Faceva un tempo da schifo, un freddo che spaccava le ossa, vento tagliente, pioggia a gocce chiodate e un cielo scuro come l'ansia. I mobili Aiazzone comprati vent'anni prima si sgretolavano sotto la morsa del gelo che entrava dagli spifferi grandi come canali degli infissi scalcagnati delle finestre, due delle quali al posto del vetro c'avevano due tavole di compensato attaccate col silicone, ormai semi scollato. Il televisore trasmetteva ininterrottamente un effetto neve frusciante, il decoder non ce l'aveva, un apparecchio nuovo manco a parlarne, tanto valeva spegnerlo. Ma sua suocera si ostinava ad accenderlo e a passarci le giornate davanti, con lo sguardo fisso e un sorriso ebete, da rincoglionita qual'era. Per rispetto a sua moglie la lasciava fare. Tanto tra un po' avrebbero tagliato la corrente elettrica e sua suocera avrebbe fissato lo schermo spento. I bambini, per così dire visto che erano adolescenti animaleschi, s'accapigliavano, come sempre, dandosele selvaggiamente, ma non litigavano, erano esuberanti, così diceva sua moglie, sfogavano e basta, era il loro modo di giocare. Almeno così s'accaldano e non sentono troppo 'sto freddo pazzesco, pensò. Sua moglie rimestava il pentolone grande, nel quale bollivano da ore due carcasse di pollo. Comprate al supermercato. Il marketing s'era adattato alla crisi. Incellofanate, su vassoietti di polistirolo bianco fulgido, sotto la luce del bancone macelleria, erano apparse queste meraviglie, a sessanta centesimi al chilo, ti portavi a casa un pollo, senza petto e senza cosce. Ma almeno ti sembrava di potertelo permettere, un pollo. Visto che erano in cinque a mangiare, per le feste sua moglie ne aveva comprati due. Avevano il pregio che a forza di rosicchiarli e succhiare le ossa, ti stancavi e ti passava la fame. In più c'era il brodo, che era sempre meglio di quello dei dadi, che tra l'altro erano più costosi. L'odore era buono, faceva venire l'acquolina in bocca, ma questo era uno svantaggio, perché quando tutto arrivava in tavola, il niente che era straziava l'anima e il corpo. Ciò nonostante sua moglie canticchiava. Che cazzo c'hai da cantare, pensava Natale, siamo nella merda, mangeremo quattro ossa e una tazza di brodo; tua madre è rimbecillita davanti al televisore scassato e ogni tanto chiama tuo padre, che è morto da vent'anni, e lo rimprovera per qualche minchiata che avrà fatto quarantanni prima e che è una delle poche cose che ormai si ricorda; i tuoi figli, i nostri figli, sono due idioti violenti che a scuola vanno malissimo fin dall'asilo nido e il buongiorno si vede dal mattino; tu sei patetica con quella camicia rosa coi volant, attillata sopra la ciccia da quarantenne esausta, quella pantacollant ti fa un culo a mappamondo che a te ti fa sentire la cugina di Jennifer Lopez ma tanto io lo so che quando te la togli la forza di gravità te lo schianta, e io sono un fallito disoccupato, a cinquantanni passati, c'è la crisi, che ci vuoi fare, passerà, sta già passando: si come no, sopra di me sta passando, come un tritacarne e che cazzo c'avrai da cantare, eh? Boh.
Gli girano i coglioni a Natale e per non litigare con sua moglie, per non ammazzare sua suocera e buttarla nella pentola a tocchi insieme alle carcasse di pollo, per non legare col filo spinato quei figli che a tredici e quattordici anni hanno testosterone e idiozia pompati dappertutto, acchiappa la giacca a vento ed esce. Torno più tardi. Copriti bene che fa freddo, gli fa la moglie. Sì.
Il freddo, così di colpo, come una tavolata sulla faccia, appena fuori, lo fa barcollare. Ma è troppo incazzato e cammina a passi lunghi e saltellanti, una specie di corsa da struzzo nella galleria del vento, un due tre, un due tre, un due tre... Sbuffa anche, sbuffa e smadonna, sbuffa e smadonna. Birubìp. Birubìp. E si ferma. Un cazzone col suv. Ha messo l'antifurto, col telecomando, ma avrà schiacciato due volte oppure con 'sto freddo l'impianto elettrico dell'auto è andato in pappa, fatto sta che il tipo si sta allontanando, ma l'auto l'ha chiusa e riaperta, senza accorgersene. Natale lo vede sparire dentro a un portone, carico di pacchi infiocchettati e buste griffate. Stronzo, pensa. Gli fa rabbia, gli fa invidia. Però se lo ricorda che anche lui fino a qualche anno prima, tornava a casa con i pacchetti regalo, senza Suv e i regalini erano modesti, ma tutto aveva una sua dignità, Natale aveva dignità, la sua vita, piccola ma dignitosa.
S'avvicina all'auto. Sbircia intorno. Non c'è nessuno. Apre la portiera ed entra. Si siede al posto di guida e poggia le mani sul volante. Quant'è alta 'sta macchina, paiono camioncini 'sti Suv. Esagerati. Però è figo starci sopra. Ti senti forte. Potente. 'Na stronzata, ma fa bene. A uno come a me fa bene davvero, pensa. Un po'. Un po' poco, ma adesso mi pare tanto. Che fregatura, pure 'sto Suv. Nel calore dell'abitacolo, sospira, guarda avanti a sé il parabrezza appannato. Si addormenta. Senza sogni, come se scivolasse dentro un tubo nero e caldo. Di botto una musichetta esasperata invade il vano dell'auto, Natale sobbalza, si sveglia, si rende conto che il tipo ha dimenticato il cellulare, apre la portiera e schizza fuori. Corre via. Ma fa in tempo a incrociare l'uomo che sta andando a recuperare il telefonino. Giusto in tempo, pensa, mi mettevo nei guai ancora di più, e tanto non la rubavo, non so nemmeno come si fa a farla partire senza chiavi, e poi adesso con 'sti gps, pure se fai cento chilometri ti rintracciano. Soprattutto non sono un ladro, ancora no. Sono onesto. Un coglione fottuto, ma onesto, io. Fino alla fine. Non serve a niente, se sto come sto, ma sono così, colpa di mia madre, di mio padre, di tutti quei buoni principi che mi stanno dentro e addosso e non si scollano nemmeno se sono disperato, come adesso.
Le campane elettriche di una chiesa vicina suonano perdendo colpi.
Natale ricomincia a correre stile struzzo, aggiungendo dei movimenti di braccia e colpi di mani sulle cosce per non farle gelare. E corre e salta. Non se ne accorge subito del cane che lo insegue. Una specie di cane bastardo con un ricordo antico di cane lupo nella testa e nella coda, con un corpo a botte, di colore smerdato, che testimonia generazioni di meticciato trombante. Poi il cane lo supera, in un guizzo di esaltazione canina, corre un poco avanti, si ferma, salta, gli va incontro, salta ancora, riparte avanti. Per un attimo Natale si spaventa, pensa che il cane voglia aggredirlo, ma subito dopo capisce che quel cazzone vuole giocare. Perciò continua a correre, a saltare, a battere le mani, agitare le braccia, col cane che lo imita, corre, salta e invece di muovere le braccia, scuote la testa e agita le orecchie. Ogni tanto incrociano un Babbo Natale di plastica gonfiabile e Natale, senza smettere di correre gli molla un calcio o uno schiaffone in faccia.
Si fermano davanti a un cassonetto che sembra non puzzare, tanto è il freddo. Natale si piega e respira affannato. Gli duole il fianco. Suda persino. Il cane si ferma, gironzola, sbuffa, sniffa il cassonetto, alza la zampa e gli schizza su una pisciatina. Natale continua il gioco d'imitazione tra lui e il bastardone, piscia anche lui sul cassonetto. Ahhh. Ci voleva. Sente di nuovo il freddo. Una specie di manina gelida sul collo. E si volta di scatto. Nessuno. La strada è deserta. La luce giallastra dei lampioni è ovattata da un'infinità di macchioline bianche. Nevica. A Natale nevica. Quando cazzo mai ha nevicato qui? Ma nevica. Fa un freddo bestiale e nevica. Bello. Guarda il cane che s'è seduto e con la zampa si da colpetti sulle orecchie, a scacciare i fiocchi che lo colpiscono lievi e freddi. È neve, dice Natale al cane. È solo neve. Non avere paura. È bella da vedere, no? Ti piace?
E il cane gli risponde. Alza il muso e mugola, mugola forte, mugola tanto fino a ululare. Ulula a lungo. E anche Natale ulula. Ulula, ulula. Uuuuuuhhhhhh. Uuuuuuuuuuuhhhhh. Da soli, nella notte, come un canto lungo e modulato, soli e insieme, ululano, cantano come bestie, cantano nella neve, bianca come lo sconcerto che li attraversa, cantano, mentre Gesù sta nascendo.
© Francesco Randazzo - 2009