Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

sabato 29 gennaio 2011

Ho fatto testamento in mio favore

1
Sono a centoventi testamenti
Ammetto che amo lasciarmi
oggetti sempre più importanti
La cosa più bella è toglierli agli altri
Quando il notaio leggerà
le mie ultime volontà
vorrei che lì fossero presenti
parenti amici e conoscenti
e a ognuno di loro lasciare
il nulla che mi accingo a diventare

2
Paziento
in attesa di fare testamento
M' invento
che incontro la mia Cenerentola
e la trasformo in una sventola
Però intanto
col pugno sotto al mento mi lamento
che nella realtà è tutto un po' diverso
Ballo un lento
con me stesso
stringendomi stretto
e sussurrandomi
parole incomprensibili all' orecchio

giovedì 20 gennaio 2011

dal 26 al 30 gennaio 2011 - Teatro Keiros Roma





 
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sabato 15 gennaio 2011

Si riparano bambole


di Lorenzo Pezzato



Una mattina ti alzi, accendi il pc a riposo sulla scrivania, connessione automatica e sei online.
Un fatto banale, alla stregua di lavarsi i denti.
Un fatto che segna l’ingresso in un flusso di avvenimenti che mai si sono fermati, una marea in movimento perpetuo all’inseguimento del fuso orario, l’esistenza umana che si snoda lungo un percorso casuale senza capo né coda, un’evoluzione continua, un processo simile alla lievitazione in cui ognuno versa i propri grammi di farina rendendolo potenzialmente infinito.
Da questa massa mobile ed eterea è possibile sezionare dei tratti, ad esempio il periodo di tempo in cui si sta davanti al monitor, una semiretta di accadimenti che è una storia finita in sé, un estratto secondo l’invarianza di scala del complesso degli avvenimenti globali. Della corrente calda oceanica non è possibile determinare inizio e fine, è un ciclo (un sistema) aperto, così il complesso delle informazioni circolanti nella rete (sociale, non solo elettronica).
Si riparano bambole di Antonio Pizzuto è una di quelle semirette.
Nulla c’entra lo stream of consciuousness di Joyce, lontano più che mai dall’occhio osservatore pizzutiano, un occhio soggettivo spogliato di soggettività anche quando il riferimento è autobiografico, quasi a ripescare la proprie memorie dopo che queste si sono spogliate di qualunque personalizzazione mescolandosi alla massa dell’oggettivo.
È impressionante l’aderenza dello scrivere di Pizzuto con la nostra contemporaneità e le sue architetture evolutive nel senso della comunicazione, della narrazione e non del racconto, e questo la dice lunghissima sui passi avanti che il genio siciliano aveva fatto rispetto al suo tempo.
Si riparano bambole è un ingresso qualunque seguito da un’uscita qualunque, come se ci si fosse imbattuti in un viral-video di trenta secondi sulla vita di un qualcuno nel bel mezzo di nove ore di navigazione web ininterrotta.
Si riparano bambole è un evento indeterminato, un non-evento, un ossimoro biografico di straordinaria raffinatezza, una sorta di letteratura in codice binario elementare come solo i fenomeni ad alta complessità sanno essere, una storia rigida nel suo essere fermata in parola ma che si consegna al continuo rinnovamento proprio attraverso l’indeterminatezza.
È un’opera d’arte che non spiega sé stessa, si espone — è il caso di dire — alla compenetrazione col fruitore e il suo bagaglio emotivo, è materia inerte psicoreattiva (altro ossimoro) come la gelatina che scorreva nelle fogne di New York nel celebre film dei Ghostbusters, tanto per mescolare a questa riflessione qualche reminescenza generazionale cultpop.
Certo non è banale o popolare confrontarsi con Pizzuto, al contrario è un fatto drammatico e antidemocratico perché obbliga a proseguire nel confronto senza che la propria volontà possa qualcosa per contrastare la dispotica grandezza dell’autore. Ma è il primo impatto, la prima lettura, come il primo accesso ad internet, che lascia sbalorditi per l’immensità cui ci si affaccia e spaventa per la mancanza di punti di riferimento, di percorsi chiaramente segnalati, per il rischio di perdersi in una inconcludenza ectoplasmica. Poi si inizia a navigare e si impara a riconoscere la stella polare.
Coloro che hanno scritto che la letteratura di Pizzuto non è necessaria hanno perfettamente ragione, ma è da quella letteratura non necessaria che la necessità della letteratura è esaltata.

Antonio Pizzuto
Si riparano bambole
a cura di Gualberto Alvino
Milano, Bompiani, 2010

lunedì 10 gennaio 2011

Cuiusque burlesque

Noli me tangere
e per favore
non piangere

Sine ulla spe
t'assicuro
che non penso a te

Per aspera ad astra
disse il pesce
nella pozza salmastra

Alea iacta est
m'allontano
fino a Budapest

Cuccuruccuccù paloma
cicero pro domo sua

Ambarambà ciccì cocò
mi nascondo nel comò

Audaces fortuna adiuvat
in un angolo l'abiura

Fallacia alia aliam trudit
o gallina che trasudi

Cuiusque suum
e chi s'è visto s'è visto

Alium silere quod voles, primus sile
Zitti zitti piano piano senza parlar

Do ut des
oppure no

©francescorandazzo-2011


sabato 8 gennaio 2011

Alfonso Lentini su "Pagelle" di Antonio Pizzuto


Sintassi narrativa
"L'Indice dei libri del mese", dicembre 2010, n. 12, p. 15




Antonio Pizzuto
Pagelle
Edizione critica commentata di Gualberto Alvino
pp. 340, € 24,00
Polistampa, Firenze 2010


Se la scrittura di qualità non risulta conciliabile con la facile vendibilità, oggi sembra quasi impossibile che possa trovare spazio presso la grande editoria e addirittura, come ha giustamente notato anche Silvia Ballestra sulla nuova serie di "Alfabeta", la qualità può diventare una sorta di imbarazzante ingombro, un ostacolo alla pubblicazione.
In un quadro così desolante appare perfino temeraria l’azione della fiorentina Polistampa, da anni impegnata a promuovere e rilanciare l’opera di un autore, Antonio Pizzuto, che gode fama di essere tra i meno commerciali fra i classici del secolo scorso. E se ultimamente anche una casa editrice “gigante” come la Bompiani si è fatta avanti per offrire il suo decisivo contributo per la valorizzazione di questo autore, lo si deve senz’altro al lavoro caparbio, periglioso e prolungato che la Polistampa, con mezzi certamente più precari, ha avuto la forza di condurre finora, svolgendo per anni la funzione di audace battistrada.
Pagelle (edito in due volumi dal Saggiatore nel 1973 e nel 1975) è dunque la nuova ri/pubblicazione pizzutiana che l’editore fiorentino manda ora in libreria, dopo aver fondato nel 1998 una specifica collana che si propone di mettere in circolazione la produzione edita e inedita del grande scrittore siciliano (scomparso nel 1976, dopo aver conquistato, sia pure in età matura, gli entusiastici consensi della critica più sensibile ed in particolare quelli di Gianfranco Contini).
Pagelle appartiene alla produzione tarda di Pizzuto, cioè a quella considerata più oscura e involuta. Solo dopo il poderoso lavoro condotto con rigore filologico da studiosi come Gualberto Alvino e Antonio Pane dagli anni ottanta in poi, si è trovata una diversa chiave interpretativa di quegli scritti: l’apparente “oscurità” di Pizzuto non deriva dall’essere asemantica (né da “poetiche dell’indefinito”), bensì dal suo essere fortemente semantizzata, anzi talmente densa di significati compressi da presentarsi come una sorta di “buco nero” di materia linguistica altamente concentrata.
L’apparato critico che Alvino offre ora in questa pubblicazione si rivela dunque prezioso, anzi indispensabile per lo scioglimento dei nodi enigmatici che costellano le pagine (o pagelle, «sinonimo latineggiante di paginette», come ebbe a dire Pizzuto), dove l’opera non è più scandita in lasse (cioè episodi di un continuum narrativo), ma si snoda ad arcipelago, attraverso brevi componimenti in sé conchiusi: piccoli iceberg dove la scrittura prende le vie più impervie e rarefatte. Bandito ogni verbo dai modi finiti, si crea un effetto di sospensione sintattica che tende alla cristallizzazione nel vuoto di azioni, situazioni e personaggi. Le parole si fanno stranianti e quasi indecifrabili. La sintassi, pur rigida come filo spinato, tiene insieme un intrico di frasi che in effetti, senza un adeguato apparato critico e di note, potrebbe far pensare a una scrittura polisemica o astratta. L’effetto è raggelante, ma il lettore è posto di fronte a una prosa segmentata che, per quanto in apparenza impenetrabile, risulta pervasa da una strana e misteriosa armonia: «Come nei boschi cedui albero segnato, consimile per estinguendavi carica la residua vitalità al pendolo verso inanizione: baldo sempre infra urna contro parete».
La prima edizione di Pagelle uscì con note della scrittrice e traduttrice svizzera Madeleine Santschi, che si rivelarono però approssimative e piene di inesattezze. E le varie edizioni “nude” (cioè prive di note e di apparato critico) dell’“ultimo Pizzuto”, uscite quando l’autore era ancora in vita, non hanno certo contribuito a far chiarezza.
Va dunque riconosciuto che solo grazie al lavoro scientifico e instancabile di critici e filologi seri come Alvino, grazie alla loro ricerca quasi “da detective” volta a indagare nelle pieghe più riposte della caotica documentazione cartacea (oggi conservata nella sede della Fondazione Pizzuto) e negli episodi, anche minimi, della vicenda umana, le pagine di questo Autore cominciano adesso a illuminarsi di luce nuova e intorno vi si scopre una costellazione di riferimenti, fatti, citazioni, episodi biografici che danno a esse corpo più concreto, diremmo quasi un “fondamento materiale”. Riprendono insomma a camminare “con i piedi per terra” scritture che altrimenti sembravano sospese fra le nuvole dell’indeterminazione, diventando finalmente fruibili perfino da un lettore non specializzato che vi si può accostare anche solo per il piacere di seguire il percorso delle note con la curiosità con la quale si segue lo sviluppo di un giallo.
Ma per quanto rese ora decifrabili e più “leggibili”, bisogna tuttavia considerare che le Pagelle vanno distinte dal “racconto” tout court. Come scrive Alvino, Pagelle costituisce «l’atto di nascita della cosiddetta “sintassi narrativa”, spina dorsale del narrare opposto al raccontare». E infatti «narrare» per Pizzuto equivale a una scrittura “unicellulare”, volta ad abolire la stessa idea di scansione temporale. Di qui la scelta di una sintassi nominale e la trasformazione dei personaggi da «documenti» in «testimoni». Di qui il carattere puntiforme, franto, disarticolato, ma insieme potentemente espressivo (e sperimentale) di quest’opera, tra le più compiute della produzione di Pizzuto e certamente fra le più rappresentative di un’idea della scrittura che, piaccia o non piaccia, il Novecento ci ha lasciato in eredità.

domenica 2 gennaio 2011

J&H (2)



Un evento misterioso, da scoprire.
Il countdown prosegue.

Seguite gli indizi negli spot video.

(2)




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