Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

Visualizzazione post con etichetta paroledisicilia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta paroledisicilia. Mostra tutti i post

lunedì 1 febbraio 2016

"CHI NON SOGNA UN FUTURO RADIOSO?" di Mauro Mirci

Mauro Mirci pubblica a puntate il suo romanzo "CHI NON SOGNA UN FUTURO RADIOSO?", leggetelo, ne vale veramente la pena, mi ringrazierete. O meglio ringraziate Mauro che lo ha scritto e gli editori "distratti" che non lo pubblicano, sennò avreste dovuto pagarlo - e sarebbero stati soldi spesi bene -! 








Lorenzo Nullo è un impiegato comunale in una cittadina del centro Sicilia. E’ ambizioso, privo di scrupoli e tiranneggiato dalla madre e dalla sua famiglia, completamente composta da donne. Tutte vedove. Perché, si vocifera, i loro mariti hanno preferito morire giovani piuttosto che averci a che fare sino alla vecchiaia.Ma nel tran tran quotidiano di Lorenzo, fatto di tradimenti, soperchierie e mazzette da poco, si inserisce improvviso un elemento imprevedibile: il ritrovamento in Russia del cadavere del primo marito di sua nonna, disperso durante la seconda guerra mondiale.
Le formalità da sbrigare per il rientro della salma s’intrecciano alle vicende quotidiane di Lorenzo e lo portano a scoprire verità mai immaginate.
Pubblichiamo oggi la terza puntata di “Chi non sogna un futuro radioso?”, un romanzo che, volendo – e con un po’ di fantasia – si potrebbe classificare comeburocratic thriller*. Il romanzo è suddiviso in 14 puntate, che saranno pubblicate la domenica e il giovedì.


Per scaricarlo cliccate qui

lunedì 28 ottobre 2013

PAROLE DI SICILIA



Riapre il blog letterario culturale, 
"Coso" online con ricorrenti crisi d'identità"


Per cominciare c'è il mio racconto "Un caffè dell'altro mondo", che ha vinto il Premio Moak 2013.

A seguire, il 30 ottobre, un racconto di Antonio Musotto.

E così via...

lunedì 14 giugno 2010

"L'ultimo" un racconto di Mauro Mirci

Sei tutto ricompreso nella tua solitudine stinta, inaridita, mentre rimesti con un dito una goccia d’acqua sulla vitrea superficie del tavolo e disegni ghirigori minimalistici. Il tuo campo visivo è limitato alla parete verde marcio che hai di fronte, movimentata solo dalle macchie d’umido e dai graffi impressi nell’intonaco.Sai che hai commesso un errore a venire qua, ma volevi sentire la gente, la vita che scorre, anche se devi accontentarti di raccoglierne l’eco riflessa sulla parete verde marcio di un locale della metropolitana aperto tutta la notte. Vorresti, ma eviti di guardare i pochi avventori che stanno alle tue spalle, perché hai paura che qualcuno di loro possa riconoscerti per quello che sei. Ma sai che potrebbero riconoscerti, o almeno sospettare, pur senza guardarti negli occhi, anche solo per quell’insistito ignorarli, e allora anche non rivolgere lo sguardo verso quella gente è un errore che potrebbe costarti caro. La tua sopravvivenza dipende dall’isolamento che sei riuscito a importi, razzolando ai margini della società, piluccandone le briciole, nascondendoti dietro ogni angolo.  (...)



Continua a leggere su ParolediSicilia.it







venerdì 28 agosto 2009

Pensava fosse un cane e invece era la sua nemesi


di Mauro Mirci

(da ParolediSicilia.it)

Tatar Sarari ha 45 anni, è marocchino, vive a Enna. Il 25 di agosto del 2009, è martedì sera, se ne sta seduto davanti a un bar a Pergusa. Non conosciamo le condizioni climatiche. Data la stagione, la latitudine e la personale esperienza, immaginiamo condizioni caldo-umide degne di una foresta pluviale. A tali condizioni possiamo, volendo, associare una birra ghiacciata da almeno 400 cl, non di meno. Insomma, dipendesse da noi, preferiremmo. Tuttavia, Tatar Sarari è marocchino, è possibile non beva alcolici perché mussulmano, oppure astemio, oppure soltanto perché la birra non gli piace e preferisce bere altro. Allora facciamo che abbia davanti un bicchierone di aranciata gelata.
La spalliera della sedia sulla quale si trova sfiora la parete esterna del locale, lui guarda la strada (a Pergusa i locali si trovano lungo la statale 561, che attraversa l’abitato). Accanto a sè ha un bastone, appoggiato al muro.
Passa un cane, un “meticcio randagio di grossa taglia”. In realtà questa descrizione ci dice poco. Diciamo allora che si tratta di un grosso cane, pelosissimo, alto una settantina di centimetri al garrese. Avrà sei o sette anni. E’ fulvo, con una stella bianca sulla fronte, il pelo arruffato, grandi orecchie pendule, lo sguardo da povero diavolo. Qualcuno gli ha mozzato la coda, anni fa. Per divertimento. Lui ci ha sofferto un po’ perché la coda gli serviva per mangiare. La dimenava, festosa, davanti agli avventori dei locali che affacciano sulla SS561, e quelli s’intenerivano e gli allungavano un boccone.

venerdì 23 maggio 2008

Sono seriamente preoccupato

Tira un'aria nuova in Italia. Riuniti sotto bandiere azzurre e tricolori, i compatrioti vanno compattandosi intorno a un ideale di unità nazionale. E l'ideale è che tutto, nella Penisola, andrebbe bene se non fosse per qualcuno che, invece, mina dall'interno la salute della Patria.

Anni fa, studente universitario discretamente squattrinato e malvestito (e corredato di pelle olivastra, barba settimanale e capelli in disordine) fui scambiato per rumeno. Era tempo di gommoni dall'Albania e, dopo essermi guardato allo specchio, notai similitudini con l'aspetto di alcuni profughi in gommone visti in TV. Cosa che feci notare. E l'altro rispose seccato che albanese o rumeno poco importava, che tanto eravamo tutti marocchini.
Non so se ancora oggi potrei essere scambiato per rumeno, ma forse sì, anche perché sfido chiunque a distinguere un italiano da un rumeno (messi, un rumeno e un italiano, uno di fianco all'altro, nudi e muti, intendo). In ogni modo faccio la barba più spesso e porto i capelli corti.

Qualche annetto fa, poi, ebbi la ventura di vincere un concorso da dipendente comunale. Da allora rientro nella categoria dei dipendenti pubblici. Vivo ormai dietro a una scrivania, rispondo alle domande se di competenza, agisco per quanto di dovere, trasmetto a chi in indirizzo, e non riesco più a scrivere una lettera senza accreditarla con un numero di protocollo. Mi si è burocratizzato il pensiero e il linguaggio, e ciò è apprezzato in ufficio, ma molto meno da amici e familiari.

Bene, mi sono fatto l'idea che la riappacificazione nazionale dovrà passare, necessariamente, attraverso l'individuazione di uno o più nemici comuni. Alcuni si sa già chi sono, e cioé:
- Rumeni irregolari (ma non le badanti), che, si sa, sono tutti violenti, ladri e stupratori
- Pubblici dipendenti, poiché fannulloni, salvo dimostrazione del contrario.
Costoro saranno, nell'ordine, espulsi e licenziati.

Insomma, sono seriamente preoccupato.