9. Amelia Rosselli
Se per il vino che avevo bevuto fino a tarda sera barcollavo con le mani
nelle capella e sbattevo contro dei pali della luce, contro delle gomita
dei viandanti che mi contemplavano dalla bottega del uva; se perseguitavo
i miei deliri dentro della gabbia dell’ordine, dentro della prigione squamosa
dei miei diti giovanili col mio sguardo colmo di sequoie; se il carrozziere
della rivoluzione segava e saldava il pane dei poveri molto puzzolente car
il sciovinista ha il tempo da perdere; se casualmente mi ritrovavo a sborsare
più del dovuto contro del mio volere depositando così tanto arrabbiatamente
la pelle sopra del banco dell’ingiustizia; se davo un calcio alla trottola che
giammai si fermava con parole d’imploro accanto al bavero della tua giacca
accusabile ma un poco giallina; se io ero solidale con il grido delle civette
e la platea semi vuota non voleva partire senza prima denudare il corso delle
mie accessioni; se mi ero conquistata per me la gioia dell’apparizione neutrale
per tenere per me le cose tu non facevi per me, tutte le cose tu evitavi gaiamente;
se il leone divorava pezzo dopo pezzo il mio cuore dentro del petto senza ch’io
feci nulla per vietarlo car la tua bocca porosa e imbelle me lo vietava molto
perentoriamente; se per pura misavventura lo stelo dell’archivio protuberava
dissennatamente fuora della cinta urbana e la farfalla subacquea s’abbronzava
severissimamente dentro del fango ribelle a tutti i limoni sinuosi e a tutte le
consacrazioni sprecate e immani; se io mi nascondevo dietro del velo taurino
degli altri e talvolta mi medesimavo dentro del turbamento degli altri sperando
calorosamente vadino in malora con vocabole oscene nascoste di tra le
pennella urbane del tuo franco zittire i carri al pascolo in questa città brutale
dentro delle sue fognature; se dentro delle tue pulchre fognature le mie orride
sognanze scavalcano i pugnali trascendentali dell’orrida impurezza degli orridi
condomini che ristagnano nelle sue nida di correità; se io fischiavo per te e ciò
non è che la bellezza di una sonaglia concorsuale prosciugata dal fruscio della
magnetofona; era solo per instillarti il rancore premuroso dei condomini e delle
urbane pennella.
Da "La poesia e lo spirito", 26 agosto 2010
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