Recentemente ho avuto modo di leggere Scritture a perdere. La letteratura negli anni zero di Giulio Ferroni (Laterza, 2010).
Devo ammettere che poche altre volte, visto l’autore, mi è capitato di leggere pagine tanto carenti di significato e di interesse.
Il libello appare in tutto e per tutto come una dissertazione liceale sulla letteratura contemporanea, anche a una lettura a salti come è stata la mia. Ammetto di non essere riuscito a sorbire tutto: fin dalle prime righe è chiara l’impostazione superficiale e c’è davvero da augurarsi che a redigere il testo sia stato un sottopagato ricercatore della Sapienza, Facoltà dove Ferroni è ordinario di letteratura italiana.
È anche difficile scrivere una qualunque forma di critica a questo testo: tanto sono sorpassati gli argomenti che una critica finirebbe essa stessa per essere insignificante. Per fare solo un esempio, aprendo una pagina a caso: “… con romanzi fluviali, la cui velocità di scrittura è resa particolarmente agevole dal computer, che tra l’altro permette anche giochi di copia-incolla, con la possibilità di appropriazioni e riciclaggi da Internet di testi di varia origine raramente identificabili (riciclaggi sempre giustificabili rinviando alle teorie dell’intertestualità, del postmoderno e della combinatoria universale)”.
Si rimane a bocca aperta, questo è quanto.
Per inciso, d’Annunzio – tanto per fare un altro esempio a caso - era solito “riciclare” testi altrui, ma lo faceva direttamente dai libri, vista l’impossibilità di usare la rete.
Tanta distanza dalla contemporaneità è abbastanza grave per un comune cittadino, figuriamoci per un docente universitario.
Come dire che negli anni Zero (anni Dieci ormai) la Letteratura è morta, ignorando che internet ormai non si scrive più con la I maiuscola, quasi fosse un’entità estranea con personalità propria, ma che è una parte integrante dell’esistenza degli individui (occidentali, quantomeno).
Bisogna tornare a distinguere la produzione letteraria dal mercato letterario; senza avere chiara in mente la distinzione si potrebbe facilmente concordare con il ragionamento di Ferroni.
Il vero problema, inutile nasconderlo, è la sostenibilità economica delle pubblicazioni, ma nel nostro paese questo è un problema vecchio almeno quanto l’editoria. Che poi la comunicazione di massa stia imponendo nelle classifiche di vendita il ricettario di una sconosciuta giornalista di emittente privata è fatto acclarato e di cui ci si può dolere, ma intanto qualcuno quei libri li compra sulla scia della notorietà dell’autore.
Trovare oggi un solo campo dove ciò non accada è impossibile. L’unica speranza – guarda caso - la dà proprio la rete, quel macchinario infernale che moltiplica la spazzatura letteraria in circolazione, l’unico luogo però dove una forma di promozione a costo zero è ancora pensabile.
Dal punto di vista della produzione letteraria invece non vedo la tabula rasa descritta da Ferroni, vedo più che altro che gli autori rappresentativi di questo tempo non vengono pubblicati, semplicemente, che non vuol dire non esistano o non scrivano. È una forma di ottundimento, certo, di controllo sociale, d’altronde la realtà oggettiva ci racconta di una quasi totalità di editori “forti” che fanno capo sempre agli stessi imprenditori e di una galassia di microeditori che nulla possono e che tutto pubblicano, purché a pagare sia l’autore.
Nulla di nuovo, non c’era bisogno di scriverci un libro e di pubblicarlo aumentando la ridondanza.
La letteratura del Novecento è superata e non c’è niente che si possa fare in questo senso, è un avvenimento naturale che la nostalgia non può invertire. Così come la nostalgia non dovrebbe diventare patina cerulea sulle lenti attraverso cui si vede il mondo.
Detto questo, non è la prima volta nella storia che la letteratura – quella vera - si infila nell’ambiente underground e lì si sviluppa come una muffa in una cantina buia e umida per poi riemergere quando i tempi sono migliori. Banale evidenziare che se non si va a curiosare in quella determinata cantina non si troveranno tracce di muffe.
Quella cantina oggi è internet, un mezzo grazie al quale gli autori si tengono in contatto e possono informarsi sulle produzioni degli altri, sui fermenti, sulle idee che vengono condivise per formare l’intelligenza collettiva, possono raggiungere un certo tipo di pubblico e farsi conoscere anche al di fuori dell’ala protettiva di un editore.
Oggi per un autore è possibile prima trovare autonomamente lettori nel web, e poi – grazie a questo - magari trovare un editore. Una manciata d’anni fa non sarebbe stato possibile.
Credere che la letteratura contemporanea sia quello che si trova in libreria dimostra una certa ingenuità. Quello che si trova in libreria è quello che si trova in libreria; se a febbraio non ci sono ciliegie in Italia non significa che altrove – dove il clima è favorevole - non stiano maturando o siano già mature.
La Letteratura oggi è anche internet, e i veri giochi sono quelli che gli “accademici” fanno trasformando semanticamente una citazione in un’azione di riciclaggio di testi ignoti, snobbando la velocità della scrittura che si adegua ai modi del proprio tempo, al ritmo della contemporaneità asciugando il linguaggio, deliricizzando la narrazione, riducendo drasticamente la lunghezza dei testi, e sparano a zero su quello che probabilmente faticano a comprendere.
Non per questo i processi evolutivi della cultura si fermeranno, pubblicazioni – scritture a perdere - come questa di Ferroni rendono al contrario ancora più marcata la necessità di un rinnovamento anche del panorama intellettuale italiano.
Naturalmente a tutto questo c’è da aggiungere la poca voglia degli autori di infastidire l’editore con argomenti delicati o scomodi, lo scandaloso livello culturale medio in questo paese e gli investimenti inesistenti per rimediarvi, il quindicennale problema della concentrazione di potere politico e mediatico nelle stesse mani, lo stato pietoso della televisione pubblica, gli ostacoli alla diffusione e al libero accesso alla rete, il disfacimento della scuola, la mancanza di mecenati e di critica coraggiosa. Ma è un altro, lungo discorso.
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