Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

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giovedì 1 novembre 2012

Recensione di Fabrizio Centofanti a "Shechinàh"


Shechinàh, di Francesco Randazzo, é un poemetto straordinario, che trascina in un vortice di santi e puttane, carabinieri e migranti, situazioni quotidiane trasfigurate da un’ironia sottile, che a volte si trasforma in sarcasmo, a volte si scioglie in commozione che non puoi controllare. Una denuncia garbata e spietata, nello stesso tempo, delle contraddizioni che infarciscono la vita, sempre esposta al pericolo della rovina e al bagliore inaspettato della grazia. Un racconto allucinato e lucido che si snoda tra due abissi: quello di un male che degenera spesso nella farsa della mediocrità e quello di una dignità miracolosamente ritrovata. Si ha l’impressione di toccare con mano la gigantesca domanda d’amore di un’umanità derelitta e, contemporaneamente, di sfracellarsi contro il muro di una perpetua estraneità. Il tutto racchiuso in un linguaggio poetico frammentato e musicale, che ricorda certe opere novecentesche tra Sibelius e Bartók. Numerose le ascendenze che si potrebbero evocare: da Bob Dylan a Bertolt Brecht, da Ginsberg a Dostoevskij; ma l’esito finale é un’originalità compatta e fluida. L’amore di un poetico Gesù si comunica a un mondo variegato, fuori di ogni schema, dove l’unica certezza é la disperazione di innocenti che finiscono con l’inciampare casualmente in una inedita speranza. Tra filosofia e letteratura, teologia e hilarotragoedia, il poemetto fila via con aria impertinente e imperturbabile, come se l’unico modo per conoscere il mondo fosse quello di un sorriso leggero, sospeso tra Calvino e Milan Kundera, che si tira dentro la tradizione epica e lirica italiana, da Ariosto a Dario Fo. I miracoli di un Gesù un po’ dandy e un po’ comunista s’intrecciano con una scrittura che mescola clamorosamente Dio e il gorgonzola, il mistero della vita e il cavolfiore grande come un cocchio; un cortocircuito di cui diviene simbolo magistrale il trittico morte subita – risurrezione – morte accettata come approdo sereno di una vita retta, nella scena dell’incidente stradale; o in quella strappalacrime di Dio che vorrebbe dare al mondo corrotto una lezione esemplare, spaventosa e apocalittica, e invece é fermato dalla supplica di una semplice bambina. Il riso finale della coppia di giovani in amore é un sigillo che tiene viva, nella memoria del lettore, la densitá e la leggerezza di una storia senza tempo e, direi, felicemente riuscita.



Francesco Randazzo, Shechinàh, Amazon, euro 2,68.

martedì 2 agosto 2011

giovedì 17 marzo 2011

Parole alte, libere, franche...



«Trattando delle cagioni, che tornavano in nulla i tentativi di libertà nell'Italia – de' vizi che contrastarono al concetto rigeneratore di farsi via tra gli ostacoli, noi siamo ad un bivio tremendo.
O noi parliamo parole alte, libere, franche – parliamo coll'occhio all'Italia, la mano sul core, e la mente al futuro – parliamo, come detta la carità della patria, senza por mente ad uomini, o pregiudizi, snudando l'anima agli oppressori, ai vili, agli inetti, flagellando le colpe e gli orrori ovunque si manifestino – e un grido si leva dagli uomini del passato contro a' giovani che s'innoltrano nella carriera, ignoti alle genti, senza prestigio di fama, senza potenza di clientela, soli con Dio e la coscienza d'una missione: voi violate l'eredità de' padri, perdete la sapienza degli avi: voi usurpate un mandato, che il popolo non v'affida esclusivamente: voi cacciate l'ambizione di novatore frammezzo a' vostri fratelli!
O noi rineghiamo ispirazioni, studi ed affetti per una illusione di universale concordia – ci soffermiamo nella predicazione di principii nudi, teorici, astratti, senza discendere all’applicazione, senza mostrare nella storia de’ tempi trascorsi le violazioni di questi principii – erriamo intornoall’albero della scienza senz’attentarci di appressarvi una mano, lamentiamo una malattia esistente nel corpo sociale, senz’ardire di rimovere il velo che la nasconde e dire: là è la piaga! – e gl’Italiani indurano nell’abitudine degli errori...

O sospetti, o colpevoli – condannati al silenzio o alla guerra – esosi agli uomini che parteggiano per le vecchie dottrine, o traditori alla patria, che le provava fino ad oggi inefficaci e funeste. –

Noi parliamo tra i sepolcri de’ padri e le fosse de’ nostri martiri – e le nostre parole hanno ad essere forti, pure, incontaminate di lusinga e d’odio, solenni come i ricordi dei padri, come la protesta che i nostri fratelli fecero dal palco ai loro concittadini. –

E chi siamo noi perché abbiamo a calcolare i nostri discorsi dalle conseguenze personali? L’epoca degli individui è sfumata. Siamo all’era de’ principii... Gli uomini passano. La posterità sperde il garrito delle fazioni; ma i principii rimangono: – e guai all’uomo che tenta una impresa generosa e s’arresta davanti alle conseguenze quali esse siano!
Una idea – e l’esecuzione: ecco la vita, la vera vita per noi: una idea generosa, spirata dalla potenza che creava l’uomo ad essere grande, lampo della primitiva ragione, quando l’anima giovine, vergine di pregiudizi, di vanità e di meschine paure s’affaccia ai campi dell’avvenire, che l’angiolo dell’entusiasmo illumina d’un raggio immortale – ed una esecuzione costante, assidua, ostinata, sviluppata in tutte le fasi dell’esistenza, nelle menome azioni, come ne’ rari momenti che vagliono un’epoca, in una epistola famigliare, come in un volume di meditazioni, ne’ segreti della cospirazione come nella pubblica testimonianza del palco. A questi patti s’è grande e del resto avvenga che può, perché l’uomo il quale si slancia nella crociata dell’umanità senz’aver dato un addio a’ calcoli, ai conforti, a tutte quante le gioie della vita, non ha missione....
In politica, non v’è che un sistema d’azione stabilmente efficace: il sistema che matura i principii, sceglie l’intento, medita i mezzi, poi si pone in moto senza deviare a dritta o a sinistra, facendo gradino degli ostacoli, non rifiutando le conseguenze logiche de’ principii e guardando innanzi. –
La verità è una sola – l’ecclettismo applicato alla scienza d’ordinamento sociale ha prodotta una dottrina che l’Europa de’ popoli infama e rinnega – e la stolta pretesa di voler conciliare elementi che cozzano per natura, ha rovinate a quest’ora più sorti di popoli, che non l’armi aperte o le insidie della tirannide. – Oggimai s’è giunti a tanta incertezza di sistemi e di vie, che le moltitudini, affaticate pur sempre dal desiderio del meglio, si stanno inerti, aspettando che i loro istitutori s’intendano fra di loro.
Applichiamo queste idee all’Italia.»

Giuseppe Mazzini

da "D’ALCUNE CAUSE CHE IMPEDIRONO FINORA LO SVILUPPO DELLA LIBERTÀ IN ITALIA".

link al testo completo:


lunedì 14 giugno 2010

"L'ultimo" un racconto di Mauro Mirci

Sei tutto ricompreso nella tua solitudine stinta, inaridita, mentre rimesti con un dito una goccia d’acqua sulla vitrea superficie del tavolo e disegni ghirigori minimalistici. Il tuo campo visivo è limitato alla parete verde marcio che hai di fronte, movimentata solo dalle macchie d’umido e dai graffi impressi nell’intonaco.Sai che hai commesso un errore a venire qua, ma volevi sentire la gente, la vita che scorre, anche se devi accontentarti di raccoglierne l’eco riflessa sulla parete verde marcio di un locale della metropolitana aperto tutta la notte. Vorresti, ma eviti di guardare i pochi avventori che stanno alle tue spalle, perché hai paura che qualcuno di loro possa riconoscerti per quello che sei. Ma sai che potrebbero riconoscerti, o almeno sospettare, pur senza guardarti negli occhi, anche solo per quell’insistito ignorarli, e allora anche non rivolgere lo sguardo verso quella gente è un errore che potrebbe costarti caro. La tua sopravvivenza dipende dall’isolamento che sei riuscito a importi, razzolando ai margini della società, piluccandone le briciole, nascondendoti dietro ogni angolo.  (...)



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venerdì 5 marzo 2010

Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano.



"Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo. Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale.
 La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto.
Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto.
Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei.
Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt'al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po' ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo.
Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano.
Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto,cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile,e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare."



Elsa Morante 1945
(da Aprileonline.info)

lunedì 1 marzo 2010

Una poesia di Roberto Bolaño

La rivista online VICE, pubblica la traduzione di una poesia di Roberto Bolaño


La poesia, in lingua originale è questa:


Los perros románticos

En aquel tiempo yo tenía veinte años
y estaba loco.
Había perdido un país

pero había ganado un sueño.
Y si tenía ese sueño
lo demás no importaba.
Ni trabajar ni rezar
ni estudiar en la madrugada
junto a los perros románticos.
Y el sueño vivía en el espacio de mi espíritu.
Una habitación de madera,
en penumbras,
en uno de los pulmones del trópico.
Y a veces me volvía dentro de mí
y visitaba el sueño: estatua eternizada
en pensamientos líquidos,
un gusano blanco retorciéndose
en el amor.
Un amor desbocado.
Un sueño dentro de otro sueño.
Y la pesadilla me decía: crecerás.
Dejarás atrás las imágenes del dolor y del laberinto
y olvidarás.
Pero en aquel tiempo crecer hubiera sido un crimen.
Estoy aquí, dije, con los perros románticos
Y aquí me voy a quedar.





mercoledì 2 settembre 2009

LibriDine su "Con l'insistenza di un richiamo"


LibriDine:
Racconti di un’Italia a Tinte Fosche, Peppe Fiore e Francesco Randazzo
di Angelo Orlando Meloni

(...)
Francesco Randazzo, giovane drammaturgo e regista siracusano attivo da tempo con la sua Compagnia degli Ostinati, è autore eclettico che gioca con le parole mischiando sacro e profano, e che con questa raccolta, intitolata Con l’insistenza di un richiamo, si è voluto calare in un delirio bianco rosso e verde a tratti bellamente pulp.
(...)

Leggi l'intero articolo su SIRACUSA NEWS


venerdì 28 agosto 2009

Pensava fosse un cane e invece era la sua nemesi


di Mauro Mirci

(da ParolediSicilia.it)

Tatar Sarari ha 45 anni, è marocchino, vive a Enna. Il 25 di agosto del 2009, è martedì sera, se ne sta seduto davanti a un bar a Pergusa. Non conosciamo le condizioni climatiche. Data la stagione, la latitudine e la personale esperienza, immaginiamo condizioni caldo-umide degne di una foresta pluviale. A tali condizioni possiamo, volendo, associare una birra ghiacciata da almeno 400 cl, non di meno. Insomma, dipendesse da noi, preferiremmo. Tuttavia, Tatar Sarari è marocchino, è possibile non beva alcolici perché mussulmano, oppure astemio, oppure soltanto perché la birra non gli piace e preferisce bere altro. Allora facciamo che abbia davanti un bicchierone di aranciata gelata.
La spalliera della sedia sulla quale si trova sfiora la parete esterna del locale, lui guarda la strada (a Pergusa i locali si trovano lungo la statale 561, che attraversa l’abitato). Accanto a sè ha un bastone, appoggiato al muro.
Passa un cane, un “meticcio randagio di grossa taglia”. In realtà questa descrizione ci dice poco. Diciamo allora che si tratta di un grosso cane, pelosissimo, alto una settantina di centimetri al garrese. Avrà sei o sette anni. E’ fulvo, con una stella bianca sulla fronte, il pelo arruffato, grandi orecchie pendule, lo sguardo da povero diavolo. Qualcuno gli ha mozzato la coda, anni fa. Per divertimento. Lui ci ha sofferto un po’ perché la coda gli serviva per mangiare. La dimenava, festosa, davanti agli avventori dei locali che affacciano sulla SS561, e quelli s’intenerivano e gli allungavano un boccone.

giovedì 30 luglio 2009

“SE VOI FOSTE PERSONE NORMALI”


Se foste un rom, quella di Salvini non vi apparirebbe come la sortita delirante di un imbecille da ridicolizzare.

Se foste un musulmano, o un africano, o comunque un uomo dalla pelle scura, il pacchetto sicurezza non lo prendereste solo come l’ennesima sortita di un governo populista e conservatore, eccessiva ma tutto sommato veniale.

Se foste un lavoratore che guadagna il pane per sé e per i suoi figli su un’impalcatura, l’annacquamento delle leggi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro non lo dimentichereste il giorno dopo per occuparvi di altro. Se foste migrante, il rinvio verso la condanna a morte, la fame o la schiavitù, non provocherebbe solo il sussulto di un’indignazione passeggera.

Se foste ebreo sul serio, un politico xenofobo, razzista e malvagio fino alla ferocia non vi sembrerebbe qualcuno da lusingare solo perché si dichiara amico di Israele. Se foste un politico che ritiene il proprio impegno un servizio ai cittadini, fareste un’opposizione senza quartiere ad un governo autoritario, xenofobo, razzista, vigliacco e malvagio.

Se foste un uomo di sinistra, di qualsiasi sinistra,non vi balocchereste con questioni di lana caprina od orgogli identitari di natura narcisistica e vi dedichereste anima e corpo a combattere le ingiustizie.

Se foste veri cristiani, rifiutereste di vedere rappresentati i valori della famiglia da notori puttanieri pluridivorziati ingozzati e corrotti dalla peggior ipocrisia.

Se foste italiani decenti, rifiutereste di vedere il vostro bel paese avvitarsi intorno al priapismo mentale impotente di un omino ridicolo, gasato da un ego ipertrofico.

Se foste padri, madri, nonne e nonni che hanno cura per la vita dei loro figli e nipoti, non vendereste il loro futuro in cambio dei trenta denari di promesse virtuali.

Se foste esseri umani degni di questo nome, avreste vergogna di tutto questo schifo.

MONI OVADIA

Fonte: L’Unità 09.05.2009

lunedì 27 luglio 2009

PICCOLA BOTTEGA DI QUOTIDIANI ORRORI

Con l’insistenza di un richiamo
di Francesco Randazzo

(Lupo Editore)

Rec. di Silla Hicks - Stefano Donno


Finalmente uno che ha letto Charles Michael "Chuck" Palahniuk, che l’ha studiato, anzi, è da credere. 110 pagine – 109 – che si leggono in mezz’ora, leggere nel loro terrificante disincanto, e benedette dal filo rosso dell’ironia. Avete presente Soffocare? C’è molto di Chuck, in questi raccontini che parlano di stupri, serial killer, pedofili ed estreme “second lives” come di cose quotidiane, normali, ormai parte del nostro habitat che s’è giocato ogni pudore e ogni valore, e sopravvive incosciente di se stesso. Ognuno è una piccola bomboniera – di tulle nero, è chiaro – che nasconde confetti avvelenati, ma deliziosi: il precario che esce a comprare l’ascia con cui dissezionare il cadavere della sua affittacamere e viene pestato sul raccordo da un lubrico vecchietto, il pedofilo disgustato da un’anziana checca che l’ammazzerebbe per pietà, l’extracomunitario massacrato nel sebac che s’identifica con gli escrementi attorno, l’Elettra moderna che vendica la madre morta di corna uccidendo il padre satiro e paraplegico con i piatti rotti, quello che resta della furia impotente della genitrice.
E poi la prof. obesa di filosofia che vive una vita virtuale hard e una reale di forzata astinenza (dopo la relazione con un prete, cui ha messo fine letteralmente a morsi), e soprattutto il monologo del serial killer sociologo, che ha ucciso 197 persone in 20 anni con precisione chirurgica, clone italico di Dexter, il racconto più lungo e più ispirato, quasi un testo teatrale, e difatti l’autore è regista e sceneggiatore, e si vede. In un mondo che va a rotoli, che convive con l’orrore su tutte le prime pagine e in tutti i TG, questo signore resta immune – e fieramente – dai “cuori mocciolosi” e dai lucchetti ai lampioni, e racconta ciò che vede proteggendosi con l’unica arma che l’intelligenza ha mentre dilaga il buio della mente, l’ironia vera, quella di Pirandello, che è via di fuga e alternativa alla follia. Non si può raccontare, questo libricino che davvero diverte, e insieme fa pensare senza importelo: bisogna leggerlo, e non è uno sforzo, perché, lo ripeto, è scritto con un lessico famigliare che non l’appesantisce oltre i 30 grammi di carta con cui è fatto, dimostrando che si può parlare di tutto usando le parole come tessere da colorare a piacere.
Come per le “Schegge” di Schifano, non è la dimensione che conta, ma la luce, la grana pastosa che t’ipnotizza davanti al fogliettino: sono solo schizzi, sì, ma fatti bene, infinitamente meglio di colossali tele imbrattate giusto per fare cassa.
Non m’esprimo sui lucchetti ai lampioni, io che porto le catene attorno al cuore e un cuore spezzato tatuato sopra il braccio, ma mai mi sognerei d’incatenarlo a qualcosa. Dico solo che ci ho provato, a leggere quei libri, e non sono arrivato oltre pagina quattro, mentre questo qui non volevo che finisse, e quando l’ho chiuso sono rimasto a rifletterci, in silenzio.
Indubbiamente è tosto, sì, ma non più di un ispirato Tarantino o di una performance di Orlan: è una secchiata d’acqua che ti sveglia, e no, non chiamatelo pulp, parola scagliata da Hank e abusata da tutti gli altri a seguire, soprattutto dopo la fiction di Wolf il risolutore e compagni.
Non chiamatelo pulp, perché pulp fa spesso rima con cool, e il cool questi racconti lo sbeffeggiano con l’acume concreto che ha chi non si fa abbagliare dai lustrini della civiltà dell’immagine, e riesce ancora a cogliere la vera natura delle cose: leggetelo, e basta.
E poi, cercate di credere che sia solo fantasia. Provateci, almeno. Se volete riuscire a dormire.

(Con l’insistenza di un richiamoFrancesco RandazzoLupo Editore 2009)


martedì 21 luglio 2009

Come si leggono i libri: libri, donne e salsicce

di Mauro Mirci

Il testo che segue è già apparso su Vibrissebollettino.net nel gennaio 2007. Il tema era “come si leggono i libri”. ma.mi.

Come si leggono i libri. Come vuoi che si leggano i libri? Apri l’oggetto e ci guardi dentro sperando di capire quello che c’è scritto. Personalmente non sono mai venuto meno a questo metodo di lettura e mi sono sempre trovato bene.
Risposta troppo secca, capisco. Vediamo.
Fino a una certa età mi è toccato leggere lontano dagli occhi dei parenti (escludo mio padre, lettore avido anche lui ma, ahimè, sempre fuori casa). C’era questa credenza, in casa mia, che la lettura facesse male alla vista. Per questo motivo leggere veniva considerato un sacrificio, un immolare il bene preziosissimo della vista sull’altare della conoscenza. Quindi l’unica lettura ammessa e commendevole era considerata quella dei testi scolastici.

La mia povera nonna, buonanima, sacrificò ben tre figlie alle scienze e alle lettere, diplomandole maestre di scuola elementare (no, due di scuola elementare, una d’asilo), con grave turbamento d’animo per aver permesso che gli occhi delle sue beneamate fossero messi, così a lungo, in costante pericolo di forte miopia o, addirittura, cecità. Altre due figlie non vollero invece aver nulla a che fare coi libri e i loro antisalutari effetti. Lavorarono come operaie, sarte, casalinghe, cuoche, mamme e quant’altro. Si adattarono alla vita producendosi in tutte quelle attività che, ove non venissero svolte, impedirebbero a noi inerti lettori di romanzi di campare serenamente e con qualche confort.

Una delle due è mia madre. (...)

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martedì 30 settembre 2008

"Niente birra ai nazisti"


Articolo di Riccardo Orioles tratto dalla Catena di San Libero n. 370 (27 settembre 2008)

"Niente birra ai nazisti"

"Non si serve birra ai nazisti". A Colonia, su tutti i tavolini, c'era questo cartello. C'erano folle di cittadini, in tutte le strade, decisi a non lasciar passare i nazisti. C'era un sindaco con le idee molto chiare: questa città è antinazista e nazisti non ne vuole. Così, pacificamente, senza eccitarsi troppo e ridicolizzando i violenti, i tedeschi hanno mandato a quel paese gli estremisti della "destra europea".

In Italia le cose sarebbero andate (e vanno) ben diversamente. Se invece che a Colonia fossimo stati a Verona, il corteo dei nazisti si sarebbe svolto, le grida di Heil Hitler e Duce Duce si sarebbero sprecate, ci sarebbe stato uno stillicidio di immigrati picchiati e gay mandati all'ospedale. Qualcuno dei cittadini, con "l'aria da sovversivo", magari ci avrebbe lasciato la pelle. E il giorno dopo il governo avrebbe tranquillamente dichiarato "vabbe', cose che succedono, niente di straordinario in fondo", mentre un ministro avrebbe inneggiato alla Gestapo e un altro alle Ss.

Due generazioni dopo Hitler e Mussolini, i tedeschi sono antifascisti e gli italiani no. I tedeschi hanno legge e ordine, gl'italiani camorra e Calderoli. I tedeschi sono civili e democratici, gl'italiani votano a destra e si menano a ogni occasione. I tedeschi, sicuri di sé, lavorano con due milioni di turchi senza problemi. Gli italiani, insicuri e svenevoli, sono il paese più impaurito del mondo e digrignano i denti appena vedono un altro essere di diverso colore. Eppure i fascisti "duri" erano i tedeschi, noi italiani eravamo i "brava gente", gli Alberto Sordi, anche in camicia nera, paciocconi e umani. Come mai tanto tempo dopo loro si sono civilizzati e noi no?

Il fatto è che il tedesco, persona seria, ha saputo fare i conti con se stesso. Ci voleva coraggio per farlo. Le guerre, Auschwitz, le grandi piazze vocianti di Norimberga. I tedeschi hanno guardato in faccia tutto questo, hanno ragionato freddamente sui loro orrori. Ne hanno individuato i meccanismi, le radici, e hanno deciso "mai più". Non hanno avuto un partito neonazista (come da noi il Msi) corteggiato e infine assunto al governo. Non hanno avuto un neonazismo giustificato e coccolato. Lì, se un ministro dicesse "Onore alle Ss!" sarebbe sbattuto a calci un attimo dopo fuori dal governo. Non c'è un sindaco neonazista di Amburgo o Brema. Lì si ricordano ancora del passato. Ne accettano la responsabilità, da uomini. Non lo vogliono più.

Noi, "brava gente", in realtà siamo dei minorenni. "Non siamo stati noi". Siamo stati ingannati da Mussolini, costretti dai tedeschi, imbrogliati. Noi non volevamo. Non volevamo ammazzare i sindacalisti, o impiccare i libici, o bombardare gli etiopi con l'iprite. L'abbiamo fatto senza accorgercene, senza volerlo davvero, senza colpa. E dunque, tranquillamente, ci siamo assolti - è stato un gioco. E adesso siamo pronti a ricominciare.

Qualunque operaio nero, qualunque straniero, dopo quindici giorni d'Italia capisce benissimo la differenza. Fra noi italiani simpatici, brava gente, ma in fondo semifascisti e violenti, e un qualunque europeo noioso e grigio, ma civile.

Per proseguire con la lettura della Catena di San Libero:
http://www.ritaatria.it/LeggiNews.aspx?id=642

mercoledì 5 marzo 2008

L'umiltà è cara, e stimata virtù.



E non per altra cagione sono odiose e riputate contrarie alla buona creanza le lodi di se medesimo, se non perchè offendono l'amor proprio di chi le ascolta. E perciò la superbia è vizio nella società, e perciò l'umiltà è cara, e stimata virtù.

(Giacomo Leopardi - Zibaldone - 7 Aprile 1821.)

domenica 20 gennaio 2008

Discorso sopra lo stato presente

Discorso sopra lo stato presente
dei costumi degl'Italiani

Non è da dissimulare che considerando le opinioni e lo stato presente dei popoli, la quasi universale estinzione o indebolimento delle credenze su cui si possano fondare i principii morali, e di tutte quelle opinioni fuor delle quali è impossibile che il giusto e l’onesto paia ragionevole, e l’esercizio della virtù degno d’un savio, e da altra parte l’inutilità della virtù e la utilità decisa del vizio dipendenti dalla politica costituzionale delle presenti repubbliche; la conservazione della società sembra opera piuttosto del caso che d’altra cagione, e riesce veramente maraviglioso che ella possa aver luogo tra individui che continuamente si odiano s’insidiano e cercano in tutti i modi di muoversi gli uni agli altri. Il vincolo e il freno delle leggi e della forza pubblica, che sembra ora essere l’unico che rimanga alla società, è cosa da gran tempo riconosciuta per insufficientissima a ritenere dal male e molto più a stimolare al bene. Tutti sanno con Orazio, che le leggi senza i costumi non bastano, e da altra parte che i costumi dipendono e sono determinati e fondati principalmente e garantiti dalle opinioni. In questa universale dissoluzione dei principii sociali, in questo caos che veramente spaventa il cuor di un filosofo, e lo pone in gran forse circa il futuro destino delle società civili e in grande incertezza del come elle possano durare a sussistere in avvenire, le altre nazioni civili, cioè principalmente la Francia, l’Inghilterra e la Germania, hanno un principio conservatore della morale e quindi della società, che benché paia minimo, e quasi vile rispetto ai grandi principii morali e d’illusione che si sono perduti, pure è d’un grandissimo effetto.