confusa tra milioni
di connessioni alla rete
dove raccolgo brandelli
delle tue giornate delle ore
che mi sono negate vicino a te
e immagino a piacimento
le parti che mancano, illusioni
che completano il puzzle l'idea
della tua presenza suggerita da Google.
"Dipendenze, abbandoni e strane forme di sopravvivenza" - L. Pezzato- Lietocolle 2011
venerdì 30 settembre 2011
"Fermenti"
“Fermenti” dal 1971, periodico a carattere culturale, informativo, d'attualità e costume.
Direttore responsabile: Velio Carratoni
Comitato di redazione: Gualberto Alvino, Antonella Calzolari, Velio Carratoni, Gualtiero De Santi, Donato Di Stasi, Gemma Forti.
È disponibile il n. 237 (2011), numero doppio di 500 pagg.,
formato cm. 17X24, € 26,00
Rubriche:
Saggistica, Narrativa, Aforismi, Arte, Fotografia, Poesia, Riproposte,
Musica, Cinema, Traduzioni, Recensioni, Costume, Inserto Fondazione
Piazzolla, Manifestazioni.
Firme:
G. Alvino, R. Angelotti Biuso, C. Annino, M. P. Argentieri, S. Aslan,
G. Baldaccini, S. Baroni, M. C. Beccaria, M. Belbusti, C. Belli, T. Binga,
G. Biuso, E. Bellini, F. Buffoni, V. Busi, A. Calzolari, D. Cara, C. F. Carli,
Carratoni, A. Contiliano, G. Cuttone, L. Dalla, C. Davinio, G. De Santi,
A. del Guercio, G. di Lieto, B. Di Giovanni, D. Di Stasi, F. Ermini, G. Forti,
P. Galvagni, R. Giannini, F. Grimaldi, V. Guarracino, E. M. Guidi,
R. Jacobbi, K. Karisòni, I. Lajos, S. Lamonaca, G. Larocchi, M. G. Lenisa,
M. Lenti, F. Lioce, M. Lunetta, A. Marianni, L. Marziano, E. Masci,
E. Maurizi, A. Monti, V. Mucci, G. Neri, M. Nocera, V. Pagano,
M. Palladini, S. Panatta, A. Pandolfelli, P. F. Paolini, A. Pasterius,
R. Piazza, M. Piazzolla, M. Pieri, M. Pizzi, N. Ponente, I. Pozzoni,
E. Rega, L. Riommi, K. Risàkis, G. Sabatini, G. Sallustio, G. Salveti,
C. Sangiglio, A. Savoi, G. Sesia della Merla, A. Spatola, M. Spatola,
V. Tassiòpulos, F. Tomei, C. M. Turco, V. Verzieri, V. Zeichen.
Alcuni degli argomenti trattati:
il Salone di Torino, D. Alighieri, G.G. Belli, S. Berlusconi, G. Contini, B. Croce, C. De Gregorio, D. Isella,
R. Jacobbi, A. Kubin, G.P. Lucini, B. Maderna, G. Manacorda, E. Montale, V. Mucci, L. Nono, M. Onofri,
A. Pennacchi, G. Piovene, M. Renzi, M. Scalabrino, L. Telese, P. Terminelli, M. Zambrano, C. Zavattini,
W.B. Yeats ecc.
In copertina: Francesco Tomei, La Compassione, 2002, olio su tela, diametro: cm. 200
A Roma può essere acquistato o ordinato presso
Libreria AltroQuando, Via del Governo Vecchio, 82 - 00186 Roma, tel. 066879825.
Il volume è reperibile nelle migliori librerie.
Fermenti Editrice
www.fermenti-editrice.it
www.facebook.com/fermentieditrice
In collaborazione con la Fondazione Marino Piazzolla
www.fondazionemarinopiazzolla.it
www.facebook.com/fondazionemarinopiazzolla
venerdì 23 settembre 2011
In società
Combattimi
espelli il germe
della confusione perenne
delle sedie gambe all’aria
e il lampadario a pavimento
dell’appunto fastidioso
in mezzo alla conversazione
lineare ed educata
zittiscimi
con la piccola pedata
allo stinco che riporti
la decenza nello stare assieme
ad altra gente
elegantemente vestita.
mercoledì 21 settembre 2011
Il bianco e il nero in teatro
su NIEDERNGASSE
venerdì 16 settembre 2011
Il verde nell'azzurro
Il rosso nell'arancio
La pioggia senza pianto
Il sole come un velo
Che tu sia ancora e sempre
nel profumo di zàgara che spira
dagli agrumeti sorridenti
nel vento poeta di sussurro
nel sole appassionante
nell'onda lieve ma ostinata
E ti dipingano occhi discreti
con fulve sfumature antiche
occhi disincantato specchio
le labbra acute d'ironia
le mani magiche d'incanti
quel tuo sederti senza peso
quell'innalzarsi ferma volando
Nel disincanto di quest'assenza
che tu sia ancora e sempre
come un sogno e un respiro
dentro altri sogni altri respiri
Il verde nell'azzurro
Il rosso nell'arancio
La pioggia senza pianto
Il sole come un velo
giovedì 15 settembre 2011
Avenida Fuerzas Armadas
Avenida Fuerzas Armadas cinque poesie dalla Caracas del Terzo Millennio di Francesco Randazzo Leggi o scarica l'ebook. |
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www.mirkalebook.tk |
domenica 11 settembre 2011
Sfuggire all'antologia
Era uno scherzo
tutto quanto avete letto
fin’ora era fasullo
non consideratelo
dimenticatevi di me
ora ricomincio sotto
pseudonimo protettivo
rinnego ogni verso
imploro il silenzio
della memoria.
mercoledì 7 settembre 2011
Portrait
sabato 27 agosto 2011
lunedì 15 agosto 2011
Laudatio ferragostana
di città pretestuose
di paesini ottundenti
di borghi ghignanti
dagli atri mucosi
dai fori coi denti
O bella gente d'Itaglia
col cervello tagliatella
e il cuore in banca
Popolo di papponi familisti
mitomani delle tre carte
O popolo d'irpef oscura
d'iva 'ntrocchia bile
O popolo di statalissimi
stiliti di gomma
O popolo di precari
con in tasca l'Ipad
O popolo di politici
di pollame polis
O bella gente d'Itaglia
che vive sulla faglia
del godo ergo sum
ma insomma mica tanto
O gran Dio protettore
dei paraculi e servi
Dio delle ville al mare
dei suv superdotati
dei prestanome bonzi
dell'audience puttana
dell'impietà sugosa
del pregresso osceno
ché se nascevo
lemure del Madagascar
di tutto questo
niente avrei saputo
e felice come una scimmia
me ne sarei fottuto
Invece grazie a Te
sto qui mi rendo conto
e un vaffanculo
impreco a tutto tondo
domenica 14 agosto 2011
L’impavida eroina eccetera
pagg 142, € 13,50, Nulla Die, ISBN 978-88-97364-34-4
Se fosse belga di lingua francese, puttaniere e giramondo, sarebbe Simenon. C'è quella stessa scrittura apparentemente lieve e disintiressata, scevra da compiacimenti, lo stesso occhio sulla vita e sulle persone, le loro storie minime, personali, intime che divengono grandi storie, assumono il respiro grande della narrazione, catturano il lettore e aprono sguardi profondi sull'umanità.
Le storie di questo libro, "L'impavida eroina, eccetera...", edito da Nulla die, sono così, ma sono scritte da Mauro Mirci, scrittore siciliano di lingua italiana, felicemente out dal giro dei TQ, che dalla sua posizione appartata ma attivissima nell'umbilicus Siciliae, ha il pregio di essere un narratore dalla penna agile e incisiva, ma ha anche tutte le difficoltà di chi è bravo e basta, nel pantano editoriale e dei vari circoli di autori rampanti o d'antan di questo Bel Paese stantio, che ormai "fete" più di un formaggio.
È grazie ad una piccola ma motivatissima casa editrice, Nulladie (nasce dal web con gli ebook e approda sulla carta), che possiamo gustarci i racconti del nostro, nell'augurio che presto venga alla luce un romanzo di questo autore, il quale già adesso, in queste storie brevi che scorrono lievi e meravigliano per tanta pulizia e incisività, lascia presagire un respiro e una maestria, tanto umile, quanto grande.
Da leggere, assolutamente. Cercatelo, compratelo e smettete di dire che il vostro libraio non ce l'ha. Su internet, oltre a cazzeggiare e spiare cosa fanno gli amici su facebook, si possono fare un sacco di belle cose, tipo comprare libri.
Mirkal Ebook, nuova uscita: MMXI poesie di Francesco Randazzo
lunedì 8 agosto 2011
SONO VENUTO SOPRA LA TUA FOTO
quella che guardavo
furtivamente come un ladro
e di cui volevo fare un quadro
I tuoi occhi sembravano chiedere un figlio
Avevi denti bianchi come un giglio
e con labbra increspate
come onde di mare
parevi sporgerti
verso qualche oltre
L' ho guardata ancora
un'ultima volta
L' ho ammirata e mirata
e poi l' ho travolta
venerdì 5 agosto 2011
Il gran Lombardi
Pezzo di gran pregio l’ultimo fascicolo monografico di «Resine. Quaderni liguri di cultura» (XXXI 2010, 125-26, pp. 144) dal titolo L’occhio di Germano Lombardi, dedicato — per le cure di Pier Luigi Ferro — allo scrittore di Oneglia (1925-1992) sulla soglia del ventennale della morte: certamente tra gli outsider più innovatori, ergo completamente dimenticati, del secondo Novecento, la cui ascendenza da Robbe-Grillet e dalle sue algide, ossessive schedature fenomenologiche affidate a bisbigli monocordi e ipnotici — che sarebbe a dir nulla temerario revocare in dubbio — non ne intacca minimamente il valore, se è vero, come risulta persino a non pochi feroci oppositori d’ogni sperimentalismo, che la sua prosa non cessa dopo decennî d’apparire altrettanto unica che rivoluzionaria per il suo essere rapinosamente fabulatoria quanto secca ed essenziale; non minuziosamente pianificata come nel padre del Nouveau roman ma istintiva, quasi biologica e comportamentale, colata sulla pagina allo stato nascente; espressivamente azzerata eppure musicalmente strutturatissima (il livello prosodico, specie del primo tempo, merita studio); trapunta di para-azioni e microgesti compiuti da improbabili personaggi-regard da cui tralucono a tratti i massimi sistemi; scandita in blocchi, e si dica pure balbettii paratattici giustapposti fuor di logica e cronologia, che riescono tuttavia a mimare con impressionante efficacia il récit in tutta la gamma delle sue movenze (gialle e fino avventurose) pur negandone recisamente statuto e possibilità.
Tra commemorazione e saggio critico lo scritto d’apertura di Renato Barilli, in cui sostanzialmente si conferma la stretta parentela di Lombardi con l’autore di Les gommes («Era per me evidente che la prosa scarna e magra di Germano consuonava con quanto faceva oltralpe il numero uno dell’école du regard, o di una littérature objectale, o litérale, come era anche detta, stretta attorno al motto propiziatore Les choses sont là. […] Lombardi come il Robbe-Grillet di casa nostra, seppure con esercizio più rado, più affaticato e incerto, e soprattutto non accompagnato dall’aggressività teorica che traspariva dalle prestazioni del capofila del Nouveau roman»), anche in occasione della svolta rappresentata da Cercando Beatrix e Villa con prato all’inglese, i “gialli” commissionati al Nostro da Rizzoli, in cui «non viene meno il parallelismo […] con la rotta che intanto sta seguendo già da qualche tempo il capofila del Nouveau roman, che anche lui aveva ben compreso come con Dans le labyrinthe fosse pervenuto a un punto terminale e di totale saturazione. Non si poteva continuare all’infinito — dichiara infine il critico bolognese, gettando la maschera del sodale e svelando il proprio canone attuale — a tessere quelle erranze nel vuoto, nel freddo sidereo, nella rarefazione di tutti i possibili motivi di trama. Bisognava capovolgere la clessidra, passando da una narrazione fatta di niente, volta a respingere come banali le risorse dell’intreccio, a uno sfruttamento di questo ingrediente essenziale»: il che equivale non pure a negare qualunque cittadinanza all’organizzazione formale, e dunque a ogni letteratura antagonista e di ricerca presente passata e futura (la sola che conti), ma a sancire l’assoluta primazia delle scritture da banco fondate sulla consolante e unproblematic linearità dell’intreccio farcito di fatti fruibilissimi e però sonanti a vuoto assai più delle «erranze» lombardiane.
L’altro compagno di cordata neoavanguardistica, Angelo Guglielmi, pone l’accento sullo «sfrenato desiderio di narrare, di far vivere la vita» di Lombardi e sulla sua «voglia di testimoniare, di fantasticare, di dire»: «Il romanzo italiano a lui contemporaneo, pur nelle sue prove più degne riconducibili alla neoavanguardia, tende a mortificare lo slancio narrativo, con la giustificazione che deve provvedere a demistificare la realtà e scoprire l’inganno del presente. L’operazione è realizzata con drammatica grandezza in pochi casi ma più spesso con mediocre furbizia e penosa avarizia. La narrativa di Germano Lombardi, al contrario, non pone alcun freno al dispiegamento della piena fabulatoria, che prorompe densa e appassionata»: è fin troppo facile osservare che i “romanzieri” del Gruppo 63, lungi dal mortificare lo slancio narrativo (da identificarsi, secondo Guglielmi, nei puri valori tematici, scil. nell’intrattenimento) si studiarono di creare nuove forme di narratività, e che — ripetiamo — quelle di Lombardi non ambiscono ad essere se non simulazioni di racconto: anarrazioni, o «de-narrazioni», come scrive Mario Lunetta nel suo lucido contributo, «paragonabili a delle cluster bombs che depositino le loro schegge ben al di là del target prestabilito. La scrittura lombardiana non racconta, piuttosto ammicca, divaga, mette senza tregua in gioco frammenti di discorso magari prima soltanto accennato, e intanto costruisce una catena di edifici votati alla decostruzione permanente. Lombardi, insomma, è un grande autore drammatico-sarcastico che adopera con sferzante nonchalance le sue drammaticità e i suoi sarcasmi; e sempre, in fondo alla sua tagliente ironia, ai suoi doppi sensi, ai suoi intelligentissimi jeux de mots spande i suoi fetori una palude di tragedia in cui annaspano i suoi personaggi bislacchi». E prosegue, con l’acume e la persuasività argomentativa che gli son proprî: «Uno stile del tutto privo d’avventura e di vistosità, in un autore che paradossalmente si picca di essere un tessitore di avventure esistenziali, erotiche, politiche, truffaldine, piene di ignominia, tutte ridotte in porzioni di quotidiano degradato; si direbbe, tranquillamente collaudato in una sorta di sotto-koiné, ‘espressivo’ soltanto ai fini minimi della ‘comunicatività’ più puntigliosa e insieme più maledettamente ambigua, senza fratture sottolineate o aperte intenzioni di sfida a chi legge. Lombardi non rischia mai di accumulare materiali per poi disfarsene, o agirvi sopra in tempi successivi a definire la curva di una storia, tagliarne il profilo sotto gli occhi del fruitore. Egli offre soltanto morceaux di storie, meglio blocchi di eventi già confezionati, che sembrano esaurire in sé, nel fatto stesso di essere accaduti, ogni missione a posteriori, ogni applicazione interpretativa».
Tema sul quale anche Francesco Muzzioli, in Germano Lombardi e l’antiromanzo, appunta il proprio ingegno critico: «c’è qualcosa di anomalo — afferma il teorico della letteratura — alla base della narrazione lombardiana, qualcosa che recalcitra […] allo schema di fiction. Precisamente, secondo le diverse fasi che adesso affronteremo, qualcosa di meno e qualcosa di troppo. In ogni caso, per difetto o per eccesso, Lombardi sottrae sempre all’‘indiscrezione’ del lettore il nocciolo essenziale. A dirla in estrema sintesi, la ‘beatitudine’ (la Beatrix) del reale appare solo per scomparire, oppure risulta deludente. Dopo un po’ il lettore di Lombardi capisce che non raggiungerà nessun porto, semplicemente perché la navigazione è infinita. E capisce che il vero contenuto non è affatto quel quid che veniva cercando, bensì la ricerca stessa e il suo percorso plurale, aperto e contorto».
Ferro offre una compiuta e suggestiva ricognizione dell’unica silloge poetica lombardiana, La ballata dello zio Lucas e altre con una nota dell’attore Kean e un commento inedito e falso di William Shekaspeare, apparsa nel 1979 per i tipi dell’industriale fiorentino Mario Luca Giusti, editore quell’anno anche del Pinocchio di Carmelo Bene. Lombardi, avverte il critico, «costruisce i suoi testi secondo la logica enigmatica e beffarda dello scarto, del décalage, innestata talvolta sullo sfondo di pratiche ricorsive, che si realizza con grande consapevolezza anche al livello lessicale […]. Nei testi narrativi in prosa di Lombardi la sequenza degli eventi narrati innesca alla prima lettura, perfino nell’interprete più avvertito, l’impressione che prevalga una logica puramente arbitraria, anche nel caso di un’opera invece molto rigorosamente costruita, come il romanzo d’esordio Barcelona, dove il disorientamento viene indotto per una ragione di segno contrario a quella dei testi poetici, ossia per il fatto che gli stacchi tra i pieni narrativi non vengono denunciati dalla separazione sulla pagina, ma si presentano nel testo della prosa in assenza di soluzione di continuità, ad esempio, dal piano onirico a quello della veglia, senza essere annunciati o demarcati, fatta salva naturalmente la simmetrica partizione della storia in tre blocchi di sei capitoli. Nella raccolta poetica si può dire che invece tale effetto di frammentazione e spiazzamento venga sottolineato e reso più drastico dall’uso del découpage, con un effetto intensificato di smarrimento nel lettore, condotto in una vicenda che pare procedere a sbalzi, sostenuta nella sua claudicante andatura dall’uso iterato di moduli retorici (l’allocuzione diretta, l’uso degli epiteti e degli stilemi del ‘poetese’) apparentemente forti, in realtà destabilizzati alla base».
Aggiungono tratti notevoli alla figura dell’uomo e dell’artista i ricordi e le testimonianze di Orio e Martina Vergani (nipote e figlia di Lombardi), Giulia Niccolai, Maurizio Spatola e Nanni Cagnone; mentre un quartetto di giovani studiosi s’incarica di gettare più d’un seme di ricerca: Jacopo Marchisio esamina con rigore e puntualità parte della produzione teatrale; Andrea Tullio Canobbio isola «alcuni aspetti (grafici, fonetici, morfologici e lessicali) della lingua di Lombardi, per illustrare meglio l’oscillare tra i due poli, tra precisione descrittiva e frastuono mistilingue»; Irma Manganelli dimostra convincentemente la continuità tra i romanzi e le opere teatrali, continuità che «trova un esempio significativo nel personaggio di Antonio Tre, presente in alcuni capitoli del romanzo che è forse il capolavoro di Lombardi, Il confine (Milano, Feltrinelli, 1971), e poi protagonista, qualche anno dopo, di tre pièces radiofoniche inedite e molto brillanti, connesse proprio dalla sua figura e intitolate collettivamente con l’estrosa etichetta Tre storie di Tre»; infine Stefano Giordanelli ripercorre le alterne vicende della collaborazione di Lombardi all’«Espresso» (1971-1983). Tutti fornendo dati e strumenti indispensabili alla (ri)scoperta dello scrittore.
Da "Le reti di Dedalus", estate 2011
martedì 2 agosto 2011
Crisi nel Veneto
Cerini svedesi carte ruvide vetrioli
accensioni mancate seguono
altre accensioni mancate seguono
c’è umido nel capannone
e in quello a fianco vuoto,
divise indossate da ossa di soldato
scatole di fiammiferi fradici
presidiate ai cancelli sbarrati
fiamme d’ira fiammelle speranzose lacrimose vedove
mariti in corteo funebre figli all’università
mutui subscritti subprime
subacquee apnee attese di ministri
cuochi di minestre insipide.