Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

mercoledì 27 agosto 2008

Waz (5)


Waz fa rotolare un uovo sodo sul tavolo della cucina. Gira e ruota sbandando. Con un pennarello Waz disegna sul tavolo una specie di mappa, qualcosa che somiglia ad una pianta della città o addirittura del mondo. Linee rosse s'intersecano sul legno, secondo direzioni precise eppure prive di una logica assoluta. In cielo sarebbe impossibile tracciare un simile reticolato, anche perché sarebbe inutile. Waz non ha alcun bisogno di orientarsi fra le stelle, ma ha seri problemi a trovare la giusta direzione sulla terra. Finito di disegnare, fa la prova dell'uovo. “È un modello sperimentale, che esegue un esperimento ripetibile e quindi, se confermato dall'esperienza, vero e verificabile.”
Prende l'uovo e lo posa su un punto di partenza sulla mappa. Decide un punto d'arrivo in una linea retta. Posa un dito sul punto. Con l'altra mano fa rotolare l'uovo verso la meta. L'uovo ruota, gira, devia, ma non raggiunge il punto segnato. Waz ripete l'esperimento una decina di volte. Il risultato è sempre lo stesso. L'uovo non raggiunge mai il punto prefissato. Cambia il punto di partenza e d'arrivo e ripete la prova. Stessi risultati.
Cambia schema. Adesso il punto d'arrivo non è su una linea retta al punto di partenza, ma a zig zag o addirittura con una serie di linee rette e curve. Ripete l'esperimento. Tre volte su dieci l'uovo raggiunge la sua meta. Waz capisce che perché questo avvenga è necessario non lanciare mai l'uovo nella direzione verso la meta, ma sempre lateralmente o addirittura all'opposto. Non sa spiegarsi perché, ma funziona. Prova e ripete, tante volte, finché è certo che il risultato sia vero e verificabile.
Waz è stanco e soddisfatto, ma il risultato lo inquieta un po'.
Prende l'uovo e picchiandolo sul tavolo lo mette ritto al centro.
Finalmente un po' di pace.
Waz prende l'uovo, lo sguscia e lo mangia.
©francescorandazzo-2008


mercoledì 20 agosto 2008

Waz (4)

La valigia è aperta. Vuota e spalancata come una bocca che promette miracoli. Waz la guarda. Apre la bocca, la spalanca, tentando d'imitare l'espressione ottusa della valigia. Mette i piedi nel vano rigido, si siede, si acciambella lì dentro e con qualche difficoltà la chiude. Dall'interno riesce a fare scattare la chiusura. Si addormenta. Sogna di vivere su un tapis roulant, in un aeroporto internazionale. Gira sul nastro, senza che nessuno si accorga, come un bagaglio perduto. Dieci, cento, mille giri, mentre intorno si susseguono altre valigie e i viaggiatori le prendono, le caricano su carrelli stracolmi, vanno via. Waz, nella sua valigia, non vede nulla, ma sente il rollare leggero del nastro, il suono intermittente della spia che avvisa i viaggiatori, i tonfi dei bagagli che salgono dal fondo del magazzino e poi cadono sulla grande ellisse in movimento. Waz finge di essere felice, ma in realtà lì dentro non sta molto comodo e deve respirare piano perché non c'è molta aria. Quattordici giorni dopo, quando il cellulare squilla, Waz si sveglia di soprassalto e sussulta bruscamente, facendo riaprire la valigia. Risponde. Pronto? Sì, sono io. Sì, sì, proprio io. Tutto bene il viaggio, sì. Sono arrivato adesso. Sto al controllo bagagli, sì, va bene, domani ti chiamo. Sì, è stato un bel viaggio, sì, è durato poco purtroppo. Ma ho pensato molto, sai? A che? A niente in particolare e a tutto in generale. Sai come sono le vacanze, fai come ti pare, ti concentri sul culo delle turiste e salti su a pensare che se tutto al mondo era tondo a quel modo il suo teorema Pitagora col cazzo che lo formulava e poi ti ricordi che alle scuole medie il triangolo isoscele ti stava antipatico ma verso i sedici anni sognavi solo triangoli equilateri mentre studiavi l'antimateria e i buchi neri tanto per fare qualcosa che non stava nei programmi di studio ministeriali, nel frattempo la sabbia ti entra pure nelle orecchie, ti gratti e raschiandoti fino al timpano realizzi l'incontrovertibile verità che la musica dodecafonica è inascoltabile e che la sordità di Beethoven era un presagio del futuro assordante Novecento. Ma poi ti fai un bagno e te ne fotti, ché tanto ormai siamo nel XXI secolo. Esci dall'acqua e con un brivido realizzi che non vedrai il XXII. Per fortuna però le ferie sono finite e puoi tornare a lavorare, così non pensi più a tutte 'ste cazzate e torni ad essere normale. Vabbè, ci vediamo domani, dopo il lavoro. Ci beviamo una birra e ruttiamo come bestie. Ciao.
Waz butta il cellulare sopra il letto. Da un calcio alla valigia. Si butta sul letto anche lui.
Abbraccia il cuscino e gli sussurra: Meno male che non parto mai. Mentire è più divertente, quando torno. Agosto è il mese più cretino dell'anno.

©francescorandazzo - 2008


domenica 17 agosto 2008

Waz (3)

Waz non dorme. Sta in piedi al centro della stanza e guarda fisso la lampadina sul soffitto. Si gratta la natica destra. Il boxer fruscia come una pezza da spolvero. Spegne la luce e torna a guardare la lampadina. Pensa: - Questa è la notte, quando cerchi di vedere la luce e non c'è.
Dala finestra aperta entra un refolo di vento fresco che gli solletica i peli delle gambe. Waz riaccende la luce. Si affaccia alla finestra e guarda le finestre di fronte, nel tenue buio sussurra: - Perché non ho sonno? A che serve starmene così, sospeso tra l'essere e il non essere, in attesa di non so che, rompendomi le palle di me stesso?
Un gattaccio urla tentando d'abbrancarsi una gatta refrattaria. Ormoni felini accapigliati. Il malintenzionato scappa via. La gatta tutta inarcata e col pelo ritto, fa quattro salti isterici, poi si dilegua anche lei.
Waz ripassa mentalmente tutte le varie conformazioni di figa che ha visto nella sua vita. Allgemein. Quando ha finito, prova ad immaginare anche tutte quelle che non ha visto. Wunderbar. Si rammarica di non saper disegnare bene. Allora con gli occhi proietta sul muro di fronte tutte le sue immagini mentali. Fanno una bella luce, come un cinema notturno all'aperto. Monti di Venere carnosi, grandi, piccoli, ampi, stretti, morbidi, ispidi, e valli e colline nei rugiadosi dintorni, si susseguono tra dissolvenze incrociate e qualche effetto flou. Cuscinetti bruni, biondi, rossi, scarmigliati o pettinati, folti o radi. Labbra polpose o labbra strette, labbra che respirano serene o all'erta. Ognuna una sorpresa e una conferma. Leben. Ehrlichkeit.
E d'improvviso odore di pane caldo, profumo di brioche, un soffio d'aroma di caffè.
Waz chiude gli occhi.
Il giorno gli lambisce le palpebre come un fastidio ripetuto.


©francescorandazzo - 2008


giovedì 14 agosto 2008

Waz (2)

Waz sotto il sole, coperto dal suo cappellino floscio, cuoce e sulla guancia il trigemino s'infiamma, colpa dell'alveolite bastarda. Alla fermata del tram, aspetta. Beve cocacola ghiacciata. Fanculo, brucia ma almeno raffredda. Quando finalmente passa il tram, Waz decide di non prenderlo. Attraversa il binario, alla fermata opposta, andrà in un'altra direzione. Forse.
Decide di andare a piedi. Duecento metri avanti, fino a quella zona d'ombra dove un cassonetto dell'immondizia rigurgita rifiuti indifferenziati, puzzolenti come cani morti bolliti. Waz respira. Resiste. Respira ancora. Apre le braccia e inala, le chiude e sbuffa. Di più, di più, di più. Sta sudando come una cipolla marcia. Sta per crollare, ma continua e per darsi forza comincia a saltare. Salta, apre le braccia, inspira. Va giù, chiude le braccia, sbuffa.
Quando la pattuglia di polizia s'accosta lui non se n'accorge. Un poliziotto si sporge dal finestrino e gli chiede: - Cosa sta facendo davanti a quel cassonetto?
E Waz, continuando a saltare: - Quale cassonetto?
Il poliziotto storce la bocca: - Quello dietro di lei.
Waz, salta e gira, salta e gira: - Ah, quello. Non l'avevo visto.
Il poliziotto, comincia a sentire la puzza, quella del cassonetto e quella di Waz, zuppo di sudore: - Non avrà intenzione di frugare dentro al cassonetto, vero?
Waz, salta e ride: - Ma sta scherzando, fossi matto! Ho un sacco di soldi in banca, sa?
Il poliziotto si volta verso il collega e gli borbotta qualcosa, l'auto si muove. Mentre l'auto comincia a muoversi il poliziotto grida: - Stia attento a quello che fa! Potremmo arrestarla!
Waz salta e fa ciao con la mano.
Quando la pattuglia è lontana Waz si ferma. Aspetta ancora qualche secondo, l'auto svolta e scompare. Waz si fionda sul cassonetto, lo apre, fruga, acchiappa un sacchetto ben gonfio e scappa via. Veloce, veloce, corri, corri. Gli sembra di sentire una sirena. Uau uau uau uau uau! Uau che figata, pensa. Svolta per una traversa, nella mano stringe il sacchetto. Lo fa roteare. Lo lancia in alto, lo riprende. Lo lancia in alto, lo riprende. Al settimo lancio, sbaglia la presa e tutto si spiaccica in terra. Botto, schizzi, schifezze sparse. Waz guarda il marciapiede. Sembra un Pollock.
Waz abbaia ad un cagnolino che è spuntato dall'altra parte della strada. Il bastardino drizza le orecchie, oscilla la testina da un lato e dall'altro, poi s'avvicina guardingo a Waz. Il cane, la spazzatura, Waz. Il cane piscia sui rifiuti. Il polistirolo di un contenitore per carni fa: ptunk-ptunk-ptunk-ptunk-ptunk-nk-nk!
Quando ha finito il cane annusa un po' intorno, poi se ne va. Waz lo segue.

©francescorandazzo - 2008


mercoledì 13 agosto 2008

Waz (1)


Roma deserta. In quest'agosto del 2008. Deserta ma popolata. Lemuri sudati vagano. Waz si aggira nelle gallerie della Stazione Termini. C'è puzza di grigliate, fumo di panaderias, odore di plastica ammuffita. I suoni sembrano passare attraverso gli occhi, con la confusione di un partymix di iTunes. Una coppia di arabi, marito e moglie, lei ultracoperta ma con teli dai colori vivacissimi, lo guardano, gli sorridono. Waz gli fa un cenno con la mano e sorride anche lui. Poi senza quasi accorgersene, né volerlo, risale in superficie, con la scala mobile che lo costringe ad emergere. Sul grande display della galleria principale, scorrono queste parole:

"Siamo ancora alla fine del millennio. Quello nuovo arriverà tra quasi cento anni ancora. Le distruzioni avverranno in ordine sparso, mirate, spiazzanti, erosive. Una o due saranno risolutive, nel senso che appianeranno grandi sacche di scompensi socio economici. Alla fine ci sarà una fine. Non sappiamo prevedere cosa resterà e come. In certi luoghi farà molto più caldo. In altri si gelerà. La gente s'ammasserà in agglomerati urbani di centinaia di chilometri quadrati, fuori dai quali non resterà quasi nessuno: pochi fuoriusciti e truppe militari di controllo dei confini. Di giorno si fuggirà il sole ed il contatto. Di notte tutto sarà possibile, oltre ogni limite, con l'ebbrezza di un tuffo nell'oscurità. Solo la carne avrà un senso. L'anima sarà una droga per pochi. Nasceranno bambini spietati che si ciberanno dei vecchi. Ma sarà giusto, perché i vecchi a loro volta tenteranno di ucciderli. Le madri saranno come cagne abbandonate, fuggite dai figli, scacciate dai vecchi. I maschi vivranno in branchi di sofisticata ingegneria sociale, ma le loro leggi saranno brutali. Il Web probabilmente si sarà estinto, forse trasformandosi in un sistema globale di perfetto controllo oppure in un nimbo di catartico caos nel quale rifugiarsi con tossica disperazione. Qualcuno racconterà storie del tempo che fu, ma nessuno gli crederà, più probabilmente nessuno starà ad ascoltare. La memoria sarà un male da combattere, una malattia da punire. In nome di un presente autoreferenziale, sparirà anche il tempo. Soltanto una serie di attimi inconclusi, per esistenze senza coscienza."

Waz ha un capogiro. Quel file l'aveva cancellato. Voleva ancora sperare. Chi l'avrà recuperato dal suo portatile? E quando?

Un flap e sullo schermo appaiono le immagini del Grande Nido di Rondine, gente che fugge dalle bombe, una signorina popputa che pubblicizza un lassativo travestito da yogurt...

Accanto a lui un bambino rom canticchia. Non chiede niente a nessuno. Sta col naso sporco puntato in aria e pare che preghi.

Waz s'abbassa, lo ascolta, per un po' mugola, imitando quel suono, perché vuole sperare.

Quando il bambino se ne va, Waz resta solo, seduto per terra, per qualche ora, in silenzio.


©francescorandazzo-2008


lunedì 4 agosto 2008

Salam, maman! L'Iran di Hamid Ziarati


Ho finito di leggere questo libro, piano come un racconto orale, in una torrida giornata semitropicale (cfr. il precedente post su Hamid Ziarati).
Concordo solo in parte su quanto si dice della scrittura dell'autore nella scheda di presentazione del libro, nel sito della casa editrice Einaudi (http://www.einaudi.it/einaudi/ita/catalogo/scheda.jsp?isbn=978880617840&ed=87), che Ziarati scriva in un italiano tutto suo, "insieme preciso e imperfetto, ma straordinariamente espressivo". Scrive come potrebbe farlo un bambino e poi un adolescente; la "vediamo" crescere, questa scrittura, insieme all'io parlante del libro, Ali. Prima uno scrivere semplice e immaginifico, com'è il parlato dell'infanzia, poi schietto, veloce e curioso com'è il linguaggio dell'adolescenza.
Un libro che scorre come una bibita fresca e che, come il film Persepolis, racconta, ad uso della nostra scarsa memoria, una bella fetta di storia recente non solo iraniana; in maniera semplice e per nulla noiosa, di conseguenza in un modo facilmente memorizzabile. Quello che il fratello di Ali, Puyan, fa con le foto, Alì lo compie con le parole: uno scorrere di istantanee sulla Vita che racconta. La propria, quella dei propri familiari - che è quella di molte altre famiglie iraniane della stessa epoca, quella dell'Iran e del Mondo.
D'altronde, la freschezza, la semplicità e l'attenzione all'immagine ripresa è tipica dell'arte iraniana contemporanea, come ci hanno insegnato tutti i film che i vari festival cinematografici, Venezia in testa, ci hanno fatto conoscere.
Fortunatamente.