Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

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lunedì 25 novembre 2013

Giornata internazionale contro la violenza sulle donne


Tre pezzi di teatro contro la violenza sulle donne.

domenica 24 febbraio 2013

Accorrete a voi stessi in soccorso / disprezzate il riposo sul divano...




Accorrete a voi stessi in soccorso
disprezzate il riposo sul divano
uscite incorrete infrangete
fatevi portatori di disturbo
origliate verità dimenticate
e gridatele al vento nelle piazze
Ditevi qualcosa che valga la pena
tramandare ai vostri figli Ditevelo
Ma fate qualcosa fatelo per voi
fatelo perché va fatto non solo
per convenienza Mai per questo
Non accendete candele ai santi
Incendiatevi l'anima e il sangue
Miracolatevi con folle ragione
Perché così sarete viventi
liberi nel giusto esistere
e non invano passerà la vita
e non inutile sarà morire
lasciando non polvere sbiadita
ma scavate tracce da seguire
e il cane del tempo non saprà
distruggervi Vento e pietra siate
Suonatevi in tempo ostinato
Cominciate prima che sia tardi
prima che sia troppo tardi
Cominciate Accorrete adesso
Accorrete a voi stessi in soccorso





* * *


Tratta dal libro:

poesie di francesco randazzo
ISBN  978-88-6682-344-5



Il libro può essere acquistato dal sito photocity.it

oppure dal sito IBS.it



©francescorandazzo






martedì 9 ottobre 2012

Giuseppe Prezzolini - Le regole dell’Italiano


Capitolo I. - Dei furbi e dei fessi


1. I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi.
2. Non c'è una definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto intero in ferrovia, non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente nella magistratura, nella Pubblica Istruzione ecc.; non è massone o gesuita; dichiara all'agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, ecc. questi è un fesso.


3. I furbi non usano mai parole chiare. I fessi qualche volta.


4. Non bisogna confondere il furbo con l'intelligente. L'intelligente è spesso un fesso anche lui.


5. Il furbo è sempre in un posto che si è meritato non per le sue capacità, ma per la sua abilità a fingere di averle.

6. Colui che sa è un fesso. Colui che riesce senza sapere è un furbo.


7. Segni distintivi del furbo: pelliccia, automobile, teatro, restaurant, donne.


8. I fessi hanno dei principi. I furbi soltanto dei fini.


9. Dovere: è quella parola che si trova nelle orazioni solenni dei furbi quando vogliono che i fessi marcino per loro.


10. L'Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l'Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono.


11. Il fesso, in generale, è stupido. Se non fosse stupido avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo.


12. Il fesso, in generale, è incolto per stupidaggine. Se non fosse stupido, capirebbe il valore della cultura per cacciare i furbi.


13. Ci sono fessi intelligenti e colti, che vorrebbero mandar via i furbi. Ma non possono: 1) perché sono fessi; 2) perché gli altri fessi sono stupidi e incolti, e non li capiscono.


14. Per andare avanti ci sono due sistemi. Uno è buono, ma l'altro è migliore. Il primo è leccare i furbi. Ma riesce meglio il secondo che consiste nel far loro paura: 1) perché non c'è furbo che non abbia qualche marachella da nascondere; 2) perché non c'è furbo che non preferisca il quieto vivere alla lotta, e la associazione con altri briganti alla guerra contro questi.


15. Il fesso si interessa al problema della produzione della ricchezza. Il furbo soprattutto a quello della distribuzione.


16. L'Italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all'ammirazione di chi se ne serve a suo danno. Il furbo è in alto in Italia non soltanto per la propria furbizia, ma per la reverenza che l'italiano in generale ha della furbizia stessa, alla quale principalmente fa appello per la riscossa e per la vendetta. Nella famiglia, nella scuola, nelle carriere, l'esempio e la dottrina corrente - che non si trova nei libri - insegnano i sistemi della furbizia. La vittima si lamenta della furbizia che l'ha colpita, ma in cuor suo si ripromette di imparare la lezione per un'altra occasione. La diffidenza degli umili che si riscontra in quasi tutta l'Italia, è appunto l'effetto di un secolare dominio dei furbi, contro i quali la corbelleria dei più si è andata corazzando di una corteccia di silenzio e di ottuso sospetto, non sufficiente, però, a porli al riparo delle sempre nuove scaltrezze di quelli.
 
Capitolo II. - Della Giustizia


17. In Italia non esiste giustizia distributiva. Ne tiene le veci l'ingiustizia distribuita. Per cinque anni il Sindaco (oppure il Deputato, il Prefetto, il Ministro) del Partito Rosso perseguita gli uomini del partito nero e distribuisce cariche o stipendi agli uomini del partito rosso. La situazione sarebbe intollerabile se dopo cinque anni, essendo salito al potere il Sindaco (c.s.) del Partito Nero, questi facesse le cose giustamente.
E' chiaro che lascerebbe almeno una metà dell'ingiustizia antecedente. Perciò il Sindaco (c.s.) del partito nero fa tutto il rovescio dell'altro; distribuisce cariche e stipendi agli uomini del partito nero e perseguita gli uomini del partito rosso.
Così l'ingiustizia rotativa tiene luogo della giustizia permanente.


18. Non è vero, in modo assoluto, che in Italia, non esista giustizia. E' invece vero che non bisogna chiederla al giudice, bensì al deputato, al Ministro, al giornalista, all'avvocato influente ecc. La cosa si può trovare: l'indirizzo è sbagliato.


19. In Italia non si può ottenere nulla per le vie legali, nemmeno le cose legali. Anche queste si hanno per via illecita: favore, raccomandazione, pressione, ricatto ecc.

Capitolo III - Del Governo e della Monarchia


20. L'Italia non è, democratica nè aristocratica. E' anarchica.


21. Tutto il male dell'Italia viene dall'anarchia. Ma anche tutto il bene.


22. In Italia contro l'arbitrio che viene dall'alto non si è trovato altro rimedio che la disobbedienza che viene dal basso.


23. In Italia il Governo non comanda. In generale in Italia nessuno comanda, ma tutti si impongono.


24. Per le cose grosse non si cade mai, per quelle piccine spesso.
Ciò corrisponde al carattere italiano che subisce le grosse ingiustizie, ma è intollerantissimo per le piccole.


25. L'Italiano non dice mai bene di quello che fa il Governo, anche se è fatto bene; però non c'è italiano il quale non affiderebbe qualunque cosa al governo e non si lagni perché il Governo non pensa a tutto.


26. I ministri non sono scelti perché persone competenti nell'agricoltura, nei lavori pubblici, nelle finanze, nelle poste e telegrafi, bensì perché piemontesi, liguri, lombardi, toscani, siciliani, abruzzesi, o perché appartenenti al gruppo a, b, c. Si è ministri non per quel che si è fatto, ma per il dialetto che si capisce, per il gergo parlamentare che si parla. Questo deriva in gran parte dal concetto della ingiustizia distribuita (cap. II).


27. Il valore degli incarichi non corrisponde sempre alla realtà. Molto spesso il piantone conta più del colonnello, l'usciere ne sa più del ministro, il segretario può quello che il cardinale non osa, e così via. Nelle piazze e nei salotti la conoscenza di questo " annuario segreto " delle potenze, forma uno dei punti indispensabili per poter fare carriera. Rivolgersi al principale senza passare per la succursale, è uno dei più comuni errori di tutti i novizi della vita italiana.


28. L'autorità del grado non conta. L'italiano non si inchina davanti al berretto. Nulla lo indispone più dell'uniforme. Ma obbedisce al prestigio personale ed alla capacità di interessare sentimentalmente o materialmente la folla.


29. L'uomo politico in Italia è uomo avvocato. Il dire niente in molte parole è stata sempre la prima qualità degli uomini politici; che se hanno sommato il dire niente al parlare fiorito, hanno raggiunto la perfezione.


30. La Monarchia resiste in quanto non esiste. I repubblicani non esistono in quanto non esiste l'oggetto della loro lotta. Non si può combattere un Re che non è meno noioso di un presidente di repubblica, poiché non crea nemmeno la difficoltà di farsi eleggere.


31. Il Re ha rinunciato ai diritti che esercitava, e non esercita più quelli che gli son rimasti.


32. La piazza è il vero Governo italiano, che decide la guerra o fa cessare lo sciopero dei tranvieri. Da parecchi anni impiegati, produttori. operai, e ormai anche militari, sanno che non si ottiene nulla dal governo, " se non si scende in piazza ". Forse è per questo che siamo i discendenti dei Romani, che decidevano le questioni politiche nel Foro.
 

Capitolo IV. - Della geografia politica


33. L'Italia si divide in due parti: una europea che arriva all'incirca a Roma, e una africana o balcanica, che va da Roma in giù. L'Italia africana o balcanica è la colonia dell'Italia Europea.

Capitolo V. - Della famiglia


34. In Italia l'uomo è sempre poligamo. La donna è poliandra (quando può).


35. La famiglia è la proprietà del capo di famiglia. La moglie è un oggetto di proprietà. Se abbandona si può uccidere. Viceversa non è ammesso che possa uccidere, se la si abbandona.


36. La moglie ha la sua posizione sociale segnata fra la serva e l'amante. Un po' più in su della serva e un po' più giù dell'amante. Fa le giornate da serva e le notti da amante.


37. I figli sono proprietà del padre. Devono fare onore, non a se stessi, ma al padre.

Capitolo VI. - Delle leggi


38. In Italia nove decimi delle relazioni sociali e politiche non sono regolate da leggi, contratti o parole date. Si fondano sopra accomodamenti pratici ai quali si arriva mediante qualche discorso vago. una strizzatina d'occhio e il tacito lasciar fare fino a un certo punto. Questo genere di relazioni si chiama compromesso. Non ci sono mai situazioni nette tra marito e moglie, tra compratore e venditore, tra governo e opposizione, tra ladri e pubblica sicurezza, tra Quirinale e Vaticano.


39. Tutto ciò che è proibito per ragioni pubbliche si può fare quando non osta un interesse privato. Nei vagoni dove è proibito fumare tutti fumano finché uno non protesta.


40. In Italia nulla è stabile fuorché il provvisorio.


41. La mancia è la più grande istituzione tacita d'Italia, dove gli usi contano più delle leggi, e le consuetudini più dei regolamenti. Per far procedere una pratica come per ottenere un vagone. per avere notizia di una sentenza. come per far scaricare un piroscafo, occorre sempre la mancia. Il modo di darla è variabile ed esige un noviziato non breve, una conoscenza della graduatoria sociale e dei sistemi in uso. Essa va dal volgare gruzzoletto posto nella mano dell'autorità da commuovere, e dalla bottiglia fatta stappare in onore dell'affare che si conclude, fino alla " bustarella ", in uso negli uffici di Roma ed ai contratti tariffati degli agenti ferroviari del settentrione. o al vezzo di perle per la signora e la compartecipazione ad un'emissione di azioni per il grosso affarista o giornalista.


42. La pena di morte non è abolita in Italia. Essa colpisce, in generale, gli innocenti che si trovano a passare sotto la traiettoria dei moschetti della Regia Guardia o dei Reali Carabinieri, oppure nel cerchio delle bombe a mano lanciate da socialisti o da fascisti.

Capitolo VII. - Delle Ferrovie


43. In Italia si viaggia gratis in prima classe; con riduzione, in seconda. In terza si paga la tariffa intera, proporzionalmente più alta di quella che pagherebbero le altre classi, se le altre la pagassero mai interamente.

Capitolo VIII. - Dell'ideale


44. C'è un ideale assai diffuso in Italia: guadagnar molto faticando poco. Quando questo è irrealizzabile, subentra un sottoideale: guadagnar poco faticando meno.


45. La scuola è fatta per avere il diploma. E il diploma? Il diploma è fatto per avere il posto. E il posto? Il posto è fatto per guadagnare. E guadagnare? E' fatto per mangiare. Non c'è che il mangiare che abbia fine a se stesso, sia cioé un ideale. Salvo in coloro, in cui ha per fine il bere.

Capitolo IX. - Del guadagno


46. In generale in Italia nessuna professione è sufficiente per vivere, da sola. Perciò si vede l'insegnante che fa anche il giornalista; l'impiegato che fa il rappresentante di case commerciali; il ragioniere dello Stato che va a curare la sera aziende private; il giornalista che scrive commedie. Un solo impiego non basta a sbarcare il lunario. Con due ci si riesce. Con tre si vive bene. Bisogna essere furbi per averne quattro. Se fra questi ve n'è uno almeno da trascurare, la preferenza vien fatta a quello dello Stato, in base al principio che segue.
 

Capitolo X. - Della proprietà collettiva


47. La roba di tutti (uffici. mobili dei medesimi, vagoni, biblioteche, giardini, musei, tempo pagato per lavorare, ecc.) è roba di nessuno.

Capitolo XI. - Dell'Italia e degli Italiani


48. L'Italia è il giardino del mondo. L'Italia è un paese naturalmente povero, senza carbone, con poco ferro, molto scoglio, per tre quarti malarico e troppo popoloso. Esso dipende e dipenderà sempre economicamente dagli stranieri. L'indipendenza dell'Italia è il mito più infondato e dannoso che un italiano possa nutrire. C'è una sola consolazione: che nessun paese è economicamente indipendente.


49. L'italiano è un popolo che si fa guidare da imbecilli i quali hanno fama di essere machiavellici, riuscendo così ad aggiungere al danno la beffa, ossia l'insuccesso alla disistima, per il loro paese. Da molti anni il programma degli uomini che fanno la politica estera sembra riassumersi in questo: mani vuote, ma sporche.


50. I veri italiani sono pochissimi. La maggior parte di coloro che si fanno passare per italiani, sono in realtà piemontesi, toscani, veneti, siciliani, abruzzesi, calabresi, pugliesi e via dicendo. Appena fuori d'Italia, l'italiano torna ad essere quello che è: piemontese, toscano veneto ecc. L'italiano sarà un prodotto dell'Italia, mentre l'Italia doveva essere un prodotto degli italiani.


51. L'ammirazione degli stranieri per tutte quelle cose che ci urtano nella vita italiana (il lazzaronismo, l'indisciplina, il sentimentalismo, la musica da serenate, la statueria ecc.), indica che in tutti questi difetti c'è qualche cosa di gradevole e di simpatico. Ma per chi va a fondo delle cose, vede che si tratta di una permanente insidia al carattere italiano, già inclinato a ciò che è più gradevole, ma meno pericoloso per gli stranieri. Essi vedono volentieri gli italiani prendere il mandolino in mano e far serenate alla luna, e li carezzano gettando un obolo, con la simpatia e il disprezzo che si ha per una cortigiana, o la sottintesa superiorità che si mostra verso un cagnolino.


52. Se per ingegno si intende la facilità nelle cose facili, l'arte di esprimersi con abbondanza, la capacità di intendersi senza troppo precisare. la vernice di tutti i talenti esterni. il canto piacevole, la poesia sonora, l'arrivare d'un colpo a comprendere le cose senza sforzarsi, dopo, di compiere un passo più avanti per approfondirsi in ciò che si è imparato, l'italiano è un popolo intelligente. Se per ingegno si intende invece ...


53. Il perfetto italiano giudica l'ingrandimento dell'Italia dell'allargamento chilometrico, la grandezza dei quadri dalla superficie della tela, la bellezza della poesia dalla sonorità delle rime e quella delle donne dalla quantità della ciccia. Il buffo è che molti di questi valori plastici sono entrati anche nella zucca degli stranieri, che ammirano il nostro parlar sonoro, le nostre donne carnose, i quadroni dal Rinascimento in poi, e qualche volta anche l'aumento dei chilometri quadrati.


54. La storia d'Italia è la storia di Spagna e di Francia, d'Alemagna e d'Austria, e in fondo, storia d'Europa. Lo sforzo degli storici per creare una storia d'Italia dimostra come si possa spendere molto ingegno per una causa poco ingegnosa, come accade a quei capitani che si fanno valorosamente ammazzare per una causa infame.


55. L'Italiano è di tanto inferiore al giudizio che porta di se stesso di quanto è superiore al giudizio che ne danno gli stranieri. Le sue qualità migliori sono le ignorate e i suoi difetti peggiori sono i pubblicati da tutta la fama.


56. La famiglia è l'unico aggregato sociale solido in Italia. Il comune è l'unico organismo politico sentito in Italia. Tutto il resto è sentimento generico di classi intellettuali, come la patria; o astrattismo burocratico, come la provincia; o mito vago, che nasconde spinte economiche molto ristrette ed egoistiche, come l'internazionale.


57. Alcune massime e parole italiane hanno una origine dialettale e regionale, che significa che una qualità particolare d'una data gente s’è andata allargando a tutta l'Italia. Per esempio : tira a campà è massima eminentemente romana; non ti compromettere è precetto squisitamente toscano; fare fesso è pratica particolarmente meridionale; però tutti gli italiani ormai le capiscono e i furbi le hanno adottate come regola di vita sociale.


58 Il tempo è la cosa che più abbonda in Italia, visto lo spreco che se ne fa.


59 Tutto è in ritardo in ritardo in Italia, quando si tratta di iniziare un lavoro. Tutto è in anticipo quando si tratta di smetterlo.


60 Non è vero che l'Italia sia un paese disorganizzato. Bisogna intendersi : qui la forma di organizzazione è la camorra. Il Partito come la religione, la vita comunale come la economica prendono inevitabilmente questo aspetto. Non manca disciplina ma è la disciplina propria della camorra, l'ultra disciplina che va dal fas al nefas.


61. Tutti i principali difetti degli italiani, e soprattutto i più vergognosi : la mancanza di parola, il servilismo, l’individualismo esagerato, l’abitudine dei piccolo inganno e della corruzione, derivano dalla povertà italiana, come la sporcizia di tanti loro paesi dalla mancanza di acqua. Quando in Italia correrà più denaro vero e più acqua pulita, la redenzione d'Italia sarà in buona parte compiuta.
 
Capitolo XlI - Senza titolo riassuntivo indispensabile


62. L'Italia è una speranza storica che si va facendo realtà.  



Giuseppe Prezzolini, Codice della vita italiana, Edizioni della Voce, Firenze 1921, poi in Siamo italiani, a cura di David Bidussa, Chiarelettere, Milano 2001, pp. 31-41.





lunedì 24 settembre 2012

Settimana internazionale del libro



È la settimana internazionale del libro: chiudetevi in bagno coi fratelli Karamazov, nutritevi soltanto di madeleines, bevetevi una bottiglia di rum, fate sesso con la Bovary o con Maurice, lasciate in pace Siddharta
Se accenderete la tivù sarete squalificati dal Grande Fratello e deportati nella fattoria degli Animali.


p.s. informazione per gli "amici" di facebook: a pagina 52 o 54 o 56 di qualunque libro c'è nascosto un codice subliminale che provoca il Diavolo in corpo.



lunedì 28 giugno 2010

ARCIETERO



Nasce Arcietero, l’associazione di eterogenei dalla parte degli omosessuali. Arcietero permette anche agli etero di supportare la causa omosessuale come accade con qualsiasi altra minoranza, dai neri alle tartarughe dell’Illinois. Ovvero: molte persone combattono contro la pena di morte. Anche se non sono mai morte. Al contrario, i gay spesso combattono e sono rappresentati solo da loro stessi. Siamo noi eterosessuali a non essere abbastanza emancipati da capire che spetta a noi chiedere più diritti per gli omosessuali. Così come gli uomini si sono battuti per dare il diritto di voto alle donne e chi ha un lavoro manifesta al fianco di chi non ce l'ha e chi ha una casa sfila in corteo accanto ai terremotati dell’Aquila.

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venerdì 5 marzo 2010

Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano.



"Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo. Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale.
 La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto.
Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto.
Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei.
Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt'al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po' ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo.
Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano.
Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto,cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile,e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare."



Elsa Morante 1945
(da Aprileonline.info)

giovedì 21 gennaio 2010

I LIBRAI SI SONO ESTINTI


Microcomica patetica.

Ambientazione: Feltrinellistore, Roma, ai giorni nostri.

Personaggi:
Cliente
Commesso










Cliente
(al commesso che sguscia tra gli scaffali cercando di non fare niente, fingendo di fare chissà che) - Buongiorno, scusi, posso chiederle un'informazione?

Commesso
(rassegnato) - Prego.

Cliente - Sto cercando "2666".

Commesso - Come?

Cliente - "2666".

Commesso - E che è, un libro?

Cliente - Eh, sì.

Commesso
(con faccia sospettosa) - Vediamo.

Il commesso va al bancone del Computer Sibilla, senza il quale è perduto.

Commesso - Come ha detto che si chiama?

Cliente - "2-6-6-6", duemilaseicentosessantasei.
(pensa anche, con acido rigurgito mentale: "S'intitola così, s'intitola, i libri non si chiamano, hanno un titolo, perciò «s'intitolano»", ma non dice nient'altro e aspetta paziente che l'oracolo sentenzi)


Il commesso digita con dito scettico.

Commesso - Ah, sì... di Volano, no, Bolano.

Cliente - Sì, Bolaño, Roberto Bola
gno.

Commesso - Sì, ci sta.

Il commesso fa tre passi indietro, tornando al punto in cui si erano incontrati e da una pila alta un metro e mezzo, che stava dietro di lui, e che copriva mentre fingeva d'aggiustare l'ordine di oggetti a lui totalmente estranei: dunque per questo il cliente non aveva visto che il libro che cercava stava proprio là dietro.

Commesso
(sollevando il tomo da due chili con evidente disgusto come se maneggiasse robaccia pornografica con un titolo da numero di posizione per zozzerie estreme; lanciando uno sguardo di disprezzo al cliente) - Ecco.

Cliente - Grazie. Addio.

Commesso - ...
(bofonchia e se ne va, mimetizzandosi istantaneamente con la moquette per schivare il cliente successivo che si avvicina minacciosamente.)

Il cliente tenendo ben stretto il libro, si avvia alle casse. Paga. Esce.

Cliente
(sollevando il libro, gli sussurra) - Io so chi sei, non ti preoccupare, sei salvo.



Cala la tela.


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nota sul misterioso oggetto:
http://www.time.com/time/arts/article/0,8599,1857951,00.html

sabato 14 novembre 2009

Il Mago Zurlì s'è incazzato.


Il Mago Zurlì s'è incazzato. È difficile immaginarselo così, furibondo contro l'Antoniano che ha avuto la sconsideratezza di metterlo da parte. Difficile immaginarselo digrignante e furioso invece che plastificato in quel suo sorriso scolpito in faccia a mostrare ridondante e posticcia simpatia per le centinaia, migliaia di mocciosetti canterini che ha traghettato al loro quarto d'ora di successo e che lo hanno saldamente tenuto ancorato ad un ruolo collodiano per quasi mezzo secolo. Diciamoci la verità, già da anni non incantava nessuno e tutti, compresi quelli che come me da bambini erano rimasti fregati dal suo costume in mantello e calzamaglia negli anni settanta, si chiedevano che cazzo c'entrava quel vecchietto ostinatamente sorridente ma sempre più indispettito, allo Zecchino d'Oro. Adesso che l'anno messo fuori corso, lui s'è ribellato e ha detto: "Chi ha detto che Tortorella non ci sarà allo Zecchino d’Oro perché è vecchio e superato? Ho l’età del Papa e del Presidente della Repubblica e non ho la badante e il morbo di Parkinson»."
Ha ragione.
Questo è il punto cruciale, il nodo gordiano della faccenda. Il Mago Zurlì ha ragione.


Questo è il paese dove vanno in pensione solo i poveracci, tutti i posti più rilevanti dall'industria, alla cultura, alla politica sono occupati da vecchi. Magari grandi vecchi, ma vecchi. Obama ha 47 anni, Berlusconi 73, tanto per fare un esempio. In Italia a 47 anni o sei un fallito precario o una giovane promessa. Se qualche giovane s'affaccia e prende il posto del vecchio è per ragioni dinastiche, vedi Elkann alla Fiat o Marina e Piersilvio Berlusconi a Mondadori e Mediaset; e questo avviene soltanto perché c'invecchieranno nel ruolo, fino alla loro naturale, biologica fine. Il giovane che traghetterà il PD verso il futuro è un signore di 58 anni, un virgulto sprintoso secondo il modello italico. Se qualche altro trenta/quarantenne s'affaccia e riesce ad ottenere un incarico è solo in virtù di una paternalistica concessione e in cambio di una totale adesione alla weltanschauung del vecchio che gli ha dato l'investitura, il quale ne ha un ritorno d'immagine giovanilistica che nella sostanza è vuota d'ogni senso: sono giovani servi precocemente invecchiati.
La Serracchiani era tosta sul nascere, e tutti ad applaudire, ma adesso?
Ne consegue che se sei giovane, brillante, creativo, intelligente, preparato o invecchi precocemente, ti sistemi da qualche parte e non molli fino a che non ti vengono a mettere il catetere e ti dicono che sei morto, oppure? Molti vanno via. Molti tenacemente invecchiano lottando ( e poi, se ci riescono, vanno in pensione).

Ma è il Paese che è così. Mettiamocelo in testa. L'idea della fissità rassicura i più. Il ventenne geniale è bello e straordinario se ha un nome straniero, qui da noi al massimo va in tv in una trasmissione per fenomeni da baraccone.
Bisognerebbe ci fosse una generazione, forse due, che si mettesse da parte, saltarla a piè pari, passare al nuovo, rischiando certo, ma perché no? Peggio di come stiamo. Ma le file sono lunghe e nessuno sarà mai disposto a cedere.

Languiremo così, tra vecchi tenaci e protervi o dovremo aspettare un dopoguerra che, per ragioni di numero d'adulti morti lasci spazio ad un nuovo, vero ricambio? Nessuno se lo augura e dunque, ha ragione Cino Tortorella, in arte il Mago Zurlì, ridategli il posto. Se lo merita tutto. Anche noi.


Francesco Randazzo




venerdì 11 settembre 2009

11 Settembre 1973


Salvador Allende

11 SETTEMBRE 1973

DOCUMENTI RADIOFONICI

Ultimo discorso del presidente Salvador Allende


7:55 a.m. RADIO CORPORACIÒN

Parla il Presidente della Repubblica dal Palazzo de La Moneda. Informazioni confermate segnalano che un settore della Marina avrebbe isolato Valparaìso e che la città sarebbe occupata, il che significa un sollevamento contro il Governo, il Governo legittimamente costituito, il Governo che è protetto dalla legge e dalla volontà del cittadino.

In queste circostanze, chiamo tutti i lavoratori. Che occupino i loro posti di lavoro, che accorrano alle loro fabbriche, che mantengano calma e serenità. Fino a questo momento a Santiago non c’è stato alcun movimento fuori dell’ordinario da parte delle truppe e, secondo quanto mi ha informato il capo della Guarnigione, Santiago starebbe aqquartierata e normale.

In ogni caso io sto qui, nel Palazzo del Governo, e resterò qui, difendendo il Governo che rappresento per volontà del popolo.

Ciò che desidero, essenzialmente, è che i lavoratori stiano attenti, vigili e che evitino le provocazioni. Come prima cosa dobbiamo vedere quale sarà la risposta, che spero positiva, dei soldati della Patria, che hanno giurato di difendere il regime stabilito, espressione della volontà dei cittadini, e che assolveranno la dottrina che rese prestigio al Cile e che trae questo prestigio dalla professionalità delle Forze Armate. In queste circostanze, ho la certezza che i soldati sapranno compiere i loro obblighi. Ad ogni modo, il popolo ed i lavoratori, fondamentalmente, devono mobilitarsi attivamente, ma nei loro posti di lavoro, ascoltando la chiamata e le istruzioni che potrà fare e dargli il compagno Presidente della Repubblica.

8:15 a.m.
Lavoratori del Cile:
vi parla il presidente della Repubblica. Le notizie che abbiamo fino a questo momento, ci rivelano l’esistenza di una insurrezione della Marina nella Provincia di Valparaìso. Ho ordinato che le truppe dell’esercito si dirigano a Valparaìso per soffocare questo tentativo di golpista. Dovete aspettare le istruzioni che emanerà la Presidenza. Abbiate la sicurezza che il Presidente resterà nel Palazzo de La Moneda difendendo il Governo dei Lavoratori. Abbiate la certezza che farò rispettare la volontà del popolo che mi ha dato l’incarico di governare fino al 4 Novembre 1976.

Rimanete attenti nei vostri luoghi di lavoro aspettando le mie informazioni. Le forze leali rispettando il giuramento fatto alle autorità, insieme ai lavoratori organizzati, schiacceranno il golpe fascista che minaccia la Patria.

8:45 a.m.

Ai compagni che mi ascoltano:

La situazione è critica, siamo di fronte ad un colpo di Stato, al quale partecipa la maggioranza delle Forze Armate. In quest’ora oscura voglio ricordarvi alcune mie parole dette nel 1971, ve le dico con assoluta tranquillità, non ho stoffa di apostolo né di messia. Non ho propensione al martirio, sono un lottatore sociale che compie un incarico che il popolo mi ha dato. Ma, lo intendano coloro che vogliono far indietreggiare la storia e disconoscere la volontà maggioritaria del Cile; Senza avere vocazione di martire, non farò un passo indietro. Che lo sappiano, che lo sentano, che se lo registrino profondamente: lascerò La Moneda quando avrò compiuto il mandato che il popolo mi ha dato, difenderò questa rivoluzione cilena e difenderò il Governo perché questo è il mandato che il popolo mi ha consegnato. Non ho altra alternativa. Solo crivellandomi di colpi potranno impedire la volontà di compiere il programma del popolo. Se mi assassinerete, il popolo seguirà la sua rotta, continuerà il suo cammino, con la differenza forse che le cose saranno più dure, molto più violente, perché sarà una lezione obiettiva molto chiara per la massa di questa gente che non si ferma di fronte a niente.

Tenevo in conto questa possibilità, non la offro né la facilito.

Il processo sociale non sparirà perché è sparito un dirigente. Potrà rallentarsi, potrà prolungarsi, ma alla fine non potrà essere fermato.

Compagni, rimanete attenti alle informazioni nei vostri posti di lavoro, il compagno Presidente non abbandonerà il suo popolo ed il suo posto di lavoro. Rimarrò qui a La Moneda anche a costo della mia vita.

9:03 a.m. RADIO MAGALLANES

In questo momento passano gli aerei. È possibile che ci colpiscano. Ma sappiate che stiamo qui, per lo meno con il nostro esempio, dimostrando che in questo paese ci sono uomini che sanno compiere le obbligazioni che hanno preso. Io lo farò per il mandato del popolo e per mandato cosciente di un Presidente che ha la dignità dell’incarico affidatogli dal popolo in elezioni libere e democratiche.

In nome dei più sacri interessi del popolo, in nome della Patria vi chiamo per dirvi di avere fede. La storia non si ferma né con la repressione né con il crimine. questa è una tappa che sarà superata, questo è un momento duro e difficile. È possibile che ci schiaccino, però il domani sarà del popolo, sarà dei lavoratori. L’umanità avanza per la conquista di una vita migliore.

... Pagherò con la mia vita la difesa dei principi che sono cari a questa patria, l’insulto cadrà sopra quelli che hanno tradito i loro impegni, mancando alla loro parola, rompendo la dottrina delle Forze Armate.

Il popolo deve stare all’erta e vigile. Non deve lasciarsi provocare, né lasciarsi massacrare, ma deve anche difendere le sue conquiste. Deve difendere il diritto a costruire con i suoi sforzi una vita degna e migliore.

9:10 a.m.

Una parola per coloro che dichiarandosi democratici hanno istigato questa sollevazione, per quelli che dicendosi rappresentanti del popolo, hanno torbidamente e turpemente recitato per rendere possibile questo passo che porta il Cile alla rovina.



Compatrioti, è possibile che zittiscano le radio, e mi congedo da voi. In questo momento passano gli aerei. È possibile che ci crivellino. Ma sappiate che stiamo qui, per segnalare, per lo meno con questo esempio, che in questo paese ci sono uomini che sanno mantenere le obbligazioni che hanno assunto.
Io lo farò per il mandato del popolo e per la volontà cosciente di un presidente che possiede la dignità del suo incarico...

Forse questa è l’ultima opportunità che ho di potermi rivolgere a voi. L’Aviazione ha bombardato le torri di Radio Portales e Radio Corporaciòn. Le mie parole non hanno amarezza ma delusione, e saranno loro il castigo morale per quelli che hanno tradito il giuramento che fecero: soldati del Cile, comandanti in capo titolari, l’ammiraglio Merino che si è auto nominato comandate della Armada, più il signor Mendoza, generale vile che soltanto ieri manifestava la sua lealtà e solidarietà al governo, ed anche lui si è auto nominato anche comandante generale dei Carabinieri. Non rinuncerò!

Davanti a questi fatti solo questo mi resta da dire ai lavoratori: Io non mi arrenderò. Collocato in un transito storico, pagherò con la mia vita la lealtà al popolo. E vi dico che ho la certezza che il seme che abbiamo innestato nella coscienza degna di migliaia e migliaia di cileni non potrà essere dispersa definitivamente. Hanno la forza, potranno sottometterci, ma non si possono trattenere i processi sociali né con il crimine, né con la forza. La storia è nostra e la fanno i popoli.

Lavoratori della mia patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che sempre avete avuto, la fiducia che avete posto in un uomo che fu solo interprete di grandi aneliti di giustizia, che impegnò la sua parola di rispettare la costituzione e la legge, e così fece. In questo momento definitivo, l’ultimo in cui posso rivolgermi a voi. Spero che impariate dalla lezione. Il capitale straniero, l’imperialismo, unito alla reazione, ha creato il clima perché le Forze Armate rompessero con la loro tradizione (...)

Mi rivolgo soprattutto alla donna modesta della nostra terra: alla contadina che credette in noi, all’operaia che lavorò di più, alla madre che conobbe la preoccupazione per i figli. Mi rivolgo ai professionisti, patrioti, a coloro che da giorni stanno lavorando contro la sedizione appoggiata dai collegi professionali, collegi di classe creati anche per difendere i vantaggi di una società capitalista.

Mi rivolgo alla gioventù, a coloro che cantarono e donarono la loro allegria ed il loro spirito di lotta; mi rivolgo all’uomo del Cile, all’operaio, al contadino, all’intellettuale, a coloro che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo già da molte ore è presente con molti attentati terroristi, facendo saltare ponti, tranciando linee ferroviarie, distruggendo oleodotti e gasdotti, di fronte al silenzio di chi aveva l’obbligo di intervenire.

Si sono compromessi. La storia li giudicherà.

Sicuramente Radio Magallanes, sarà oscurata ed il metallo tranquillo della mia voce non giungerà a voi. Non importa mi sentirete comunque. Sempre sarò con voi, per lo meno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale alla patria. Il popolo deve difendersi, ma non sacrificarsi. Il popolo non deve lasciarsi colpire e crivellare, ma nemmeno può umiliarsi.

Lavoratori della mia patria: ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio ed amaro, nel quale il tradimento pretende d’imporsi. Proseguite voi, sapendo che, non tardi ma molto presto, si apriranno i grandi viali alberati dai quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.

Viva il Cile, viva il popolo, viva i lavoratori!

...ste sono le mie ultime parole, ho la certezza che il sacrificio non sarà vano. Ho la certezza che, almeno, ci sarà una sanzione morale per punire la fellonìa, la codardia ed il tradimento.



Ultimo discorso del presidente Salvador Allende al popolo, trasmesso l’11 settembre 1973. Fonte principale: Salvador Allende, Discorsi, Editorial de Ciencias Sociales, La Habana, 1975.

Traduzione di Francesco Randazzo

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venerdì 28 agosto 2009

Pensava fosse un cane e invece era la sua nemesi


di Mauro Mirci

(da ParolediSicilia.it)

Tatar Sarari ha 45 anni, è marocchino, vive a Enna. Il 25 di agosto del 2009, è martedì sera, se ne sta seduto davanti a un bar a Pergusa. Non conosciamo le condizioni climatiche. Data la stagione, la latitudine e la personale esperienza, immaginiamo condizioni caldo-umide degne di una foresta pluviale. A tali condizioni possiamo, volendo, associare una birra ghiacciata da almeno 400 cl, non di meno. Insomma, dipendesse da noi, preferiremmo. Tuttavia, Tatar Sarari è marocchino, è possibile non beva alcolici perché mussulmano, oppure astemio, oppure soltanto perché la birra non gli piace e preferisce bere altro. Allora facciamo che abbia davanti un bicchierone di aranciata gelata.
La spalliera della sedia sulla quale si trova sfiora la parete esterna del locale, lui guarda la strada (a Pergusa i locali si trovano lungo la statale 561, che attraversa l’abitato). Accanto a sè ha un bastone, appoggiato al muro.
Passa un cane, un “meticcio randagio di grossa taglia”. In realtà questa descrizione ci dice poco. Diciamo allora che si tratta di un grosso cane, pelosissimo, alto una settantina di centimetri al garrese. Avrà sei o sette anni. E’ fulvo, con una stella bianca sulla fronte, il pelo arruffato, grandi orecchie pendule, lo sguardo da povero diavolo. Qualcuno gli ha mozzato la coda, anni fa. Per divertimento. Lui ci ha sofferto un po’ perché la coda gli serviva per mangiare. La dimenava, festosa, davanti agli avventori dei locali che affacciano sulla SS561, e quelli s’intenerivano e gli allungavano un boccone.

giovedì 30 luglio 2009

“SE VOI FOSTE PERSONE NORMALI”


Se foste un rom, quella di Salvini non vi apparirebbe come la sortita delirante di un imbecille da ridicolizzare.

Se foste un musulmano, o un africano, o comunque un uomo dalla pelle scura, il pacchetto sicurezza non lo prendereste solo come l’ennesima sortita di un governo populista e conservatore, eccessiva ma tutto sommato veniale.

Se foste un lavoratore che guadagna il pane per sé e per i suoi figli su un’impalcatura, l’annacquamento delle leggi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro non lo dimentichereste il giorno dopo per occuparvi di altro. Se foste migrante, il rinvio verso la condanna a morte, la fame o la schiavitù, non provocherebbe solo il sussulto di un’indignazione passeggera.

Se foste ebreo sul serio, un politico xenofobo, razzista e malvagio fino alla ferocia non vi sembrerebbe qualcuno da lusingare solo perché si dichiara amico di Israele. Se foste un politico che ritiene il proprio impegno un servizio ai cittadini, fareste un’opposizione senza quartiere ad un governo autoritario, xenofobo, razzista, vigliacco e malvagio.

Se foste un uomo di sinistra, di qualsiasi sinistra,non vi balocchereste con questioni di lana caprina od orgogli identitari di natura narcisistica e vi dedichereste anima e corpo a combattere le ingiustizie.

Se foste veri cristiani, rifiutereste di vedere rappresentati i valori della famiglia da notori puttanieri pluridivorziati ingozzati e corrotti dalla peggior ipocrisia.

Se foste italiani decenti, rifiutereste di vedere il vostro bel paese avvitarsi intorno al priapismo mentale impotente di un omino ridicolo, gasato da un ego ipertrofico.

Se foste padri, madri, nonne e nonni che hanno cura per la vita dei loro figli e nipoti, non vendereste il loro futuro in cambio dei trenta denari di promesse virtuali.

Se foste esseri umani degni di questo nome, avreste vergogna di tutto questo schifo.

MONI OVADIA

Fonte: L’Unità 09.05.2009

martedì 30 settembre 2008

"Niente birra ai nazisti"


Articolo di Riccardo Orioles tratto dalla Catena di San Libero n. 370 (27 settembre 2008)

"Niente birra ai nazisti"

"Non si serve birra ai nazisti". A Colonia, su tutti i tavolini, c'era questo cartello. C'erano folle di cittadini, in tutte le strade, decisi a non lasciar passare i nazisti. C'era un sindaco con le idee molto chiare: questa città è antinazista e nazisti non ne vuole. Così, pacificamente, senza eccitarsi troppo e ridicolizzando i violenti, i tedeschi hanno mandato a quel paese gli estremisti della "destra europea".

In Italia le cose sarebbero andate (e vanno) ben diversamente. Se invece che a Colonia fossimo stati a Verona, il corteo dei nazisti si sarebbe svolto, le grida di Heil Hitler e Duce Duce si sarebbero sprecate, ci sarebbe stato uno stillicidio di immigrati picchiati e gay mandati all'ospedale. Qualcuno dei cittadini, con "l'aria da sovversivo", magari ci avrebbe lasciato la pelle. E il giorno dopo il governo avrebbe tranquillamente dichiarato "vabbe', cose che succedono, niente di straordinario in fondo", mentre un ministro avrebbe inneggiato alla Gestapo e un altro alle Ss.

Due generazioni dopo Hitler e Mussolini, i tedeschi sono antifascisti e gli italiani no. I tedeschi hanno legge e ordine, gl'italiani camorra e Calderoli. I tedeschi sono civili e democratici, gl'italiani votano a destra e si menano a ogni occasione. I tedeschi, sicuri di sé, lavorano con due milioni di turchi senza problemi. Gli italiani, insicuri e svenevoli, sono il paese più impaurito del mondo e digrignano i denti appena vedono un altro essere di diverso colore. Eppure i fascisti "duri" erano i tedeschi, noi italiani eravamo i "brava gente", gli Alberto Sordi, anche in camicia nera, paciocconi e umani. Come mai tanto tempo dopo loro si sono civilizzati e noi no?

Il fatto è che il tedesco, persona seria, ha saputo fare i conti con se stesso. Ci voleva coraggio per farlo. Le guerre, Auschwitz, le grandi piazze vocianti di Norimberga. I tedeschi hanno guardato in faccia tutto questo, hanno ragionato freddamente sui loro orrori. Ne hanno individuato i meccanismi, le radici, e hanno deciso "mai più". Non hanno avuto un partito neonazista (come da noi il Msi) corteggiato e infine assunto al governo. Non hanno avuto un neonazismo giustificato e coccolato. Lì, se un ministro dicesse "Onore alle Ss!" sarebbe sbattuto a calci un attimo dopo fuori dal governo. Non c'è un sindaco neonazista di Amburgo o Brema. Lì si ricordano ancora del passato. Ne accettano la responsabilità, da uomini. Non lo vogliono più.

Noi, "brava gente", in realtà siamo dei minorenni. "Non siamo stati noi". Siamo stati ingannati da Mussolini, costretti dai tedeschi, imbrogliati. Noi non volevamo. Non volevamo ammazzare i sindacalisti, o impiccare i libici, o bombardare gli etiopi con l'iprite. L'abbiamo fatto senza accorgercene, senza volerlo davvero, senza colpa. E dunque, tranquillamente, ci siamo assolti - è stato un gioco. E adesso siamo pronti a ricominciare.

Qualunque operaio nero, qualunque straniero, dopo quindici giorni d'Italia capisce benissimo la differenza. Fra noi italiani simpatici, brava gente, ma in fondo semifascisti e violenti, e un qualunque europeo noioso e grigio, ma civile.

Per proseguire con la lettura della Catena di San Libero:
http://www.ritaatria.it/LeggiNews.aspx?id=642

giovedì 17 luglio 2008

Dove osano gli uomini


Di ieri la notizia della morte di Karl Unterkircher sul Nanga Parbat.
E' caduto in un crepaccio, pare per il cedimento di una cornice di ghiaccio e neve.

Una volta mi sarei chiesta come mai un uomo di 37 anni possa rischiare la sua vita in esperienze così estreme, e credo questa sia la domanda che si pongono i più, davanti a queste notizie; archiviandole, insieme ad uno stupore poco comprensivo, qualche secondo dopo per passare, con zapping fulmineo, alla tranquillità banalotta ma rassicurante del Grande Fratello.

Ma da quando ho ripreso a fare sport e ho conosciuto la montagna, ho cominciato a capire, anche se non condividerò mai il coraggio dei più grandi: è la voglia di spostare il limite, sempre più in là, di vedere cosa riuscirai a fare e dove riuscirai ad arrivare, come risponderà il tuo corpo, è l'incoscienza che si ha nell'affrontare determinate situazioni e condizioni nel qui e ora, la speranza, quasi la certezza, di farcela sempre e l'adrenalina che pompa. E' la montagna che chiama, come diceva Karl, la sua monumentalità all'apparenza tranquilla, la serenità che spesso ispira il guardarla da distante; così tutte le insidie che essa nasconde, note anche al più tranquillo escursionista della domenica, sembrano solo vuote paure.
E', comunque, un senso di ineluttabile "io devo", un irrazionale ma fortissimo richiamo a non potersi tirare indietro.

Chi avesse visto e/o letto "La morte sospesa" (vedi http://it.wikipedia.org/wiki/La_morte_sospesa e http://www.feltrinellieditore.it/SchedaLibro?id_volume=5000494) si sarà un po' avvicinato alla comprensione di quanto ho detto. Un libro e un film magistrali che forse spiegano tutto questo, come pure il fortissimo istinto di sopravvivenza che l'essere umano possiede, al di là di qualsiasi ragionevole pronostico. Lo spiegano già dal titolo originale, ben più evocativo: "Touching the void".

Val la pena citare le parole di Unterkircher poco prima di venir meno, perché cadere in un crepaccio è proprio questo:
"Siamo nati e un giorno moriremo. In mezzo c'è la vita. Io la chiamo il mistero, del quale nessuno di noi ha la chiave. Siamo nelle mani di Dio, e se ci chiama... dobbiamo andare. Sono cosciente che l'opinione pubblica non è del mio parere, poiché se veramente non dovessimo più ritornare, sarebbero in tanti a dire: "Cosa sono andati a cercare là? Ma chi glielo ha fatto fare?". Una sola cosa è certa, chi non vive la montagna, non lo saprà mai! La montagna chiama!" (http://www.repubblica.it/2008/07/sezioni/cronaca/unterkircher-crepaccio/blog-karl/blog-karl.html)

E' che c'è solo l'uomo e la montagna, e un ancestrale richiamo alla sfida con la natura, un'atteggiamento eroico per quanto apparentemente inutile, tanto più eroico quanto più - apparentemente, sottolineo - inutile.
Per me, si tratta della forza della spinta all'evoluzione umana spostata dalla razionalità alla totale fisicità; per quanto chi frequenta sport e montagne sa come, anche in questo caso, la "testa" è tutto e viaggia in pari col corpo.
Quando le due si separano anche solo per un istante è finita, e mentre cadi giù, mi piace immaginare, lasci la montagna, e il mondo con lei, con un senso di tradito stupore, di paura e, insieme, di rispetto.

Onore, dunque, agli "inutili" eroi della montagna.

mercoledì 16 luglio 2008

Hamid Ziarati, per approfondire



Per approfondire ulteriormente, perché non leggere il romanzo dello scrittore Hamid Ziarati (http://it.wikipedia.org/wiki/Hamid_Ziarati)?
Scritto "in un italiano insieme preciso e imperfetto, ma straordinariamente espressivo" (vedi scheda in http://www.einaudi.it/einaudi/ita/catalogo/scheda.jsp?isbn=978880617840&ed=87), "Salam, maman" è uno dei miei libri nel cassetto per quest'estate.

Dunque, non l'ho letto. Ma mi incuriosisce il confronto con un altro punto di vista, questa volta maschile, sull'Iran di "Persepolis" e l'esperienza di uno scrittore che scrive coraggiosamente non nella propria lingua madre ma in quella della terra che l'ha accolto, cosa abbastanza rara in Italia e più frequente in Francia.

Un gran bell'omaggio ad un'Italia non sempre accogliente, specie di questi tempi.
Francamente, alquanto bui.