4. Carlo Lucarelli
Cinzia di Tor Tre Teste tossisce, si passa la lingua sui denti, una, due, tre volte, mordicchiandosi il labbro superiore fino a farlo sanguinare, poi ingoia il sangue e inizia a mulinare la sua Speedy Monogram della Red Apple stringendo il laccetto di plastica come un guinzaglino. Fa così ogni volta che ha un pensiero sinistro, o che qualcosa di grave sta per accadere. «Chi credi di essere, una sensitiva? È meglio che la pianti con le tue cazzate!» le ripete sempre con sarcasmo Diego di Testaccio, il ragazzo con cui sta ormai da più di due anni, facendo scricchiolare talora le Pakerson Classic, talaltra le Church’s modello Burwood sui vialetti di ghiaia dell’università dove si è iscritto solo per far tacere sua madre, una vecchia professoressa di greco in pensione che non lo perde mai di vista, spiandolo da dietro alle fessure ovali dei suoi occhietti a mandorla, eredità di suo nonno, cinese di Canton trasferitosi in Europa subito dopo la guerra cino-nipponica per aprire una catena di ristoranti e di tolette per cani che assurse agli onori della cronaca per una serie di omicidi su cui si trovò ad indagare il padre di Diego di Testaccio, uno con l’ulcera gastrica e con il fuoco di Sant’Antonio che gli causava dei dolori lancinanti sulle spalle e lungo l’intera schiena, ma con un fiuto che avevano pochi investigatori, all’epoca. Lui e la madre di Diego di Testaccio s’innamorarono pazzamente mentre lei gli spalmava sulla schiena un balsamo descritto in un testo ionico di farmacopea che lei aveva scovato tra i fogli di guardia di un codice antico.
Valeria di Valle Canestra continua a tormentarsi l’orlo dei 501 Standard Fit e le frange dei polacchini Givenchy fingendo di reprimere prima un rutto poi uno sbadiglio, perché sa che cosa vuole Cinzia di Tor Tre Teste, vuole chiederle di entrare a farla insieme, come facevano da bambine nel bagno della scuola, e a lei verrà l’angoscia perché lì per lì non saprebbe prendere una decisione: l’afrore di ammoniaca la disgusta, ma al tempo stesso la attrae, la seduce in maniera irresistibile, «Smettila di rimestare nel piscio!» le dice sempre sua madre. E frattanto ha una gamba che trema. Le trema talmente, la gamba, che un rasta di passaggio le chiede se per caso si senta male, se ha bisogno d’aiuto, perché una gamba tremare così non l’ha mai vista in vita sua, dev’esserci per forza qualcosa che non va, per forza. Valeria di Valle Canestra pensa ma vedi questo, credendo sia il guardiano, che le sta dietro da quando l’ha vista uscire da un cesso con un seno di fuori; poi: «Oh, ti ho chiesto qualcosa? Eh? Ti ho chiesto qualcosa? No. Allora fai dietrofront e esci dal bagno delle donne! Quello dei maschi è occupato? Cazzi tuoi!» risponde lievemente seccata, tornando subito a rintanarsi nei suoi pensieri, mentre si sente tra i glutei e fino all’attaccatura delle cosce la stretta sorda delle emorroidi che le viene ogni volta che pensa fitto. «Vorrei ficcarci un palo dentro!» dice sempre a sua sorella Federica di Rocca di Papa quando le chiede se ha dolore. «Smetti di pensare fitto e vedi che ti passa» replica Federica di Rocca di Papa. Invano, perché Valeria di Valle Canestra a smettere di pensare non ci pensa, non ci pensa nemmeno lontanamente.
Katiuscia del Quadraro Vecchio se ne sta in un angolo, la schiena lunga e dritta appoggiata alla parete di maioliche bianche chiazzate di sputi e scritte oscene. Fissa le altre come se le vedesse per la prima volta, e intanto un velo di tristezza le vela gli occhi azzurri, perché sa che prima o poi toccherà a lei, sa che Cinzia di Tor Tre Teste, se Valeria di Valle Canestra si rifiuterà, chiederà a lei di entrare in bagno, e Barbara del Tiburtino III: «Su, non fare la scema, questo è l’unico bagno libero. E poi, un bagno così, quando ci ricapiterà? Ci hai pensato a questo? Di’, ci hai pensato almeno una volta? Da quanto cerchiamo un bagno? E proprio ora che l’abbiamo trovato vorresti…» Ma Katiuscia del Quadraro Vecchio non l’ascolta, alza il bavero della Ralph Lauren e se lo serra stretto intorno al collo come se volesse farsi risucchiare da quell’imbuto di stoffa cremisi, sparirci dentro, per sempre. Un tempo preferiva di gran lunga le Lacoste, perché il caimano era sempre stato il suo animale preferito, ma quei nidi d’ape le irritavano la cute troppo delicata, allora passò senza rimpianti alle Ralph Lauren, altra classe, altra finezza, anche se le trovava un po’ troppo larghe, «a vela» diceva, intendendo «a sacco», o forse «a cascata», chissà.
D’un tratto si sentì un tonfo, e quattro teste rasate irruppero nell’ambiente. Erano a volto scoperto, e Barbara del Tiburtino III spalancò la bocca ed emise un grido talmente acuto che un cane, fuori, latrò per un minuto buono, e anche più, perché era stato l’unico a poterlo sentire, tant’era acuto; questione d’onde, frequenze. Poi chiese:
― Voi volete ucciderci, vero?
― Perché dovremmo uccidervi? ― chiese a sua volta quello che doveva essere il capo, perché era il più alto di tutti, e una cicatrice gli sfregiava lo zigomo sinistro e parte del destro fino all’orecchio traforato di metalli, mentre gli altri tre erano bassi di statura e avevano la pelle liscia come quella dei neonati.
― Come perché? È chiaro, siete a volto scoperto. Se non volevate ucciderci sareste venuti mascherati, magari con le maschere dei presidenti, come in Point Break, o da Topolino e Zio Paperone, come in quel romanzo giallo con un nome di donna nel titolo, scopiazzato da Point Break, scritto dal figlio di quel primario parmigiano che fa venire il latte ai ginocchi al secondo rigo e malgrado ciò vende a sfascio. Mi chiedo come sono possibili certe cose? Chi li compra? E soprattutto: perché? A certe persone va tutto bene, gli arrivano soldi da ogni parte, non bastava il padre primario? Anche royalties a pioggia! Di questo passo dove andremo…
Molto probabilmente voleva dire: «a finire». Ma non terminò la frase che qualcosa la colpì alla bocca dello stomaco lasciandola senza fiato, in un conato asciutto. Era il pugno di quello che doveva essere il capo, perché era troppo alto, rude e violento per non esserlo, mentre gli altri tre tacevano pendendo dalle sue labbra. Le si avvicinò e le soffiò all’orecchio:
― Basso, tarchiato, fighettino, un po’ flatulento, esse blesa, quando cammina alza i talloni e pende leggermente a sinistra, Rolex Yacht-Master II al polso destro, tenuto leggermente lento, allacciato al quarto o al quinto buco, jeans Diesel a bottoncini d’acciaio, tranne il primo, gliel’ho fatto saltare io con un calcio perché rompeva troppo i coglioni. Dov’è?
― T’ammazzo, figlio di puttana! ― esclamò Katiuscia del Quadraro Vecchio senza troppa convinzione, pizzicandosi la cintura Holl d’alcantara. Le fece eco Cinzia di Tor Tre Teste, cui l’orrore e la tensione esplosero dentro. E fece quello che faceva sempre quando si trovava in uno stato d’eccitazione. Cominciò a cantare una canzone di Sergio Bruni, isterica e sonora, senza riuscire a fermarsi. Ci aveva perso più di un marito, per quello.
― Reazione nervosa, eh? Va bene. Ricomincio da capo. Basso, tarchiato, fighetto, un po’ flatulento, esse blesa, quando cammina alza i talloni e pende leggermente a sinistra, Rolex Yacht-Master II al polso destro, tenuto leggermente lento, allacciato al quarto o al quinto buco, jeans Diesel a bottoncini d’acciaio, tranne il primo, gliel’ho fatto saltare io con un calcio perché rompeva troppo i coglioni. Dov’è? Parla, se non vuoi crepare prima del tempo. La vedi questa? ― e le mostrò una scimitarra turca appena lucidata che sapeva d’Amphora Verde Rich Aroma, infatti c’era attaccato un vecchio grumo di tabacco secco che svolazzava per lo spostamento d’aria che si era verificato in seguito al movimento di qualcuno o qualcosa.
― Aspetta un po’, ti riferisci al rasta di poco fa? ― mormorò Barbara del Tiburtino III scuotendo la testa incredula.
― Sì, perché? ― fece lui curioso, sollevando la scimitarra sul collo tremante della ragazza con uno sguardo che non prometteva niente di buono.
― Porca troia! E non potevi dirlo subito che cercavi il rasta? Un rasta si riconosce dai capelli, mica dal Rolex e tutte le menate che hai messo in fila!
― Allora? Dov’è? Sputa, o ti pentirai di essere nata. La vedi questa? Vuoi che ti tronchi il collo? Credi mi ci voglia molto per farlo? Eh? Credi mi ci voglia molto per troncarti il collo?
― Primo cesso a destra. È mezz’ora che è là dentro, non senti la puzza?
― Cristo se la sento! Avrà ingoiato un gatto morto! Grazie infinite.
― E di che? Comunque questo è… il bagno delle donne ― aggiunse poi con una punta di esitazione mista ad orgoglio femminile.
― Ah sì? ― rispose lui imbarazzato rinfoderando la scimitarra. Ma era chiaro che presto o tardi l’avrebbe risfoderata. Chiarissimo.
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