Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

sabato 16 dicembre 2017

Il blues di Lara



È un libro strutturato come una jazzistica jam session, il romanzo “Conversazioni sentimentali in metropolitana” di Elena Bibolotti, edito da Castelvecchi. 

Sui riff di Roma e delle sue stazioni di metropolitana che ricorrono ad ogni capitolo in una tensione ritmica urbana, suona il mood di Carola, scrittrice insoddisfatta di racconti erotici, ex alcolista, ex imprenditrice, ex moglie di un pallone gonfiato, sessualmente fluida, sentimentalmente atarassica, che ha ricomposto i suoi pezzi rotti, nell’ordinarietà borghese della sua relazione fissa con il suo ex analista, che la mantiene, la possiede, la “guida” in questo suo riassestamento personale, essendo padre, amante, analista e assicurazione pensionistica. 

Un mood rassicurante, stato d'animo fittiziamente placato, e proprio per questo insoddisfacente. Il detonatore della sua inquietudine sopita è l’incontro apparentemente casuale con Lara, ruspante, arruffata, bella e coatta, sensuale e conturbante ragazza, che sul riff della metropolitana, rompe il mood di Carola, con una serie di fill, brevi incursioni capricciose, accattivanti, ma sempre irrisolte, lacunose, che affascinano Carola, la turbano, la destabilizzano, ma soprattutto innescano un dialogo a compartimenti stagni, il tentativo di creare un tessuto in comune, l’ossessivo desiderio di scoprire sé stessa attraverso l’altra, la crescente necessità di salvarla, per salvarsi come passando attraverso uno specchio. 

Lara è una borgatara dedita alle truffe, marchettara obbligata dal fratello pappone e violento, mentitrice su tutto ciò che riguarda lei e la sua famiglia, vittima, ormai “stoccolmizzata”, di violenze che subisce fin da quando era bambina.


 S’intesse qui, potentemente, questa sincopata jam session, nel tentativo di scoprire le carte, la verità, nella disperante illusione di creare un’apertura salvifica, che realizzi un insieme armonico, nel quale le due parti, Carola e Lara, suonino finalmente in piena conquistata libertà le loro esistenze. Non avverrà mai. Tra inganni, trappole reciproche, esche sentimentali e sessuali, Carola s’impania e si districa, viene avviluppata e taglia, recide, sovverte, quasi ineluttabilmente, diviene lei stessa l’oggetto della liberazione che sogna e ordisce per Lara. 

Fino ad una conclusione rarefatta, che prelude ad un nuovo inizio per Carola, lasciando però nell’aria l’eco malinconica del blues di Lara, sospeso e irrisolto, struggente come una melodia mai eseguita.

francescorandazzo








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Elena Bibolotti
Nasce a Bari. Diplomata all’Accademia Nazionale Silvio d’Amico lavora per diversi anni nell’avanguardia teatrale. Imprenditrice per il web e la didattica musicale, assistente per Master in editoria della Luiss Guido Carli, consulente editoriale. Pubblicazioni precedenti: Justine 2.0, Pioggia Dorata, Mr Perfect, Il pusher, Emma.



CONVERSAZIONI SENTIMENTALI IN METROPOLITANA

di Elena Bibolotti


  • GenereNarrativa moderna e contemporanea
  • Listino:€ 16,50
  • Editore:Castelvecchi
  • Collana:Emersioni
  • Data uscita:21/09/2017
  • Pagine:160
  • Formato:brossura
  • Lingua:Italiano
  • EAN:9788832821222

venerdì 1 dicembre 2017

"Geco" di Gualberto Alvino



Un mattone dietro l’altro [another brick in the wall, roba vecchia] le maestranze hanno eretto muri portanti, collegamento tra fondamenta della tradizione e proiezione verticale del grattacielo, seguendo le leggi della fisica, il filo a piombo, maneggiando cazzuole e secchi colmi di malta/cemento. Hanno sudato fatiche evaporanti, canottiere che incorniciano petti villosi sono zuppe ormai. Intrise, meglio. Verranno strizzate e lavate l’ennesima volta, ma la loro destinazione d’uso non cambierà nel futuro prossimo e nemmeno nell’anteriore. Meglio intrise, simbolo d’appartenenza a categorie tutto sommato immutabili procedendo nello spaziotempo.
«Capisci adesso perché detesto i romanzi con un costrutto? Le storie potenti, parafrasabili, forzate su tragitti unici, dritti? E perché ho sempre preferito la più futile delle divagazioni alla scena madre, il timbro al significato…»
Il geco.