Gigliola Funaro è attrice teatrale: ci piace ricordare, fra i suoi spettacoli, Le Fiabe del Basile dov’era accanto a Roberto Benigni e Lucia Poli, La Villanella Rapita opera pastiche nella quale le parti in prosa erano affidate a lei e a Silvano Bussotti mentre di quelle in musica si occupavano interpreti lirici e Amara…Dolce Vita, esperienza che la vedeva sola in scena recitare e cantare testi - fra gli altri – di Pasolini e Moravia mentre molte melodie erano di Carpi. Ḕ in quest’occasione che nasce il suo sodalizio col pianista e musicista Angelo Pelino. D’altro canto, la Funaro ha realizzato più d’un centinaio di servizi d’attualità per RAI1 e RAI2. Ora noi oggi siamo portati a sentire i linguaggi che questi due modi di operare comportano non solo molto diversi fra loro ma addirittura contrastanti. Per il nostro gusto la mimesi teatrale ha sempre qualcosa di profondamente stilizzato mentre il reportage ci restituisce (o almeno ci sembra che ci restituisca) il reale nella sua immediatezza, nel momento stesso in cui si dà ai nostri sensi. Nondimeno è proprio da queste due attività che nascono i documentari di Gigliola Funaro. Come dicevamo il servizio documenta il reale nella sua immediatezza; svilupparlo significa cercare di documentare quel reale medesimo nella sua complessità. Ma quale porzione del reale interessa davvero la nostra autrice? Ḕ ovvio. il teatro. E allora i suoi documentari si sforzeranno di afferrare la complessità dell’evento teatrale. Ḕ infatti un luogo comune fra i più triti dire che i mezzi mimetici del teatro sono limitati, semplicemente essi sono rigorosamente artigianali, il che nulla toglie alla loro ricchezza, al loro spessore, a un senso della stilizzazione spesso geniale.
I documentari della Funaro cercheranno quindi di parlare delle molte e diverse attività artigianali che si fondono per dar vita al testo scenico. E così abbiamo avuto un documentario, Le mani di Bice, sul lavoro manuale della sarta che concretizza le invenzioni del costumista;
El Muchacho de Buenaventura sul commediografo Aldo Nicolaj che affronta il ruolo del testo scritto in uno spettacolo e ora Mariano Rigillo e la Sua Famiglia Allargata all’Antica Italiana su un altro elemento fondamentale del palcoscenico: l’attore.
L’impatto emozionale d’uno spettacolo dal vivo non potrà mai essere restituito dalla testualità filmica o televisiva. Tantomeno da un documentario che, fra l’altro, ha spesso ben precisi limiti di durata. Come può porsi allora il documentario davanti all’evento teatrale? Ad esempio come fa la Funaro attraverso uno degli artifici principi – va da sé che in questo caso usiamo il termine artificio non nel senso di qualcosa di esagerato o di falso ma nell’accezione di mezzo stilistico a disposizione dell’artifex – del linguaggio filmico fiction e non fiction : il montaggio. Qui il montaggio di riprese eterogenee istituisce confronti, dà vita a parallelismi, lega il passato al presente, crea un senso che non tenta in alcun modo di restituire il teatro ma riflette su di esso. Insomma, in questo documentario su Rigillo e il teatro all’antica italiana il montaggio è struttura fondante. E ne costituisce la vera forza.
Si inizia con Rigillo che festeggia al Maschio Angioino di Napoli i suoi sessant’anni di palcoscenico. Ora, cosa c’è dietro una carriera teatrale di questa durata? La Funaro cercherà di spiegarcelo e di proporne un panorama d’insieme.
Vediamo allora l’attore in giro per Napoli su un taxi che parla della città, del suo lavoro, di sé stesso. A queste immagini si alternano quelle di Rigillo al trucco. Un trucco pesante, avvolgente, che fa del suo volto una maschera. Siamo davanti all’atto primigenio della recitazione teatrale: occultare la propria particolare fisionomia – quella che ci fa immediatamente riconoscere in mezzo a tanti altri – per sottrarci agli obblighi che la vita ci ha imposto e poter finalmente esprimere le nostre pulsioni più profonde, anche le più inconfessabili… Per questo l’intero corpus del documentario si svolgerà fra questi due momenti, a ribadire l’essenzialità in teatro della dialettica uomo-maschera.
Va da sé che, in tanti anni, il percorso di Rigillo abbia avuto varie fasi. C’è quella che potremmo definire “sessantottina”, animata dal desiderio allora assai diffuso di trasgredire. Gli spettatori in età non più verde ricordano bene il Masaniello di Elvio Porta e Armando Pugliese del 1974 (le date che citeremo da qui in avanti si riferiscono sempre a delle rappresentazioni, non mai alla stesura dei testi) dove Rigillo recitava in mezzo al pubblico rievocando una rivoluzione sanguinosa. Nello stesso anno, è uno dei primissimi in Italia a portare in scena un travestito in Persone Naturali e Strafottenti, commedia scritta proprio per lui da Giuseppe Patroni Griffi che ne curò anche la messinscena.. E, aggiungiamo noi, continua a essere trasmesso specialmente da RAI Storia un film che più sessantottino non potrebbe essere: Bronte: Cronaca di un Massacro Che i Libri di Scuola Non Hanno Raccontato di Florestano Vancini, del ’71, dove l’attore, in una delle sue apparizioni cinematografiche, tratteggia con un’asciuttezza inaspettata e sapiente un Nino Bixio spietato fucilatore di contadini in rivolta del tutto al di fuori degli schemi tradizionali.
In qualche modo legata al ‘68 è anche la riscoperta della cultura popolare e d’un commediografo che non ha mai goduto della fama di altri grandi autori napoletani: Raffaele Viviani. Abbiamo già citato Giuseppe Patroni Griffi, narratore, drammaturgo, regista teatrale e cinematografico, una grande figura dello spettacolo e della cultura in genere del Novecento . Il lavoro con lui è stata fondamentale per Rigillo. Fra l’altro, l’attore ricorda che fu proprio Patroni Griffi a fargli scoprire tutta la bellezza e la profondità della creazione linguistica dialettale, la sola capace di afferrare l’autentica realtà del popolo e restituirla con poesia crudele. Infatti il vero argumentum di Viviani non è la solidarietà ma la guerra fra poveri. Rigillo ha frequentato il suo teatro addirittura dal ’67, con Napoli Notte e Giorno in cui Patroni Griffi accorpava due atti unici: Toledo e’ Notte, dove Angela Luce si esibiva in Bammenella, una delle più belle canzoni napoletane, e La Musica dei Ciechi: fino al 2017, con Eden Teatro diretto da Adolfo Arias nel quale l’attore era gustosissimo negli abiti fastosi d’una dama spagnola coi baffi, passando per Osteria di Campagna del’93 di cui curò personalmente l’allestimento.
Proprio in questa stagione cinematografica si è visto il bel film di Roberto Andò La Stranezza in cui viene rievocata la prima nel ’21 del secolo scorso, al teatro Valle di Roma, dei Sei Personaggi in Cerca d’Autore di Pirandello con le reazioni furiose e scandalizzate del pubblico . Il Novecento però è un secolo breve e complicato: le opere teatrali e non che al loro apparire sembrano d’avanguardia basta che trascorrano pochi anni e opla! son già diventate dei classici. Come rappresentare testi di questo genere? Su quali aspetti porre l’accento? Tale tematica è alla base di due messinscene molto diverse d’un teatro nel teatro pirandelliano ancor più estremo dei Sei Personaggi: Questa Sera Si Recita a Soggetto. La prima, nel 1987, con la regia di Patroni Griffi, più drammatica e problematica, più vicina alle rappresentazioni storiche; la seconda, nel 2012, diretta da Ferdinando Ceriani, a detta dello stesso Rigillo, quasi una commedia musicale. Oggi Pirandello, come tutti i classici, è suscettibile delle interpretazioni fra loro più lontane.
Poi l’attore in un Enrico IV, sempre di Pirandello, stavolta diretto da lui stesso, scritturò Anna Teresa Rossini che diverrà la sua compagna. Anche lei ha alle spalle una carriera prestigiosa: è stata nel ’70 Olimpia nell’Orlando Furioso di Luca Ronconi, uno spettacolo che ha fatto epoca; poi la protagonista di Iwona Principessa di Borgogna di Witold Gombrowicz, un classico dell’avanguardia romana (ci si perdoni qui l’indispensabile ossimoro) ai tempi d’oro del Tordinona; e ancora, nel ’72, ha lavorato con Strehler in un Re Lear. Sarà insieme a lei, compagna anche sulla scena, che Rigillo affronterà quello che è un passaggio quasi obbligato per un grande attore: recitare Shakespeare. E Rigillo, signore del linguaggio popolare, lo sarà anche di quello – altissimo – del Bardo di Stratford-on-Avon. In apparenza opposto alla ruvida, immediata pregnanza del dialetto; e invece, in realtà, con essa convergente nel ricercare la viva fonte primigenia del Verbo. Avremo così, nel 2016, un Re Lear con la regia di Giuseppe Di Pasquale, in cui la Rossini è il Fool e nel 2019 un Mercante di Venezia diretto da Giancarlo Marinelli.
Il ’68, il fenomeno tipicamente novecentesco dell’avanguardia che diviene classicità, i classici veri e propri che persistono da centinaia d’anni e pure sono ancora fecondi di nuove interpretazioni…Nella lunga carriera di Mariano Rigillo ritroviamo tutta la vitalità del teatro, summa di attività artigianali nate in un mondo tanto diverso dal nostro e che, cionondimeno, è riuscito a instaurare una dialettica profonda col secolo ormai trascorso da più d’un ventennio già completamente immerso nell’universo della tecnica. E ora? Chi ama o fa il teatro (come d’altronde chi ama o fa il cinema) davanti all’assedio della TV, del computer, dei tablet, degli smartphone, dei devices d’ogni tipo e genere, sente dentro di sé un’ansia sottile, perturbante, di cui è impossibile disfarsi, a causa della quale è impossibile non chiedersi: ce la farà il teatro a sopravvivere? E allora, molto opportunamente, Gigliola Funaro inserisce il brano di un film – Solo No di Lucilla Minimmo del 2019 – che racconta d’un’attrice - la Rossini – che si barrica in un vecchio teatro cadente per impedire sia trasformato nel solito supermercato dal padrone di quelle mura interpretato da Rigillo.
D’altra parte, proprio negli ultimi anni, l’attore ha sempre più coinvolto nei suoi spettacoli oltre che la compagna anche suo figlio Ruben e la figlia di lei, Silvia Siravo. Ad esempio, in una ripresa del 2011 di Erano Tutti Miei Figli di Arthur Miller, colla regia di Giuseppe Di Pasquale, i genitori e i figli sono tali nella vita e sulla scena. Ḕ un’antica tradizione italiana: il primo attore che si circonda sul palcoscenico di tutta la famiglia sua. Dal ’68 al ritorno al passato ? Nient’affatto. Un percorso assai coerente,invece. E proprio nel senso di continuare a contestare il mondo così com’è, le cose così come stanno. Nel ’68 bisognava attaccare i tabù d’una società italiana ancora sostanzialmente clerico- fascista; oggi che la borghesia vuol distruggere il suo passato per proseguire (se ci è permesso parafrasare Pasolini a memoria) è la riscoperta della tradizione a essere in qualche modo rivoluzionaria.
Ah, Gramsci! Gramsci! L’ottimismo della volontà contro il pessimismo della ragione è un’idea ancora assai valida. Specialmente per Rigillo e la Funaro che, nonostante tutto, in fondo in fondo, sono convinti che il teatro ce la farà, che, anche negli incerti anni futuri, continuerà a vivere. E noi non possiamo che essere con loro.