È strana la vita e porta spesso a inusuali scoperte, magari dovute a casi fortuiti, ma sempre scoperte sono, perché altrimenti nulla si sarebbe potuto sapere di fatti e/o di pertsonaggi. Conosco da diverso tempo (una conoscenza solo internettiana) Sandro Damiani, prima abitante a Spalato e successivamente a Fiume, entrambe due graziose cittadine Croate, sulla base delle impressioni che ho ritratto vedendo alcuni documentari televisivi sulle stesse. Ebbene, dopo saltuari scambi di opinioni in cui mi ero fatto solo l’idea che Sandro Damiani fosse il direttore di una compagnia teatrale, questi mi ha dato alcuni cenni della figura di suo padre, approdato in territorio jugoslavo nell’estate del 1948, proveniente dalla natia Calabria, per unirsi alla guerriglia comunista nella guerra civile greca grazie all’appoggio di Tito. È ovvio che l’esperienza terrena di Alessandro Damiani va oltre, ma per evitare una doppia informazione invito a leggere la sua breve biografia riportata in calce. Che fosse giornalista ormai lo sapevo, quello che ignoravo è che fosse anche scrittore, almeno fino a quando il figlio Sandro non me ne ha parlato, invitandomi anche alla lettura di una sua opera, questo “Ed ebbero la luna” finanziato dall’Unione Italiana e dal Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Italiana. Si tratta di un romanzo che ha vinto nel 1980 l’Istria Nobilissima per la narrativa e che rivela una penna dallo stile indubbiamente particolare, tutto proteso allo scopo dell’opera che ha una natura ibrida, nel senso che da un lato è un vero e proprio romanzo e dall’altro è un saggio storico, in cui tuttavia confluiscono discipline anche diverse, come la sociologia e la politologia. Ammetto che la lettura all’inizio mi ha un po’ sconcertato, perché l’opera ben aderente a un determinato periodo storico e a un evento indimenticabile quale è stato il rapimento Moro poco a poco assume le caratteristiche della metafora, quasi a stemperare da un lato la realtà in cui la mente umana che ha vissuto quel periodo potrebbe risultare troppo influenzata dal ricordo e dall’altro per dare spazio a riflessioni che vanno ben oltre il contingente. L’impressione che ho ritratto da una non facile lettura (ma gratificante comunque) è che si tratti dell’autobiografia ideologica dell’autore e se diamo uno sguardo alla sua pur breve biografia possiamo ben comprendere quante speranze, quante delusioni e quanti ripensamenti hanno arricchito, ma anche travagliato, la sua esistenza. In una visione apocalittica dell’Europa che la relega a terra di sconfitte, un deserto di rovine tipico di una civiltà millenaria che ha distrutto se stessa, c’è tutto il percorso ideologico del protagonista che lo conduce a essere critico senza diventare ostile, a comprendere la realtà del momento, integrandosi in essa, nell’essere uomo fra gli uomini – quindi pragmatico - e nel dare corpo al suo desiderio di partecipazione su basi oggettive. Questo mi sembra di comprendere che sia lo scopo principale dell’opera, per quanto Damiani inserisca tante e tali motivazioni di notevole portata, che singolarmente potrebbero già essere la chiave di un romanzo. E se ciò può comportare un’ulteriore difficoltà di lettura, viste le diverse riflessioni che vengono imposte, è pur vero che l’autore dimostra in tal modo di non essere imperativo, ma di lasciare a chi legge il privilegio di trarre le conclusioni che più gli aggradano, e questo è un ulteriore elemento di valore dell’opera, uno di quei libri che nel consigliarne la lettura è opportuno anche aggiungere che sarà necessario più volte prendere in mano, per successive, anche parziali, riletture, perché i concetti espressi sono veramente numerosi.
Renzo Montagnoli
Alessandro Damiani (Sant’Andrea Apostolo dello Ionio, 26 agosto 1928 – Fiume, 17 ottobre 2015) è stato un giornalista e scrittore della Comunità Nazionale Italiana in Croazia. Gli esordi giornalistici del Damiani risalgono al 1946 quando, diciottenne, collabora con Umanità Nova, l'organo dell'Anarchia italiana.
Arriva in Jugoslavia nell'estate del 1948 con un gruppo di giovani volontari italiani, coll'intento di unirsi alla guerriglia comunista nella guerra civile greca, appoggiata dalla Jugoslavia di Tito.
A seguito della rottura tra Tito e Stalin, la Jugoslavia chiude però i confini con tutto l'est europeo e toglie il proprio appoggio all'DSE (Esercito Democratico Greco), guidato dal comandante Vafiadis: quest'ultimo venne arrestato a Mosca, ed il suo posto venne preso del generale Zachariadis. La maggior parte delle migliaia di giovani volontari confluiti da ogni parte d'Europa ritorna quindi nei rispettivi Paesi, salvo un'aliquota di essi che venne perseguitata dai titoisti jugoslavi. Alcune centinaia divengono invece dei sostenitori del dittatore e rimangono in Jugoslavia. Vi rimane pure il ventenne Damiani, che si stabilisce a Fiume e nel 1948, entra nella compagnia di prosa del Dramma Italiano[1], dove conosce Piero Rismondo, all'epoca direttore e regista del complesso teatrale ed in seguito tornato in Austria, da dove era fuggito durante la guerra.
Nel 1950 Damiani sposa Olga Stancich (nata Stančić, nel 1916, nella Fiume ungherese), già cantante e doppiatrice di Marlene Dietrich. Nel 1957, deluso dall'esperienza jugoslava, fa ritorno in Italia.
Dopo nove anni trascorsi nel mondo del giornalismo[2], questa volta deluso dall'Italia se ne torna definitivamente in Jugoslavia coll'intento di contribuire alla salvaguardia del patrimonio linguistico-culturale italiano nell'area istro-quarnerina. Abbraccia le posizioni di Eros Sequi, secondo cui - a fronte delle pressioni nazionaliste panslave, sostituitesi ben presto nella Jugoslavia di Tito, agli ideali del socialismo, ed in assenza di adeguate attenzioni da parte dell'Italia - "bisogna salvare il salvabile", per evitare che del retaggio italiano nell'area non rimangano che vaghi ricordi.
Redattore del periodico Panorama e del quotidiano La Voce del Popolo, insegnerà giornalismo alla Facoltà di Italianistica di Pola dell'Ateneo fiumano e alla Scuola media superiore italiana di Fiume. Collabora con Tv-Capodistria e col mensile fondato da Pietro Calamandrei, "Il Ponte", di Firenze.
Pubblica saggi e libri sulla cultura italiana dell'Istria e di Fiume, romanzi, commedie, varie antologie di poesie.
Gran parte dei suoi lavori sono tradotti in croato ed alcuni anche in sloveno.
1^ Il Sandro Damiani che negli anni Novanta/Duemila sarà direttore della compagnia è suo figlio.
2^ Tra gli altri, collaborerà con Il Pensiero Nazionale diretto da Stanis Ruinas.
Fonte Wikipedia