Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

venerdì 27 maggio 2011

La cottura del pane - B. de Angelis

Trovarsi di fronte alla morte senza niente da dire a riguardo.

Trovarsi di fronte a dio senza domande da porre.

Quello che Bernardo de Angelis propone nel suo “La cottura del pane” è un viaggio che nella stessa capsula spaziotemporale tiene insieme materia e antimateria, umano e divino, anima e corpo, fede ed esperienza del divenire quotidiano.

C’è una nudità che cerca di spogliarsi ulteriormente, continuamente, che afferma ad alta voce quanto la purezza sia il traguardo di un percorso e non un temporaneo stato di grazia infantile.

C’è consapevolezza ma sono bagliori (come è giusto), meditazione che può essere turbata dalla visione di un seno, spirito che non dimentica la carne celebrando un’ascesi forzosa e forzata.

De Angelis non cerca la decontaminazione soggettiva, cerca la coniugazione universale tra cielo e terra trovandosi intrappolato nel mezzo, spesso con le spalle al muro, in una dimensione fluttuante che è il miglior terreno poetico per l’indagine della natura umana (e divina).

L’apparente semplicità del cuocere il pane nasconde un’energia enorme che si trasmette immediatamente come il calore del forno ai polpastrelli incauti e a tratti le pagine scottano, lasciano bolle da ustione nei pensieri che dalla notte dei tempi vorticano dentro ognuno di noi. De Angelis ha scelto di affrontarli con apocalittica pazienza, di usare i gesti come countodwn verso il grande giorno, di non finire sepolto dalla frenesia del mondo moderno e continuare il proprio cammino. Solitario, come altrimenti non potrebbe essere, anche se il prezzo da pagare è alto, altissimo, lasciando che tutto si perda meno il nome di dio.

Il nome di dio e la poesia.

Il picco di intensità mistica genera il picco di intensità artistica, e nascono versi senza titolo, come francescani scalzi e coperti dal saio di iuta.

Versi che pesano di una semplicità sconfortante e non lasciano scampo, non c’è modo di rifugiarsi in una pianura senza alberi però è possibile rendersi conto delle proporzioni di sé, ricalibrare l’ego in funzione del prossimo, del tutto e dell’assoluto.

Ma non è affatto semplice la relazione con dio, non si risolve in immanenza opposta a consunzione, è anzi pervasa di questioni e sensazioni che hanno necessità di essere rappresentate ai simili, senza intento didattico – “non so spiegarvelo il mondo”- bensì divulgativo. Non è previsto feedback, non ci sono dibattiti da aprire o ragioni da comporre, non ci sono neanche verità da scovare tra le righe, De Angelis (missionario idente) cammina sulle stesse strade che ogni giorno ci portano agli uffici, alle case, ai luoghi dello svago ma non partecipa al rinfresco, sa essere vuoto, rimanere all’interno della bolla che lo protegge e da cui può vedere “anche Cristi afferrare i polsi ai perduti”. La sua calma è affollatissima, brulica come un dipinto di Pollok tanto che la silloge appare come un unico grande mantra senza capo né coda –un rosario circolare- fondamentale per rimanere concentrato ed evitare le distrazioni, per non avere luogo stabile dove posare il capo quando un altro giorno finisce.

“Perché stanotte le ore erano quiete? Ho paura d’una pace ingiusta”.

Non c’è pausa nella ricerca, la quiete –anche un solo attimo- è mancanza di dialogo con dio, è paura di rimanere davvero solo, di trovarsi all’improvviso ad aver inseguito una chimera e bruciato un’esistenza.

È impaziente De Angelis, la sua poesia è un catalizzatore di eternità, un acceleratore della lievitazione che gonfia l’impasto fino alla tangenza celeste, mentre la vita terrestre scorre.

Lorenzo Pezzato

B. de Angelis -La cottura del pane, Lombar Key 2010

martedì 17 maggio 2011

Ricordi

Nascere
sudare nel pieno dell’agosto
sgusciare
pio pio fa il pulcino
rotta l’incorruttibile figura
architettonica ovale
angurie succose semi cosparsi sputati
Elvis dalle Hawaii canta via satellite
mondovisione rock scontri tra studenti
manganelli fasci falci lacrime lacrimogene
lacrime di neo-nato contrappunto nel duetto
patria vita- vita privata.
***
Di asfalto alcuna traccia
via secondaria ghiaiosa
e piazzetta divoratrice di ginocchia carnose
e le rose del vicino
furti conclamati eseguiti ad arte
dai passanti e ripassanti
stupri spinosi consentiti dalla legge personale
dell’orgoglioso lui le cui falangi verdi.
Contorni ingialliti
Alfasud grigia
punta al garage.
***
Spasmi
coda caduta
fuggitiva lucertola infrattata
mattoni più edera invincibile rifugio
ombra corre sulla meridiana
la tana assediata
pargoli primitivi appiccano
fuochi fumosi
finché voci materne
sopra il grido delle rondini
rintoccano per cena.
Sciamare (ronzando).
***
Dieci metri di cemento
armato fino ai denti
torcicollo con vertigine
(schianto di motorino in un tempo dimenticato)
beata vergine rinchiusa cla-usura
con-vento il mondo fuori
il mondo dentro
specchi asimmetrici divisi da muro grigio
intervalli regolari di curiosità reciproche
quotidie sulle vie del gioco o dello studio
un pensiero rimane intrappolato
come attirato da marzapane.
***
Pi greco per raggio al quadrato
formula del campo da gioco
selciato ruvido
sferici scacchi in cuoio
prede per lo squartatore
(qualcuno deve avergli rubato l’infanzia)
poco spazio massimo cinque per squadra
scoperta la prepotenza
dei grandi –ma il pallone è mio!-
ammesso il sopruso malizioso suggerimento
sul di lì in avanti.
***
Spunta dal fienile
muso di fusoliera propaggine puntuta
bombardante fuori uso
già intuisce col grigio pescecane
future brandite secessioni
lo stringere bulloni
basta attrezzi agricoli
saltare tra i covoni
toglie serietà alla situazione
pericolo latente si racconta
il contado graduato
spari a sale grosso.
***
Numeri in colonna
somme microscopiche
tracce di passaggi rapporti
fiduciari baratto a credito
nelle botteghe
madre infuriata alla resa
dei conti so-spesi
ghiaccioli di menta dolciumi
al pezzo al piccolo prezzo
nello scartoccio come il pomeriggio
in pugno.
***
Senza macchia o paura
prode in armatura scintillante
auto parcheggiate in fila
sputano fiamme mostrano
zanne corna corpi squamosi
Pirelli con artigli
emettono versi infernali
giù la visiera sguainata la spada
legno mutato in acciaio
prodigio del mago di corte
solco stridulo altezza mezza portiera
corsa a perdifiato
peccato
dal balcone del castello
alla scena assiste lo sgherro
nobiluomini piangono creature sfregiate
calcolano il danno.
Il prode ritira in ripostiglio.
***
Uomo con pipa
scolpito su ciocco
vicino al camino
consunta compagnia
nella vacanza in montagna
consueta
lo slittino pendii al parco giochi
frutti di bosco man-giati a man-ciate
le marmellate nei krapfen.
Si(gn)ora Rita –mia cara- sei ancora quella?
Di quando cento chilometri non viaggio ma avventura?
***
“Quattro in buca
tentando senza schiocco”
la partita si fa tesa
rotola una biglia
radici foglia secca una formica
la speranza vincere rincasare
con sacchetto gonfio (nichelino in osso preziosissimo)
pollice e indice del trionfo
baruffe partoriscono sfide
platani frondosi ombreggiano.
***
Cresce la città
orizzonti escono dai portici
del centro quadricipiti a pedali
motorizzano interessi oltre il videogioco
quadrupedi saltano ostacoli
circolo equestre scoppia di belmondo
profumato di grasso per finimenti
attenti i piccoli cani
a non sporcarsi di sterco.
Nel rettangolo alfabetico
l’isterico colonnello sorretto a stampella
grida regole del dressage.
***
Pioggia nel pineto
mentre cielo sereno ripara
con tiepido sipario oscuro
la prima Ermione
che inaspettato bacio silvestre
regala regola lingua
sussume esperienza (invece prima)
battesimo con saliva
di sfuggita palmo cinge seno
zaino Invicta cuori a pennarello
cestino bicicletta pupazzetti pendenti
delizioso odore di erba tagliata
fuori dal resto.
***
Pellicola corrotta
luce bianca dal proiettore
parete torna parete
scompare ogni immagine
dall’avanzare nel tempo-roulant
prodigo l’enfant
vorrebbe tornare tra braccia
il cambio di scorta nella borsa rossa
Fissan in pasta a incollare ricordi
quei pochi. Che poi per gli altri
sono nulla.

(Lorenzo Pezzato - 2011)